Provincia di Rimini: in agosto previste 3.090 assunzioni, +100 rispetto al 2022
10 Agosto 2023 / Redazione
Gli ingressi previsti (entrate per assunzioni a tempo indeterminato e determinato e per attivazioni di forme di lavoro flessibile) nelle province di Forlì-Cesena e Rimini, per il trimestre agosto-ottobre 2023 sono 19.720, secondo Excelsior Informa, il Bollettino mensile con orizzonte trimestrale sui fabbisogni occupazionali delle imprese industriali e dei servizi, realizzato da Unioncamere, Anpal e dalle Camere di commercio italiane.
Su base nazionale, gli ingressi previsti nel mese di agosto sono 293.000, di cui il 9,7% (28.300) in Emilia-Romagna, +0,7% rispetto al mese di luglio 2023. Il 19,3% del dato regionale, pari a n. 19.720 ingressi previsti, attiene all’area di competenza della Camera di commercio della Romagna, 6,7 punti percentuali in meno rispetto allo scorso mese. L’incidenza dei contratti a tempo determinato si mantiene elevata e pari all’83% per Rimini (+2 p.p.) e al 77% per Forlì-Cesena (-1 p.p.).
Per quanto riguarda le entrate, i 5 principali settori di attività, in valore assoluto, risultano i Servizi di alloggio/ristorazione/turismo, i Servizi alle persone, il Commercio, le Costruzioni quarte a Rimini e a Forlì-Cesena le Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco, quinti per entrambi i territori i Servizi operativi e di supporto alle imprese e alle persone.
Per la provincia di Rimini, in base all’indagine per il mese di agosto sono previste 3.090 assunzioni, con una variazione sullo stesso mese 2022 di +580 unità, e 10.040 per il trimestre agosto-ottobre, con una variazione sull’analogo periodo dello scorso anno di +100 unità.
Le entrate previste si concentrano nel settore servizi per l’84% (-8%), che comprende commercio, alloggio e ristorazione, servizi alle imprese e alle persone, e per l’74% nelle imprese con meno di 50 dipendenti (-9%).
Nel mese di agosto, una quota pari al 41% delle assunzioni previste riguarderà giovani con meno di 30 anni (+8%); il 16% delle imprese prevede di assumere personale immigrato (-8%).
Nel 69% dei casi viene richiesta esperienza professionale specifica o nello stesso settore (+10%), ma in 53 casi su 100 le imprese prevedono di avere difficoltà a trovare i profili desiderati (+1% rispetto a luglio).
Il focus di questo mese è rivolto ai tirocini e alla formazione continua nelle imprese.
Sono 175.620 le imprese che nel 2021 hanno ospitato tirocinanti (12,5%, +1,1% sul 2020); 554.330 le persone ospitate in tirocini e il 7,2% delle imprese ha 148.560 giovani in PCTO. Circa il 30% dei tirocinanti coinvolti ogni anno continua la sua collaborazione con l’impresa che lo ha ospitato mediante un contratto di lavoro; nei servizi informatici e delle telecomunicazioni, di trasporto, logistica e magazzinaggio la percentuale si attesta ad oltre il 40%.
Non sono ancora tornati ai livelli pre pandemia e pre eventi bellici/climatici i dati relativi alle le imprese e ai lavoratori italiani coinvolti nelle attività di formazione. Infatti se nel 2019 il 56,2% delle imprese ha promosso interventi formativi a cui ha partecipato il 28,7% dei lavoratori; il 2022 ha registrato un +15,5%, dopo i crolli nel 2020 e 2021, ma le incidenze raggiunte si avvicinano solo al 52 e al 19 percento in media, con circa 727.000 imprese e oltre 2 milioni 500 mila lavoratori interessati. La tipologia di formazione preferita è ancora quella “in affiancamento” (23,8%), seguita dai ‘corsi esterni’ (17%) e dalle modalità “diverse” (13,8%) ovvero seminari, giornate di studio, confronti con testimoni esterni. L’erogazione in ‘autonomia’ –in presenza o a distanza- è praticata in misura inferiore (8,1%).
Da segnalare le attività formative sviluppate nell’ambito dell’industria chimica e farmaceutica (67,2%), nei servizi avanzati di supporto alle imprese (consulenza: 61,2%), nei servizi finanziari e assicurativi (74,5%) e nei servizi di sanità, assistenza sociale e servizi sanitari privati (69,6%). I servizi finanziari e assicurativi sono i soli nei quali i ‘corsi interni’ sono più diffusi di quelli ‘esterni’, ancor più dell’affiancamento.
L’eredità del periodo pandemico nell’erogazione della formazione è simile al lascito dello smart working emergenziale: 50,7% dei corsi ‘rientrati’ in aula con permanenza della modalità mista –blended nel 20,9% dei casi; alcuni momenti sono svolti obbligatoriamente presso la sede della formazione, altri anche sincroni da remoto. In ambito didattico, anche professionalizzante, si tratta di una soluzione non improvvisabile, perché necessita di una progettazione dedicata, diversa da quella della formazione solo frontale, quanto da quella dei corsi online. La formazione in presenza ha percentuali molto elevate nella manifattura (industria e costruzioni, quasi 53 e 55%), mentre la modalità mista è piuttosto affermata nei servizi (commercio e turismo, 22 e 21%) tra le imprese che hanno effettuato corsi di formazione. Interessante osservare come al crescere della dimensione di impresa, tenda a diminuire la preferenza verso l’aula, a vantaggio della tecnologia. Non solo per l’accessibilità alle soluzioni tecnologiche, ma anche grazie a una minore diffidenza verso la collaborazione a distanza. La larga maggioranza delle imprese che ha effettuato formazione con corsi ha dichiarato di averlo fatto “per aggiornare il personale sulle mansioni già svolte” (69,8%). Solo il 13,3% delle imprese organizza momenti formativi funzionali allo svolgimento di nuovi lavori e per nuove mansioni.
Il settore dei servizi culturali, sportivi e alle persone e quello di servizi informatici e telecomunicazioni sono quelli più innovative nel trasferimento di informazioni inedite nei percorsi formativi. Anche il fattore dimensionale fa la differenza: la grande impresa (500 dipendenti e oltre) risulta essere la più attiva per quanto concerne sia la formazione “in ingresso” sia quella di nuove mansioni/lavori. Per ridurre il gap tra tra grande e piccola impresa e tra settori ad alto valore aggiunto e settori che competono sui prezzi rappresentano un valido supporto i fondi europei, dai bandi dei fondi interprofessionali e degli enti bilaterali, nonché dai canali di finanziamento pubblici (Fondo Nuove Competenze, Piano GOL).
Nel 2022 ben il 69,6% delle imprese ha dichiarato di avere investito in formazione in almeno uno degli ambiti della trasformazione digitale (nel quinquennio precedente era il 68,5%). Nel corso del 2022, il 42,1% delle imprese che ha effettuato formazione con corsi ai propri lavoratori si è dedicata esplicitamente alla digitalizzazione per efficientamento dei processi interni. Si attesta al 27,9% la quota delle imprese che ha erogato formazione sui temi della transizione green e sostenibilità ambientale in linea con l’indicazione della Commissione Europea di investire sul capitale umano e sulla formazione di giovani e adulti per una nuova sensibilità ecologica.
Sono le imprese fino a 50 dipendenti amministrate da un laureato quelle che si sono dimostrate più attente alla formazione (51,9% rispetto al 48% del totale).