HomeLA LETTERAPlogging, per un corpo più sano e un ambiente più pulito c’è la “corsa- raccolta di rifiuti”

Un podista ha corso la Rimini- Verucchio raccogliendo rifiuti lungo il percorso con un sacco arrivato a pesare 15 kg


Plogging, per un corpo più sano e un ambiente più pulito c’è la “corsa- raccolta di rifiuti”


30 Settembre 2024 / Redazione

Il podismo è una pratica individuale. Certo, ci sono le società, gli allenamenti in gruppo – più vanno avanti gli anni, e più sono rari, almeno nel mio caso – e le gare a volte anche insieme a migliaia di altri atleti e atlete, ma rimane una questione personale. Il mio tempo migliore. Il mio passo. La mia prestazione. Ma le alternative altruistiche ci sono.

Qualche anno fa, grazie alla società Golden di Rimini, ho scoperto il mondo dei cosiddetti “spingitori”, che comporta il prestarsi come accompagnatori-corridori per ragazzi in carrozzina che non avrebbero, altrimenti, la forza per completare una gara di 10, 21, 42 chilometri. Dopo essere entrato in questo ruolo, il podismo “egoista” ha perso molto significato nella mia testa.

In assenza degli splendidi ragazzi che mi hanno accompagnato già in numerose gare nel riminese, domenica ho optato per il “plogging”: la corsa-raccolta di rifiuti. Da adolescente, ma anche un po’ più in là, registravo tempi discreti come mezzofondista ed ho corso una mezza maratona in un’ora e mezza. In quanto la faccio oggi una mezza maratona? Due ore, giù di lì? Onestamente non mi interessa. L’egoismo si paga. Lo conoscete il Mito di Sisifo? Il re-tiranno di Ephyria (poi Corinzia) ruppe la tradizione di Xenia (da cui, anche, xenofobia…), l’ospitalità dell’antica Grecia, ingannando e uccidendo i visitatori del suo palazzo per mantenere il proprio dominio. Venne condannato da Zeus a spingere un’enorme masso in salita che puntualmente rotolava giù ogni volta che riusciva a portarlo vicino all’apice. Mi vedo con questo sacco color ardesia e mi viene in mente proprio il masso di Sisifo.

Ho peccato di egoismo in un passato da atleta “per me” e sono qui, alla Rimini-Verucchio, mezza maratona ma con 500 metri circa di salita, a trasportare un fagotto che, arrivato al borgo-gioiello della Valmarecchia, pesava circa 15 kg. Ovvio, l’ho fatto per scelta e nessun dio o umano mi ha obbligato (men che meno condannato) a farlo, ma simbolicamente per un giorno sono stato portatore del fardello non solo del mio piccolo egoismo, ma dell’onnipotenza e ignoranza sfrenata dell’Uomo, una volta ospite di una Natura assai più grande di lui, ora dominatore (o così si illude) assoluto della stessa.

Ma io che il masso, o il sacco nero, l’ho portato fino in cima, allo Stadio Fausto Coppi (a proposito di veri Miti…) di Verucchio, ho espiato i peccati dell’Uomo? O adesso che è finita la gara, la busta rotolerà di nuovo giù, si aprirà, e rigurgiterà tutte le bottiglie, lattine, confezioni e incarti nuovamente sul percorso che dal Ponte di Tiberio include il lungofiume Marecchia e poi tanti chilometri in aperta campagna, ricca di campi coltivati, per arrivare al borgo? Forse non si potrà mai evitare la ricaduta. Se non si lavora insieme. I comuni sia di Rimini che di Verucchio.

I contadini. I passanti. Ed i primi responsabili: chi getta rifiuti lungo la strada. Non parlo solo di automobilisti. Parlo anche di “operatori del verde”, pubblico o privato che sia (nota: ho trovato, tra le varie cose, decine di guanti arancioni, tutti identici e in diversi punti del percorso; la probabilità che provengano da operatori della stessa ditta è molto alta come lo è la possibilità di scoprire a chi appartengano), che in assenza di direttive specifiche, prima di sfalciare si ben guardano (qui la responsabilità è anche di chi li incarica) dal pulire i rifiuti, e magari li riducono in brandelli, microplastiche, che non avranno mai la possibilità di essere recuperati e finiscono inglobati nell’erba e nella terra… e nei prodotti di quest’ultima.

E parlo di genitori. Da qualche anno è in voga aggiungere responsabilità allo Stato, in particolare la scuola, per l’educazione dei figli. Ovvio, penserete. Ma la scuola ha da pensare a insegnare ai bambini la scrittura, la lettura, la dizione, la matematica, le lingue, le scienze, le arti etc. Attenzione, non dico che non bisogna integrare concetti moderni e a sfondo sociale o civico nelle lezioni. Ma l’educazione civica, ambientale o sessuale che sia non dovrebbe essere considerata giurisdizione degli insegnanti, che tra classi sovraffollate e crescenti disturbi di attenzione e intellettivi riescono a finire quasi per miracolo in un anno i programmi delle materie “classiche”.

L’educazione a stare nel mondo si dovrebbe fare, a mio avviso, a casa. Una nuova generazione non dovrebbe nemmeno pensare all’opzione di buttare una cicca di sigaretta, una bottiglia o addirittura un sacchetto intero di rifiuti, magari indifferenziati, fuori dal finestrino di una macchina. Se le attuali generazioni post-adulte lo pensano, le precedenti hanno fallito. Poi è vero, lo Stato e le amministrazioni locali possono e devono aiutare, fare campagne pubblicitarie, svolgere educazione porta a porta, fissare cartelli o anche multare, se con criterio. Come è vero che nell’attesa di una maggiore coscienza, i comuni possono e devono svolgere pulizie ricorrenti incaricando chi di competenza (o chi è già sotto contratto per la medesima funzione). I volontari vanno bene ma non possono essere considerati sostituti degli operatori comunali.

Infine, parlo persino di atleti come me. Nel marasma vi erano anche incarti di barrette energetiche e addirittura borracce, nuove, gettate via a bordo strada come fanno i “professionisti” dei tempi moderni (altro che Coppi) per togliere qualche grammo alla loro mole in salita. Durante la gara stessa, atleti – mi perdoneranno – con zero ambizioni di record mondiali o anche di podio della Rimini-Verucchio, per guadagnare qualche secondo di tempo hanno coscientemente buttato i bicchieri di plastica offerti ai punti di ristoro non nel bidone posizionato dai bravi volontari pochi metri dopo la postazione, bensì per terra o persino – l’ho visto coi miei occhi, perché mi ci trovavo dentro a raccogliere altri rifiuti – nel fossato a bordo strada, con la quasi-certezza che anche il più attento dei volontari non li raccogliesse affatto (già fanno un lavoro immenso, ci mancherebbe!) alla fine della rassegna sportiva. Qualcuno, capendo le mie intenzioni quel giorno, mi ha persino chiesto “butto qui, va bene?”, lanciando in un prato coltivato un bicchiere di polietilene, e correndo via troppo veloce, o meglio con le orecchie troppo chiuse, non ha nemmeno sentito il mio “veramente, no!”.

Chi legge questo sappia che sbaglia tre volte: la prima, come sportivo, che “anche fuori dallo stadio ed in qualunque azione della tua vita ti comporti con spirito sportivo e con lealtà” (Codice del Comitato Olimpico Internazionale); la seconda, come cittadino, che per il suo egoismo-agonismo ignora il danno ambientale che un rifiuto (da solo e naturalmente sommato a montagne di altri rifiuti) causa al terreno, e di conseguenza ai fiumi e di conseguenza ai mari; la terza, come partecipante ad una manifestazione della Golden Club Rimini, che non è responsabile, ma ahi lei può essere creduta responsabile, del comportamento dei podisti – se l’evento causa inquinamento, la Golden, e magari il suo ben noto Presidente, uomo onesto e con un cuore grande come tutta la provincia, passa in un attimo da positivo a negativo per il territorio.

Non penso certo che correre una gara più velocemente possibile sia un crimine – non ci sarebbero campioni olimpici e nemmeno della Rimini-Verucchio altrimenti – ma farlo inquinando non lo posso accettare, in nessun caso. Solo un ragazzo più attento e con nessuna fretta m’ha chiesto gentilmente di poter gettare un rifiuto direttamente nel mio sacco, trovandosi già lontano dal punto di ristoro. Quello stesso ragazzo ha scelto di correre insieme a me l’ultima metà circa della gara. Ha anche trasportato il sacco (già oltre i 10 kg di peso) per alcuni tratti. Un atto socialmente utile ancor più vero del mio, poiché nemmeno premeditato.

Non voglio mai far diventare l’altruismo una forma, a suo modo, di esaltazione dell’ego ovvero autopromozione. Infatti, questo articolo non è firmato e il mio volto nella foto non c’è. Semplicemente, ho voluto rendere un po’ più pulito il percorso, senza rinunciare alla prova di fatica che scelgo come atleta di fare (anzi, vi consiglio l’inusuale specialità se volete in un colpo solo esercitare, oltre alle gambe, anche la parte superiore del corpo!), nei tempi massimi consentiti (per non causare disagio ai soliti volontari!). Ed ho voluto portare il peso dell’ignoranza degli attori di cui sopra. Non per dire “ci penso io” ma per dire “pensiamoci”! Nessuno escluso. Non dimentichiamo mai di essere noi i veri xenoi (ospiti) di questo mondo.