Quella donna povera vittima, che però lo stupro se lo va a cercare
19 Dicembre 2020 / Lia Celi
Cosa mi fa più rabbia nel manifesto dell’Associazione Pro-Vita contro la pillola abortiva, che il Comune ha giustamente bandito dai muri di Rimini? Ovviamente, da sostenitrice del diritto all’aborto, non condivido i fini della campagna, anche se ogni opinione è lecita e deve poter essere liberamente espressa e argomentata. Non mi è mai piaciuto il monopolio sul termine “vita” che gli antiabortisti di tutto il mondo si sono accaparrati.
Come se chi la pensa diversamente fosse pro-morte, e non a favore di una genitorialità consapevole, e, in ultima analisi, dell’autodeterminazione della donna, che non è una macchina di carne predisposta da Dio per l’emissione regolare di neonati, una specie di Bimbomat dove infili un seme e legittimamente di aspetti di prelevare un pargolo dopo nove mesi.
L’aborto deve essere gratuito, sicuro e soprattutto raro, requisito, quest’ultimo, che andrebbe assicurato con un altre cose che i Pro-Life detestano, e cioè una corretta educazione alla salute sessuale fin dalle scuole elementari, il potenziamento dei consultori, la disponibilità di anticoncezionali moderni e sicuri.
Ma il discorso è lungo, e poi a dire il vero ci sono altre cose che mi disturbano nel manifesto dei Pro-Vita, che mostra una fanciulla biancovestita, esanime, con una mela morsicata in mano, sovrastata dalla scritta “Prenderesti mai del veleno?».
La prima cosa è che la pillola abortiva RU-486 si può definire «veleno» solo se sei già antiabortista e consideri l’interruzione di una gravidanza uguale all’assassinio di una persona; inoltre la RU-486 non «mette a rischio la salute e la vita della donna», come sostiene la campagna di Pro-Vita, altrimenti non sarebbe mai stata approvata dalle Agenzie del farmaco europea e italiana.
Il secondo aspetto che mi fa girare vorticosamente le scatole è proprio quell’immagine della donna contemporanea come novella Biancaneve: una povera, candida sprovveduta che dà ascolto alla strega cattiva (probabilmente femminista!) e cade per ingenuità nell’inganno mortale. Non è una persona matura costretta a una scelta pesantissima e dolorosa su una materia che, in ultima analisi, riguarda soltanto lei, ma un’eterna bambina in pericolo che attende solo il bacio salvifico, e ovviamente casto, del Principe azzurro (Mario Adinolfi? Simone Pillon? Ossignur).
Strano che, per quanto riguarda l’aborto o la maternità surrogata, per i conservatori e i pro-vita la donna sia sempre vista come una povera vittima, turlupinata e/o sfruttata dalle femministe o dal capitalismo egoista, anche quando sceglie volontariamente di rinunciare a una gravidanza o di portarla a termine per qualcun altro.
Se invece si parla di stupro o di molestie, allora no, non è mai vittima, o non completamente, diceva no per dire sì e alla fin fine “se l’è cercata”.
Durante queste vacanze natalizie le mie figlie vogliono vedere insieme a me una serie ben poco festosa, Il racconto dell’ancella, dove si racconta di Gilead, una società distopica in cui le donne sono totalmente sottomesse e asservite alla procreazione. Il Comune non poteva farmi miglior regalo di Natale che assicurarmi, con la sua decisione, che Rimini è molto, molto lontana da Gilead. Auguri a tutti.
Lia Celi