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No, pietà non l’è morta


23 Giugno 2019 / Lia Celi

La nostra casa è in fiamme è il titolo del libro di Greta Thunberg, la Giovanna d’Arco della resistenza al cambiamento climatico. Per meglio dire, la nostra casa comune, il mondo, è sulla fiamma, come la famosa pentola d’acqua con dentro la rana, che sguazza ignara nell’acqua sempre più calda, finché si accorge troppo tardi di essere diventata carne da bollito.

Ma la metafora della casa in fiamme, se non è calzante, è sicuramente più efficace: attiva tutti i nostri sistemi di allarme. Quando la casa va a fuoco bisogna fare subito qualcosa: chiamare soccorsi, certo, ma prima di tutto scappare, come fanno gli animali selvatici quando scoppiano gli incendi boschivi. E non di rado l’istinto di sopravvivenza ha la meglio su quello di responsabilità verso gli altri, specie i più deboli.

C’è un bel film, Forza maggiore, dello svedese Ruben Ostlund, che racconta proprio questo: di fronte a una catastrofe incombente un padre abbandona la famiglia e pensa soprattutto a salvare la propria vita, la tragedia viene scongiurata e non muore nessuno ma resterà una ferita insanabile fra chi è scappato e chi è rimasto a proteggere.

Proteggere i più deboli nelle emergenze è virtù antica e così sacra che duemila anni fa Virgilio dedicò un intero poema a un uomo che non scappò da solo da un incendio. Come guerriero Enea non aveva combinato granché prima dell’incendio di Troia. Diventa eroe la notte in cui fugge dalla città in fiamme reggendo il padre infermo sulle spalle e tenendo per mano il figlio, e quando si accorge che sua moglie non è con lui ritorna indietro e corre per le strade piene di fuoco e di fumo, rischiando la vita nel tentativo (fallito) di ritrovarla.

Enea poi, dopo mille peripezie, arriverà nel Lazio, dove quel bimbo trascinato per mano nel disastro fonderà Alba Longa. Secondo gli archeologi, il sito dell’antica città laziale corrisponde all’odierna località di Rocca di Papa – e a volte la storia crea coincidenze davvero stupefacenti, perché Rocca di Papa è balzata agli onori delle cronache recenti proprio per una storia di pietas durante un incendio.

Protagonista, un Enea con la fascia tricolore di nome Emanuele Crestini, 47 anni, il sindaco-eroe che il 10 giugno, dopo l’esplosione di fuoco all’interno del municipio, dovuta a incuria durante i lavori in un cantiere adiacente, anziché fuggire si era adoperato per mettere in salvo chi era dentro i locali.

Purtroppo con lui il fato è stato più crudele che con l’eroe troiano: gravemente ustionato su un terzo del corpo e con i polmoni bruciati, Crestini è morto l’altro ieri all’ospedale S. Eugenio di Roma. Il ministro dell’Interno lo ha proposto per la medaglia d’oro al valor civile – e se perfino Salvini propone una simile onorificenza per un sindaco che mesi fa aveva accolto dei migranti nel suo comune, sfidando le dimostrazioni dei militanti di estrema destra, significa che la pietas vince tutto e convince tutti, oggi come ai tempi di Virgilio.

Le porte dell’inferno non prevarranno, finché ci saranno persone come il sindaco Crestini, alle quali il fuoco può bruciare tutto, tranne l’umanità.

Lia Celi