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"Cristiano" per i nostri nonni non era una parola divisiva e dei "cretini" poveri di spirito era il Regno dei Cieli


Quando i cris-cién erano tutti gli esseri umani


6 Ottobre 2024 / Lia Celi

Con l’età la memoria diventa sempre meno giornalista e sempre più archeologa. Nel senso che se la cava male quando si tratta di resocontare quel che ti è successo la mattina, ma è bravissima a ripescare dal tuo passato remoto schegge di reminiscenze che credevi sepolte per sempre. Ultimamente la mia memoria-Indiana Jones ha scavato nella mia infanzia e ha riportato in superficie un’espressione dei miei nonni, la parola “cristiano” nell’accezione generica di “essere umano”. Siccome mi viene da usarla soprattutto con i miei figli (“cerca di mangiare da cristiana”, dico a mia figlia che studia negli Usa, l’inferno del junk-food; “non puoi vestirti da cristiano?” domando a mio figlio che si ostina a stare in maniche corte con le temperature autunnali), ricevo in cambio occhiate sconcertate: loro intendono “cristiano” solo nell’originario senso confessionale, e si preoccupano.

Oddio, la mamma è rimbambita ed è diventata teo-con, adesso vuole che mangiamo pesce il venerdì e che andiamo in giro con la tunica dei Crociati. Li capisco: oggi “cristiano” diventata una parola che divide, potenzialmente contundente, e usata solo in contesti particolari, religiosi o, più spesso, politici, vedi Salvini che sbandiera Bibbia e rosario o Meloni che strilla “sono cristiana e nessuno può portarmelo via” come se fosse sempre inseguita da fanatici ultrà senzadio che vogliono strapparle a tutti i costi la catenina del battesimo.

Nell’Italia dei miei nonni, anzi, nell’Occidente dei miei nonni, erano tutti cristiani battezzati; l’unica altra religione, ultra-minoritaria anche prima della Shoah, era l’ebraismo. La religione cristiana era il minimo comun denominatore fra tutti e tutte, uomini e donne, ricchi e poveri, a prescindere dalla lingua e dalla provenienza, fin dai tempi dell’imperatore Teodosio – quella sì che fu una vera globalizzazione, a tratti violenta. “Cristiano”, quindi, era diventato sinonimo di persona, o meglio, di essere umano uscito dallo stato selvaggio. In buona sostanza, essere “cristiani” non voleva dire solo credere nella Trinità, aver ricevuto i sacramenti, dire certe preghiere eccetera, ma non andare in giro nudi, cuocere la carne prima di mangiarla, lavarsi, parlare in modo comprensibile, insomma, non essere delle bestie.

Alla fine cristiani (o “cris-cién”, nel romagnolo stretto dei miei nonni) potevano essere tutti quanti, a prescindere dal loro credo, a volte perfino gli animali domestici, quando si mostravano particolarmente intelligenti o capaci di esprimere affetto, gioia o dolore.

È un ecumenismo anche troppo inclusivo, che forse oggi urterebbe molte suscettibilità, compresa quella dei cattolici, già indispettiti dall’etimologia di “cretino”, derivante dal francese “chrétien”, cioè cristiano. Ma anche qui c’è da riflettere. I malati di ipotiroidismo congenito (poi chiamato “cretinismo”) venivano anticamente chiamati “chrétiens” perché la loro debolezza fisica e mentale li rendeva più cari a Gesù dei normodotati: “beati i poveri di spirito perché loro è il regno dei Cieli”. Più evangelico di così…

Oggi chi sbandiera pubblicamente il proprio cristianesimo sbandiera differenze e vuole alzare muri in nome della «nostra tradizione». Io preferisco la tradizione dei miei nonni. E nessuno può portarmela via.

Lia Celi

(nell’immagine in apertura: Guarigione dei dieci lebbrosi, miniatura del Codex Aureus1035-1040 circa, NorimbergaGermanisches Nationalmuseum)