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L'ex onorevole leghista condusse una strenua battaglia contro i piloni della struttura che a suo giudizio non stavano in piedi


Quando Pini voleva demolire il Palacongressi di Rimini


26 Giugno 2023 / Nando Piccari

Lo so, essendomi sempre sentito un garantista dovrei vergognarmene un po’, ma non posso farci niente se da giorni mi viene da ridere al pensiero che abbiano “messo al gabbio” il leghista ex onorevole Gianluca Pini, la cui corbelleria politica ha procurato non pochi fastidi a Rimini nella prima parte degli anni duemila, quand’era non “il Segretario e basta”, ma “il Segretario Nazionale” della Lega Romagna.

Pini con Salvini

Nella testa bacata dei leghisti albergava all’epoca la stronzata della “Padania libera”, la cui indipendenza sarebbe arrivata con la secessione dall’Italia di Roma ladrona. Per questo i suoi caporioni si vantavano di aver sostituito la carta igienica con il tricolore, che in qualche occasione veniva pure bruciato dai più fanatici. Il tutto con la benedizione di Salvini, che in attesa di diventare segretario si dilettava, da direttore di Radio Padania, a condurre la rubrica “Mai dire Italia” e a “gufare” in diretta contro la Nazionale Azzurra in occasione delle partite internazionali.

Pini si era dato la missione di sabotare la costruzione della nuovo Palazzo dei Congressi a Rimini, ricorrendo ad ogni espediente: ridicoli esposti alla Procura, comunicati insultanti, lo strombazzare di comizi volanti e perfino la “visita guidata” dello spaesato ministro leghista Castelli a ispezionare da fuori l’edificio in costruzione.

Il Palacongressi di Rimini

Mi piace perciò ricordare alcune delle “attenzioni” che al tempo dedicai a quella sua ciarlataneria dalle colonne di “Così è…se non vi piace”, la rubrica che tenevo sull’allora cartaceo “Chiamami Città”.

Scrissi una prima volta nel 2010: «A guardarne la foto sui giornali, con quell’aria disorientata e lo sguardo perso nel vuoto, il legaiolo on. Pini ricorda da vicino un pugile appena contato dall’arbitro. Se poi ci si avventura a leggere le sue dichiarazioni, sorge pure il sospetto che, una volta tornato all’angolo, i secondi gli abbiano fatto bere della grappa anziché le rituali sorsate d’acqua.
È così che, giorni fa, l’abbiamo visto sul ring del costruendo Palacongressi, a dimenarsi immaginando di menar fendenti al Presidente della Fiera Lorenzo Cagnoni, che non se n’è neppure accorto, e a quel sette-vite (quasi tutte spese male) del suo vice e mio amico Gianni Piacenti: uno che, a destra, i “parvenu” se li mangia col pane».

Lorenzo Cagnoni

In realtà nel centrodestra di allora quasi solo la Lega sosteneva convintamente quel suo delirante ostracismo. Negli altri alleati prevaleva l’imbarazzo, non senza l’aggiunta di qualche esplicito dissenso, particolarmente in Forza Italia, la cui componente imprenditoriale era ben consapevole di quale importanza avrebbe avuto quell’infrastruttura per l’economia riminese.

Così Pini, nel puerile tentativo di impressionare i seguaci riminesi di Berlusconi, se ne andava a diffondere in giro l’invenzione che il Cavaliere fosse invece d’accordo con lui.

Di qui una mia presa per i fondelli, sempre nel 2010:
«Stando all’ululante on. Pini, Berlusconi avrebbe in queste ore il gran dispiacere di sapere che a Rimini i suoi non vogliano radere al suolo il Palacongressi.
In un Paese serio, dove chi rompe paga, alla fine qualcuno manderebbe il conto dei danni a questo “Signore degli Anelli al naso”, venuto dalla Padania/Pirlandia a trasformare il suo astio anti-riminese in un’odiosa campagna di boicottaggio del Palas.
Ho letto con goduria il recente trattamento da “povero toli” riservatogli dal mio “amico reazionario” Gianni Piacenti. Pini non l’ha presa bene e ora minaccia di denunciarlo, perché “a me iconoclasta non l’ha mai detto nessuno”».

Gianni Piacenti

La psicotica avversione di Pini all’edificazione del Palas era incentrata su di un’ossessiva maledizione dei piloni destinati a sorreggerlo, che a suo dire nascondevano un’infinità di truffaldini sotterfugi: l’utilizzo di materiali scadenti pagati come se di soddisfacente qualità; gli errori nella loro progettazione; il furbesco aggiramento di norme vigenti in materia.

Così lo battezzai per la prima volta “Piloni da Forlì” nell’articolo del 2011 a commento del suo sbandierato sospetto che l’Amministrazione stesse per falsificare le carte in tavola: «Piloni da Forlì ha messo le mani avanti, dichiarando testualmente “sospetto che il Comune tiri fuori il coniglio dal cilindro e si prepari a concedere l’agibilità”.
No, non si tratta di un coniglio, ma di uno strano volatile. Non so a Forlì, ma a Rimini lo chiamiamo “l’uccello padulo”. »

Avendo saputo che quel soprannome divertiva non solo i lettori di Chiamami Città orientati a sinistra, ma pure taluni di quelli che a destra mal sopportavano la supponenza di Pini, decisi che di lì in avanti avrei continuato a chiamarlo Piloni da Forlì anche nei successivi articoli, gli ultimi due qui sotto riportati:
«Nell’eventualità della temuta inaugurazione, Piloni da Forlì ha programmato l’attacco finale. Con indosso una cintura imbottita di articoli de “La Voce” si lancerà contro il Palas per farsi esplodere. Di qui il sorriso compiaciuto che nella foto gli si vede stampato in viso. Per dirla con un francesismo, il tipico “vis de kamikaze”».

A seguire: «Per un malanno ho dovuto disertare l’inaugurazione del Palas. Oltre al rammarico di non aver vissuto in diretta uno dei rari momenti corali della “Rimini che si vuol bene”, mi rimarrà per tutta la vita il fastidio di avere ora qualcosa in comune con l’on Pini, che il giorno prima aveva motivato la propria assenza con la consueta flatulenza del suo messaggio politico.
Chi assisteva dalle case vicine allo spettacolo pirotecnico finale è però rimasto sorpreso nel vedere come questo si sia concluso con quattro botti di commiato, anziché con i soliti tre. Si è poi capito che in realtà l’ultimo altro non era che il rumore del corale pernacchione salito dalla piazza all’indirizzo dell’on. Piloni da Forlì».

Pini e Morrone, il capo Lega Romagna suo successore, ricevono i complimenti di Salvini

Si è letto in questi giorni che la sventura giudiziaria di Pini avrebbe avuto un’origine pressoché incidentale, per una sua telefonata casualmente intercettata dalla Procura di Forlì nell’ambito di tutt’altra indagine.

Se così fosse, Piloni da Forlì avrebbe di che prendersela con la meloniana congrega governativa, incapace di avergli procurato in tempo utile la spernacchiante “controriforma di Nordio”. La quale, una volta approvata, riempirà le Procure di magistrati che, nei pochi casi in cui sarà ancora possibile intercettare qualcuno, si chiederanno l’un l’altro: “Scusami, ho una momento di amnesia, ma tu ricordi come una volta si facevano le intercettazioni?”.

Nando Piccari