HomeCronache MalatestianeNoi di Rimini travolti dal rock (nel ’58 ma non diciamolo)


Noi di Rimini travolti dal rock (nel ’58 ma non diciamolo)


5 Novembre 2022 / Giuliano Bonizzato

In occasione della presentazione dell’incontro letterario da lui organizzato questa estate al Parco degli Artisti, l’amico Paolo Zaghini mi ha giocato un tiro mancino. Avendo dribblato la sua richiesta sulla mia data di nascita, ha deciso di dedurla attraverso una prova indiziaria pubblicando una mia foto giovanile abbinata alla data dello scatto, foto da lui scovata, come da didascalia, nell’archivio del Gruppo Teatrale Sipario Aperto di Amos Piccini.

Carissimo Paolo! Quel ragazzino con chitarra e cappello goliardico ha risvegliato in me ricordi talmente vivi e piacevoli che anziché protestare per il trattamento pirata dei miei dati personali, mi sento in dovere di ringraziarti per questo tuffo nell’epoca irripetibile della diffusione a Rimini del virus della chitarra rock, trasmesso a piene mani agli appassionati da un simpaticissimo Enzo Bianchini di Borgo San Giuliano, che nel dopoguerra a aveva fatto parte di una Band USA a Berlino Ovest.

Quel virus provocò una vera epidemia musicale, contagiando, attraverso la diffusione porta a porta di quei nuovi magici accordi e assoli strappa budella, una intera generazione di giovanissimi chitarristi riminesi. Sorsero in progressione esponenziale decine e decine di complessi tra i quali si distinsero, per la loro indubbia professionalità, quelli dei Cardinals e dei Four Kingstar. E fu all’Università di Bologna dove avevano cominciato a frequentarsi, che Gibo e Piero Spadaro (Giurisprudenza) e Giorgio Giorgi, detto Flicco (Medicina), decisero a loro volta di formare una band.

Il trio doveva essere di taglio goliardico ed esibirsi nella parodia dei primi timidi rock italiani con un… extra fuori programma. Nientedimeno che la versione ‘caraibica’ (anche se rigorosamente testuale) di un noto Canto Natalizio. E dunque ecco a voi Gibo e Piero alla chitarra e Flicco alla batteria nonché al saltuario impiego di bongos e maracas in occasione, appunto, del richiestissimo “Tu scendi dalle stelle o Re del cielo cha-cha-cha”. Si decise subito anche il nome. Scartati Max Turbo e i suoi Manettas, De Cara e i Tre Visde, Walter Closed e i Catenellas, optammo infine per un più cauto Tony Cagnara e i Sordinisti.

Dopo prove che ci impegnarono per tutta l’estate, esordimmo infine al Teatrino del CRAL della TIMO (Telefoni Italia Media Orientale). Ricordo che avevamo convinto quattro graziose e spiritose telefoniste ad emettere strilli acutissimi nei momenti culminanti della nostra performance e che fu proprio grazie a loro e ai fischi di approvazione dei goliardi presenti, che superammo felicemente le titubanze dell’esordio. D’altronde i tempi erano già maturi per la contestazione anche se i Beatles non si erano ancora incontrati nel mitico seminterrato di Wimpole Street, i Rolling Stones non avevano dato ancora il loro primo dissacrante concerto al Crawdaddy Club e Mina si chiamava ancora Baby Gate e cantava Tintarella di Luna.

Ma è giusto ricordare che l’assalto alla società repressiva e autoritaria di allora partì proprio alla fine degli anni 50 dalle associazioni goliardiche di cui un giovanissimo Marco Pannella fu uno dei capi più noti. Contestazione ludica, non violenta e nello stesso tempo implacabile, come quella di cui fecero le spese un ingenuo ‘rock and roll’ di Celentano (‘il Ribelle’) stravolto dalla nostra versione pre-sessantottina e la melensa ‘Ninfetta’ di Gaber (unico rock e unico insuccesso di quel grande) inquadrata in sequenze da film a luci rosse. Con noi tre che, ormai a ruota libera, ci esibivamo al Dopolavoro dei Ferrovieri di Bologna (celebre per la sua Mensa) con la ‘bartavella’ aperta su vezzose mutande a pallini blu e un nome nuovo di pacca, anzi di patta: Burt Avella e i suoi Avellanos.

Conquistammo perfino un istante di notorietà nazionale, immortalati dal cinegiornale La Settimana Incom, allorché gli organizzatori della Festa delle Matricole (tre giorni di manifestazioni musicali, teatro in piazza, sfilate di carri allegorici e incredibile gazzarra) fecero costruire per noi dalla premiata Ditta Golfieri di Bologna, leader nel settore casse funebri, un enorme Juke-box multicolore in legno e plastica posto su ruote. Rannicchiati al suo interno ci esibimmo per quei tre lunghissimi giorni, sospinti in innumerevoli strade, locali, bar, ristoranti e caves da due robusti portatori vestiti da legionari Romani. Ci assicurammo così un patrimonio di monetine da cinquanta lire (una canzone) e cento (tre), sperperato, assieme ai due centurioni, nei migliori ristoranti e luoghi di perdizione di Bologna per la gioia delle Cassiere al momento del conteggio. Il trio inevitabilmente si sciolse quando l’impegno universitario prese il sopravvento. Ci laureammo pertanto nei tempi regolamentari dedicandoci subito alle rispettive professioni, senza rinunciare a ritrovarci, come ai vecchi tempi, per ridere, scherzare e… arrabbiarci. Non tra di noi ovviamente ma con coloro che, ieri come oggi, tentano sempre di mandare indietro le famose lancette.

Giuliano Bonizzato

(Nell’immgine in apertura: 22 novembre 1958. Giuliano Bonizzato in versione goliardica: ritaglio di una fotografia proveniente dall’Archivio fotografico del Gruppo Teatrale Riminese “Sipario Aperto”, di proprietà di Amos Piccini)