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Ma nessuno si commuove per la strage delle galline


20 Marzo 2021 / Lia Celi

«Cos’avranno pensato le capre di Bikini?» si domandava Italo Calvino in un celebre articolo apparso sull’Unità nel 1946. Bikini, all’epoca, non evocava un costume da bagno, ma l’atollo dove gli americani dal 1946 al ’58 sperimentarono le loro bombe atomiche fino a quella all’idrogeno, uccidendo centinaia di capre selvatiche dopo le decine di migliaia di giapponesi dell’esordio. E cos’avranno pensato i gatti nelle case bombardate, e i cani in zona di guerra, e i pesci allo scoppio dei siluri?

All’infinita lista di animali, innocenti testimoni e vittime totalmente estranee e inconsapevoli della cieca crudeltà delle guerre umane, potremmo aggiungere le migliaia di bovini arsi vivi nelle stalle durante la ritirata di Caporetto e i leoni e gli elefanti straziati dalle bombe e ululanti di dolore negli zoo della Berlino del 1945.

Forse le cinquanta galline sterminate tre giorni fa a Vivaro, nei dintorni di Pordenone, dal cannone che ha sbagliato mira, centrando il loro allevamento, non hanno avuto nemmeno il tempo di pensare. Non per la presunta limitatezza del loro cervello, smentita dalla scienza (polli e galline sono capaci di pensiero aritmetico, oltre che di memoria e capacità di comunicazione), ma perché il proiettile di un blindato le ha sorprese nel sonno.

Delle capre di Bikini all’epoca si interessarono in pochissimi, fra cui Calvino. Delle povere galline friulane hanno parlato tutti, giornali e social, per lo più per scherzarci sopra oppure per osservare, più che giustamente, che a pochi metri dal pollaio c’erano case i cui abitanti avrebbero potuto fare la fine delle galline.

Oltre al danno, la beffa per gli sfortunati pennuti, ai quali la pessima mira del carrista ha regalato un privilegio rarissimo per gli animali da cortile: quello di morire nel proprio letto. Una morte prematura e inopinata, ma non più dolorosa di quella cui sarebbero state condannate se il cannone avesse sparato giusto e che fior di documentari e di servizi giornalistici hanno raccontato a tutti quelli che hanno lo stomaco di guardarli.

A parte gli animalisti e i vegetariani, nessuno si commuove per la quotidiana ecatombe di polli e galline, considerati materie prime e non esseri viventi, macellati meccanicamente senza nemmeno l’”onore” di essere strangolati da mani umane, come avveniva ai tempi delle nostre nonne.

Preciso che sono un’abituale acquirente di carne, non un’attivista vegana, quindi non intendo fare alcun tipo di propaganda. Ma l’ironia sprezzante sulle galline pordenonesi, prese a cannonate manco fossero soldati austriaci tornati a riprendersi territori persi col trattato di Versailles, nasconde un certo disagio, un brivido inquietante. Ogni tipo di carne, che sia avicola o umana, può diventare carne da cannone. Le armi spianano le differenze di specie, specie a una certa distanza. La differenza la fanno la mira del tiratore e la fortuna.

E noi italiani lo sappiamo anche troppo bene, non solo per le migliaia di civili uccisi nei bombardamenti dell’ultima guerra, ma anche per tragedie avvenute in tempo di pace. Trentun anni fa istruzioni sbagliate al pilota di un aviogetto dell’Aeronautica militare in avaria mandarono il velivolo a schiantarsi su una scuola a Casalecchio di Reno, dodici ragazzi morirono e 88 rimasero feriti. Ustica e il Cermis hanno visto esseri umani inermi centrati per errore o pura follia. E i responsabili hanno pagato meno di quanto pagherà il carrista autore della strage di galline.

Lia Celi