Il primo congresso del PCI riminese
5 Marzo 2018 / Paolo Zaghini
Sulle vicende dei comunisti riminesi nel 1948 pesarono a lungo i risultati elettorali delle elezioni politiche del 18 aprile e il colpo di pistola sparato a Roma contro il Segretario Palmiro Togliatti.
Sul primo punto: a Rimini il Fronte Popolare, composto da comunisti e socialisti, venne costituito il 15 febbraio 1948 nel corso di una manifestazione all’Arengo. Le città furono invase da volantini e manifesti. I comizi si susseguivano a ripetizione. Il 18 aprile l’Italia andò al voto spaccata in due: ognuno dei contendenti fece ricorso a tutte le carte da giocare che aveva a sua disposizione. Nei confronti dei comunisti la Chiesa emanò la scomunica, mentre mobilitò tutte le forze a favore della DC di De Gasperi. I risultati elettorali premiarono questa impostazione giocata tutta sulla paura degli elettori del “pericolo rosso”, dei “barbari”, dei “senza Dio”: la DC ottenne a livello nazionale il 48,5% dei voti. A Rimini raggiunse il 38,23% dei suffragi (contro il 22,38% dell’ottobre 1946). Il Fronte ottenne a Rimini solo il 46,73% (contro il 61,50% raggiunto dai due partiti nel 1946).
“La certezza della vittoria tra i ‘frontisti’ era largamente alimentata e diffusa” scrive Liliano Faenza. Invece “in campagna e in città, dopo il 18 aprile, c’era stato un grande silenzio”.
I comunisti elessero senatore il bolognese Paolo Fortunati e confermarono deputato Giuseppe Ricci, sindaco di Cattolica. I democristiani elessero senatore il medico-chirurgo Luigi Silvestrini e deputato Giuseppe Babbi.
Sul secondo punto: l’attentato a Togliatti scatenò proteste in tutta Italia. Lo sciopero generale raggiunse, in diverse città, punte insurrezionali. Anche a Rimini i comunisti si mobilitarono e scesero in piazza, paralizzando per alcuni giorni completamente ogni attività, senza però raggiungere livelli di scontro con le forze di polizia.
Il dopo estate è poi caratterizzato dalla grave crisi della Giunta Comunale di Rimini: il Sindaco Cesare Bianchini si dimette dall’incarico l’8 novembre 1948.
E’ in questo clima politico infuocato che i comunisti riminesi pongono alla Direzione Nazionale del Partito la necessità di costituire una realtà organizzativa autonoma del Partito nel Circondario riminese, separata da Forlì.
Il 15 novembre 1948 venne convocata l’assemblea dei quadri delle sezioni di Rimini, con due punti all’ordine del giorno: “Situazione del Comune” e “Comunicazioni della Federazione”. Relaziona su entrambi Nicola Pagliarani, segretario del Comitato Comunale di Rimini. A questo incontro sono presenti Ilario Tabarri, il comandante partigiano “Pietro” dell’8.a Brigata Garibaldi, in rappresentanza della Federazione forlivese e Albertino Masetti della Direzione Nazionale e segretario della Federazione di Bologna.
Sulle dimissioni di Bianchini e sulle motivazione addotte da Pagliarani non mi soffermerò in questo intervento. Al suo posto venne incaricato Walter Ceccaroni, segretario per la componente comunista della Camera del Lavoro sino alla fine del 1947 e da qualche mese assessore.
Invece Pagliarani comunicò all’assemblea che la Direzione Nazionale aveva acconsentito alla creazione di una “zona” per il riminese, come premessa per la nascita di una Federazione autonoma da Forlì. Il dibattito, a leggere il verbale, fu assai vivace sia sulla questione di Bianchini che sulla nascita della “zona”. Le conclusioni vennero tratte da Tabarri che da questo incontro con la realtà riminese compì il primo passo verso la direzione della nuova Federazione di Rimini.
Il 18 novembre 1948 sarà la riunione del Comitato Comunale di Rimini allargato a costituire ufficialmente il Comitato di Zona del Circondario di Rimini. La relazione sarà tenuta da Tabarri.
Il Partito nel riminese aveva 40 sezioni, 362 cellule, 13.195 iscritti, di cui 6.200 a Rimini (suddivisi in 22 sezioni e 162 cellule).
Il Comitato di Zona sarà diretto da una segreteria, un esecutivo e da un comitato di zona.
La Segreteria sarà composta da Tabarri segretario; Nicola Pagliarani responsabile dell’organizzazione; Gino Pagliarani responsabile della stampa e propaganda; Giovanni Baldinini responsabile della commissione d’amministrazione.
L’Esecutivo comprendeva invece tutti i responsabili delle commissioni di lavoro. Oltre i quattro membri della Segreteria: Walter Ceccaroni, commissione quadri; Giuseppe Ricci e Giuseppe Polazzi, commissione Enti Locali; Alfredo Arcangeli, FGCI; Sara Croce e Idana Cavalli, commissione femminile; Guerrino Migani della Commissione Lavoro di Massa; Natale Muratori della Commissione Organizzazione; Alberto Alberti, segretario della Camera del Lavoro; l’ispettore di zona, il bolognese Ghetti.
L’assemblea del comitato di zona non era invece chiaramente definita: l’indicazione era che ne avrebbero fatto parte “i compagni più qualificati del Circondario, i reggenti la Camera del Lavoro e Federterra di Rimini, i compagni dei Comuni più importanti”.
Dalla lettura del verbale dell’incontro emerge fra le righe che qualche malessere proveniente dai mesi passati non era ancora stato superato: Nicola Pagliarani “ritiene indispensabile la chiarezza dei rapporti visti sotto il profilo politico e la eliminazione dei personalismi ed il bando alle suscettibilità, per lasciare largo posto all’interesse supremo del partito”. Renato Zangheri: “non ricadere nel vecchio errore dei sentimentalismi che soffocano il lievito e l’influsso sano della base”.
Saranno per i comunisti riminesi mesi frenetici. Alla fine il risultato però venne raggiunto: la Direzione Nazionale a metà marzo 1949 concesse il nullaosta alla nascita della nuova Federazione Riminese, primo caso a livello nazionale di istituzione di una Federazione in una città non capoluogo di provincia. Ne diede ufficialmente notizia Tabarri nella riunione dell’Esecutivo del 18 marzo che fissò anche la data del Congresso costitutivo per il 29 e 30 aprile.
Nei cinque mesi che intercorrono fra la nascita del Comitato di Zona e il primo Congresso, i comunisti riminesi iniziarono a misurarsi con una dimensione diversa dei problemi politici e amministrativi locali.
Nell’attivo dei quadri delle sezioni del Comune di Rimini del 29 novembre 1948 Tabarri annunciò l’espulsione dal Partito “per indegnità morale e politica” dell’ex Sindaco Bianchini. Poi Tabarri mostrò il volto duro dell’uomo mandato a dirigere quei scapestrati intellettuali comunisti riminesi, svolgendo una analisi durissima delle “deficienze” della società e del Partito nel Riminese: “Composizione sociale della popolazione riminese che, mancante di una base proletaria, risente della mentalità piccolo-borghese degli artigiani che la compongono in gran parte, come risente dei residui di mentalità anarchica derivanti dalle passate lotte di classe in cui tale corrente politica è stata all’avanguardia”.
Denuncia inoltre “la coscienza individualistica di molti compagni riminesi che informano la loro azione politica in funzione di concetti personali: ciò porta alla sottovalutazione del Partito proprio quando il Partito necessita della maggiore coesione e unità”. E prosegue ancora sulle carenze organizzative, sulla scarsa partecipazione, sulla bassa azione della lotta di classe e di scontro con la polizia (sic!).
Tabarri aveva ragione ad attaccare il PCI riminese per le sue chiusure politiche, per le sue improvvisazioni, per l’incapacità di formare un gruppo dirigente unitario, per i ritardi nel comprendere le novità che si stavano muovendo nella società. Ma è un controsenso che a farlo sia Tabarri, espressione dell’ala più dura e chiusa del partito forlivese, prestigioso esponente del movimento partigiano che aveva egemonizzato il partito a Forlì. Mentre a Rimini il gruppo dirigente della resistenza ai nazi-fascisti non riuscì a diventare la nuova classe dirigente, e negli anni immediatamente successivi la Liberazione furono ben presto emarginati. La direzione politica dei comunisti riminesi fu assunta da una leva di giovani quadri tecnici e intellettuali arrivati al partito negli ultimi anni del fascismo.
Tuttavia Tabarri, con grande intelligenza, riuscì a divenire un punto di equilibrio politico per i comunisti riminesi in questa fase. Duro nel dirigere, capace però di comprendere le situazioni nuove in formazione in un territorio e all’interno di una società in grande evoluzione. Tanto che sotto la sua direzione trovarono spazio e protezione il gruppo dei giovani (non solo in senso anagrafico), degli intellettuali, soprattutto nei momenti di contrasto più forte con gli “anziani” operaisti e partigiani.
Di fronte alla sua dura relazione all’attivo numerosi interventi non solo la approvarono, ma chiesero un ulteriore irrigidimento e chiusura del Partito, sino a richiedere una “epurazione”. Fra questi Bruno Toni, Cesare Tombesi. Lo stesso Nicola Pagliarani, fortemente chiamato in causa in quanto segretario del Comitato Comunale di Rimini prima e ora responsabile dell’organizzazione, è costretto a sostenere la relazione, anche se di malavoglia.
Sarà Gino Pagliarani, rispondendo a molte delle obiezioni fatte negli interventi, a dare il senso del nuovo e di un orizzonte politico più ampio che era presente anche dentro il Partito riminese.
Nelle conclusioni, Tabarri respinse l’idea di un’epurazione, di un Partito ridotto ad “una piccola setta”, e spinse invece sull’organizzare un partito forte, strutturato, presente nella società.
Stesso copione alla riunione del Comitato di Zona dell’1 dicembre 1948 e al Comitato direttivo del 7 dicembre. In questo susseguirsi di incontri però matura e si va formando un progetto politico per il Partito nel riminese. Il Comitato di Zona del 22 febbraio 1949 affronterà invece, sulla base di una relazione di Ceccaroni, il tema delle amministrazioni locali.
Il Partito in quei mesi antecedenti il Congresso incominciò a crescere, a guardare i problemi in un’ottica comprensoriale, ad organizzarsi per la battaglia politica quotidiana.
Tra i temi maggiormente trattati in quei mesi vi furono quelli organizzativi, con la necessità di avere quadri politica capaci. Gli iscritti nel 1949 furono 13.109, di cui 5.739 a Rimini, 1.590 a Riccione, 580 a Misano, 757 a Cattolica, 1.751 nei comuni della Valconca, 696 a Coriano, 1.390 a Santarcangelo, 178 a Poggio Berni, 179 a Torriana, 259 a Verucchio. 10.283 erano uomini, 2.826 donne.
Tra loro, 4.203 erano operai, 1.643 braccianti e salariati agricoli, 2.301 mezzadri e coloni, 302 coltivatori diretti, 916 artigiani e piccoli imprenditori, 50 professionisti, intellettuali e insegnanti, 32 studenti, 335 impiegati, 2.426 casalinghe, 901 altre professioni.
La FGCI contava 1.756 iscritti (di cui 1.303 giovani e 453 ragazze). Di questi, 626 hanno la doppia tessera, cioè sia della FGCI che del PCI. Pochissimi erano gli studenti delle scuole medie superiori: solo 62. Addirittura un solo studente universitario.
L’Esecutivo del 18 marzo fissò la data del Congresso costitutivo e la parola d’ordine congressuale: “Perché il Partito diriga tutto il popolo italiano per la pace e per un miglior avvenire”. Stabilì inoltre che i Congressi delle 45 Sezioni dovevano svolgersi dal 10 al 25 aprile e che dovevano nominare un delegato ogni 50 iscritti. Nominò inoltre due commissioni: una politico-organizzativa presieduta da Nicola Pagliarani, una tecnico-logistica presieduta da Giovanni Baldinini.
Purtroppo di questo primo Congresso ci è pervenuta solo la risoluzione finale. E nessuna fotografia. Ma è facile immaginare che nel corso delle due giornate alla Sala dell’Arengo, dopo le due relazioni di apertura di Ilario Tabarri e di Giorgio Scarabelli, segretario della Federazione forlivese, il dibattito degli oltre 250 delegati, così come già aveva indicato Tabarri nell’Esecutivo di gennaio, si sia incentrato sui problemi interni organizzativi derivanti dalla nascita della nuova Federazione. Le conclusioni del Congresso furono tratte da Antonio Roasio, membro della Direzione Nazionale e Segretario regionale dell’Emilia-Romagna. In sala erano pure presenti Fernando Di Giulio, in rappresentanza della Commissione Centrale d’Organizzazione, allora guidata da Pietro Secchia, e Fabrizio Onofri, vice-segretario regionale.
Riprendendo i temi della relazione di Tabarri e delle conclusioni di Roasio la mozione finale si articolava in tre punti: “Per la difesa della pace; per le lotte del lavoro; rafforzare il Partito strumento indispensabile nelle lotte per la pace, per il lavoro e per la difesa della democrazia”.
La priorità economica del documento venne data al mondo agricolo. Del resto il 45% degli iscritti del PCI riminese erano espressione di questa realtà. Non una parola invece sul turismo e sui recenti avvenimenti che avevano portato ad insediare alla direzione dell’Azienda di Soggiorno di Rimini un Commissario prefettizio, dopo la destituzione del Presidente comunista Gino Pagliarani. Eppure le stagioni del 1946, 1947 e 1948 erano andate bene e per la stagione in arrivo le aspettative erano notevoli. La grande stagione dei dibattiti e delle proposte per il turismo riminese per i comunisti (ma è vero anche per le altre forze politiche) doveva ancora arrivare.
Il Congresso elesse un Comitato Federale di 34 compagni. Complessivamente un quadro dirigente giovane, poco più che trentenne. Sparirono completamente tutti i “vecchi” leader del periodo fascista e della resistenza.
Elenchiamo dunque questi primi costruttori del Partito a Rimini: Segretario venne nominato Ilario Tabarri (33 anni). Gli altri eletti furono: Alfredo Arcangeli, funzionario (21 anni); Massimo Assirelli, Segretario della Camera del Lavoro di Cattolica (29 anni); Giovanni Baldinini, responsabile amministrazione (28 anni); Anacleto Bianchi, membro della Segreteria della Camera del Lavoro (46 anni); Livio Bonanni, segretario della Sezione di Canonica di Santarcangelo (29 anni); Walter Ceccaroni, Sindaco di Rimini (29 anni); Cesare Cesaretti, segretario di sezione (28 anni); Ortensia Corbelli, responsabile ragazze FGCI (20 anni); Sara Croce, della Commissione femminile (32 anni); Ruggero Diotallevi, segretario sindacato edili (25 anni); Orazio Fabbri, segretario della Camera del Lavoro (35 anni); Ezio Gatta, funzionario (22 anni); Duilio Girolomini, segretario Sezione Coriano (33 anni); Mario Gobbi, coltivatore diretto, segretario della Sezione di Santa Giustina (25 anni); Luigi Luconi, operaio, membro segreteria sindacato ferrovieri (37 anni); Gualtiero Masi, segretario Sezione Riccione (26 anni); Nicola Meluzzi, Assessore Comune di Rimini (34 anni); Guerrino Migani, colono, responsabile commissione agraria PCI e segretario Federterra (30 anni); Gaetano Morolli, bracciante, segretario della Sezione di San Lorenzo Monte (31 anni); Natale Muratori, responsabile commissione quadri (30 anni); Alfredo Nicoletti, membro Segreteria Camera del Lavoro (35 anni); Gino Pagliarani, giornalista, corrispondente de “Il Progresso d’Italia” (29 anni); Nicola Pagliarani, responsabile stampa e propaganda (37 anni); Francesco Pasquini, bracciante, membro segreteria della Camera del Lavoro, di Mondaino (49 anni); Wilmo Piccioni, vice-segretario Sezione Cattolica (30 anni); Giuseppe Ricci, deputato (60 anni); Salvatore Ricci, colono, Segretario della Sezione di S. Martino dei Mulini (41 anni); Luigi Salvatori, responsabile commissione di organizzazione (e poi da novembre membro commissione di amministrazione) (21 anni); Maria Tadei Nicolini di Santarcangelo, segretaria UDI (44 anni); Palmira Tentoni di Riccione (28 anni); Cesarina Urbinati Cecchi, operaia di Santarcangelo (22 anni); Cesare Villa, bracciante, consigliere Cooperativa Braccianti (38 anni); Giancarlo Zanuccoli, segretario FGCI (23 anni).
Nel Comitato Federale del 28 maggio 1949 vennero cooptati Giordano Dall’Ara, responsabile commissione lavoro di massa (38 anni); Wilma Fucini, responsabile della Commissione femminile della Federazione (25 anni). A novembre entrò Augusto Randi, responsabile commissione d’organizzazione (28 anni). Nel corso dei mesi successivi al primo Congresso vennero ancora cooptati nel Comitato Federale: Alfonso Giorgi, responsabile del Centro Diffusione e stampa (32 anni); Giovanna Zoboli, responsabile commissione femminile Misano (26 anni); Rosolino Fronzoni, ispettore federale (37 anni); Arcangelo Cecchi, funzionario, segretario Comitato comunale di Santarcangelo (26 anni); Gualtiero Bracconi, Assessore (e poi Sindaco) del Comune d Rimini (38 anni); Renato Zangheri, responsabile commissione cultura (25 anni).
Altre responsabilità di commissioni furono affidate, senza essere membri del Comitato Federale, a Raul Fugalli (cooperazione) e a Giuseppe Polazzi (Enti Locali).
Il Partito Comunista fu il primo, con questo Congresso, a dotarsi di una struttura organizzativa autonoma da Forlì, a livello circondariale. Gli altri partiti seguiranno questa scelta negli anni successivi: il PSI nell’ottobre 1955, la DC nel novembre 1968.
(Il testo è una sintesi di un mio saggio, “La nascita della Federazione Comunista Riminese”, apparso sulla rivista dell’Istituto Storico della Resistenza “Storie e Storia” n. 14-15/1986)
Paolo Zaghini