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Il libro di Giulio Zavatta: "Audiface Diotallevi. Un marchand -amateur tra Rimini, Roma e Parigi"


Quel marchese riminese, che magnifica canaglia


15 Aprile 2024 / Paolo Zaghini

Giulio Zavatta: “Audiface Diotallevi. Un marchand-amateur tra Rimini, Roma e Parigi”

NFC

La storia è ricca di “magnifiche canaglie”, a volte geniali e protagonisti di vicende che meritano di essere raccontate. E’ quello che fa Giulio Zavatta, classe 1974, critico d’arte riminese con questo volume dedicato al marchese riminese Audiface Diotallevi (1792-1860). Zavatta si è occupato in passato delle vicende della Madonna di Raffaello (“Raffaello: la Madonna Diotallevi. La vicenda storico-critica” sempre edito da NFC nel 2019) e da questo primo lavoro di ricerca ha avuto avvio lo studio del ricco carteggio storico ancora in possesso degli eredi della famiglia Diotallevi che ha dato vita a questo volume.

La “Madonna Diotallevi” (nell’immagine in apertura) è un dipinto a olio su tavola (69×50 cm) di Raffaello Sanzio, databile verso il 1504 e conservato nella Gemäldegalerie di Berlino. L’opera, sicuramente il pezzo più importante, faceva parte della collezione del marchese Audiface Diotallevi, finendo nella sede odierna nel 1842 in seguito all’acquisto effettuato da Gustav Friedrich Waagen, mercante d’arte di cui si parla a lungo nell’attuale volume.

Scrive nell’Introduzione Piergiorgio Pasini, che da decenni prova a ricostruire la composizione e l’attuale localizzazione dei pezzi più importanti delle collezioni d’arte riminesi venduti e dispersi negli ultimi due secoli, a proposito del marchese Diotallevi: “Il contemporaneo Luigi Tonini ha definito severamente questo personaggio: ‘Vita cavalleresca, preteso diplomatico, banchiere incapace’. Certo Audiface Diotallevi era un nobile conservatore; ma – afferma Zavatta anche in base alle inedite carte appena ritrovate – pare sia stato un vero cavaliere e un vero diplomatico, un attivo promotore di imprese culturali (come dimostra il suo impegno per la costruzione del Teatro), un buon viaggiatore in Italia e all’estero, un buon amico di Giacomo Rossini, di Luigi Poletti, del francese Vittorio Tisserand e un buon corrispondente di grandi uomini di cultura italiani e stranieri, oltre che fondatore (poco fortunato) di moderne industrie commerciali (una distilleria di alcool) e di attività finanziarie (la Banca Diotallevi-Masi) e infine anche uno stimato politico-amministratore (in quanto consigliere comunale e, nel 1857-58, governatore), contrariamente alla generalità dei nobili concittadini immobili e tradizionalisti possessori agrari”.

Insomma Zavatta prova a ribaltare, sulla base della documentazione reperita, la figura marabalda del marchese Diotallevi che fin qui la storia ci aveva consegnato. Zavatta approfondisce soprattutto le vicende della collezione dei quadri del marchese Diotallevi, sapendo che le sue affermazioni di partenza erano false. Non è vero che la sua collezione fosse una “galleria antica di famiglia”; la verità era che questa fosse una raccolta commerciale formata in più di un ventennio di suoi traffici. Le carte dimostrano che il marchese acquistava dipinti e li rivendeva specie sul mercato romano, spesso ammantandoli di una millantata provenienza dalla antica collezione della sua famiglia. E inoltre dal carteggio emerge anche la stretta collaborazione con il bolognese Giuseppe Guizzardi “considerato un operatore talmente abile da muoversi su quella sottile linea che divide il restauro dalla falsificazione”. La rete di relazioni del nobile riminese ricostruita da Zavatta è così un interessante spaccato del mercato dell’arte nello Stato della Chiesa a metà Ottocento.

Sempre Pasini: “L’anno dopo la sua morte [la collezione] venne messa all’incanto nel suo insieme; venne acquistata dal Duca di Salamanca, cioè lo spagnolo Josè Mayol y Salamanca, che in seguito fu costretto a vendere, disperdendola, tutta la sua ricca raccolta d’arte. Se ne partivano così da Rimini opere importanti provenienti soprattutto da chiese romagnole e marchigiane e da vere collezioni private anche locali, alimentando una dispersione di opere d’arte che continuerà fino ai primi decenni del Novecento nell’indifferenza delle maggior parte delle autorità civiche e nazionali”.

Zavatta fra le carte di famiglia non ha trovato l’inventario della collezione Diotallevi, messa in vendita dopo la sua morte. Sono emersi però altri elenchi sulla base dei quali è stato possibile individuare 41 dipinti appartenenti alla collezione, che secondo alcuni testimoni ammontava però fra i 100 e i 150 pezzi. Ma l’attività di “marchand-amateur” (con traduzione approssimativa mercante d’arte) di Audiface Diotallevi faceva sì che la sua galleria “fosse sempre provvisoria, con il transito di dipinti appena acquistati o in visione e l’uscita delle opere che venivano vendute”.

In questi elenchi compaiono dipinti (cito solo alcuni dei pittori più noti) di Anton Van Dyck, Giovanni Bellini, Giotto, Giorgione, Guido Reni, Luca Longhi, Correggio, Raffaello, Domenichino, Leonardo da Vinci, Rubens, Andrea del Sarto, Ludovico Carracci, Perugino, Giovanni da Rimini, Caravaggio, Rembrandt, Guercino, Tiziano, Giovanni Antonio Boltraffio, Bernardino Luini.

Secondo Zavatta dunque la formazione della collezione “resta misteriosa, così come la sua entità al momento della dispersione: manca l’inizio e manca la fine, nel mezzo un ventennio di febbrili trattative, commerci, contatti sedimentatisi sulle carte”. Di questa corrispondenza di Audiface Diotallevi con mercanti, altri collezionisti, uomini di cultura italiani ed europei Zavatta riporta in appendice nel libro 183 lettere tratte dal carteggio famigliare ritrovato e conservato da Alberto e Luisa Travaglini Diotallevi.

Zavatta conclude il suo racconto sul marchand-amateur Audiface Diotallevi così: “doveva essere sempre pronto e disposto a nuove scoperte, a viaggi improvvisi sospinto dall’urgenza di arrivare un giorno o un’ora in anticipo, di vedere per primo. Avventure del genere dovevano essere state frequenti nella vita di Audiface prima del fatidico 1848 [l’anno in cui iniziarono le sue ristrettezze economiche a seguito del fallimento della sua banca]. Le rassegnate lettere di diniego a Gambetti [1803-1871, canonico della cattedrale di Rimini e in rapporto con Audiface nel commercio di opere artistiche] sembrano esprimere piuttosto nostalgia che rimpianto. Quei tempi non sarebbero più tornati”.

Paolo Zaghini