Quella povera San Leo dove bisognava “resistere e immaginare la prosperità”
26 Marzo 2018 / Paolo Zaghini
Roberto Monacchi: “San Leo: Governo e vita di una comunità – Dalla caduta del giogo austriaco al fascismo”. Società di Studi Storici per il Montefeltro.
L’ultimo libro di Roberto Monacchi, di Novafeltria, professore in pensione, ex Preside dell’ITIS di Rimini, presidente della Società di studi storici per il Montefeltro fondata a San Leo nel 1970, ha un sapore d’antico. Esso nasce dalla paziente, e faticosa, ricerca, e lettura, di tante carte contenute nell’archivio comunale, in quelli parrocchiali e della pretura. Il mix di informazioni che l’Autore fornisce ai lettori consente di ricostruire tante storie di questa piccola (grande) realtà comunale che si erge sul Marecchia e la sua vallata. Storie che si snodano fra la nascita del nuovo Stato italiano nel 1861 e l’avvento del fascismo nel 1922.
Scrive Girolamo Allegretti, docente di storia economica all’Università di Perugia e di San Marino, nel presentare il lavoro di Monacchi: “E’ anzitutto un omaggio a San Leo. Alla San Leo meno illustre dei nostri nonni, di una storia degli ‘eventi’ trascurabili ma dalla solida consistenza delle ‘strutture’ del quotidiano e della ‘lunga durata’. Si parla della San Leo postunitaria, di San Leo capoluogo di comune, un vasto comune rurale forgiato dalle riforme napoleoniche e dai convulsi riassetti della restaurazione pontificia. L’autore segue passo passo, fin nei dettagli, la vita del comune sulla scorta dei verbali consiliari. Vita del comune non sono solo le eterne angosce del bilancio: è soprattutto la vita della gente, l’eterno contrasto fra capoluogo e frazioni, tra paesi e campagne, tra il riottoso contribuente e il nullatenente bisognoso di tutto”.
“Libri come questi sono preziosi per la ‘nuova’ storiografia locale, perché ne sorreggono una delle travi maestre, la comparazione, senza la quale ogni ‘dato’ rischia l’insignificanza. E l’abbondanza di dati forniti da Monacchi consente fertili comparazioni per diversi aspetti della vita amministrativa e sociale: basti pensare alla scolarizzazione, alla sanità, al fisco”.
Il Sindaco Mauro Guerra citando Fabio Tombari che disse “sulle terre del Montefeltro i potenti hanno elevato i loro castelli, ma gli umili con abnegazione le hanno lavorate”, prosegue affermando che “il libro rappresenta uno spaccato di vita vissuta attraverso le traversie non solo amministrative, ma sociali, economiche, sanitarie, materiali, religiose, fiscali e ricreative”.
E allora proviamo a spigolare qui e là dalle pagine del libro, in mezzo al mare di informazioni che sono qui contenute. San Leo conta nel 1861 3.241 abitanti per raggiungere i 5.824 nel 1921. Nelle pagine dei verbali del Consiglio Comunale nel corso dei decenni emergono l’attività dei Sindaci: dalla sicurezza ed ordine pubblico all’istruzione, dagli interventi sul territorio alla sanità ed igiene, dalle attività commerciali e produttive al personale. Accanto al Sindaco, il Segretario, impiegato comunale ma anche dipendente del Prefetto. E poi i problemi del medico condotto, del maestro, del becchino, del custode dei pubblici fanali, del moderatore del pubblico orologio e campanaro, del postiglione, della levatrice. Ed infine il Consiglio Comunale di 20 eletti, votati nelle elezioni fra il 1866 e il 1875 da non più di 100 persone (espressione di un ceto borghese che pagava un censo non minore di lire 40).
Nel 1873 la casa di relegazione nel castello risulta abitata da oltre 300 persone fra detenuti, guardiani, agenti di custodia e presidio militare. Nelle anguste celle della Rocca, divenuta carcere a metà del 1600, erano transitati nel corso dei secoli prigionieri illustri: da Felice Orsini, attentatore alla vita dell’imperatore francese Napoleone III nel 1858, all’avventuriero palermitano Cagliostro qui morto nel 1795. Nel 1906 la fortezza cessò di essere un carcere. Nel 1910 il Governo cedette il castello al Comune; nel 1911 il forte sarà prescelto per l’insediamento stabile di 2 compagnie di disciplina.
Il problema acqua: sempre poca e di cattiva qualità. “Le fonti di acqua dolce e salsa che il card. Anglico annotava nella sua descrizione del Vicariato di Monte Feretro nel 1371 si erano esaurite. Le lavandaie continuamente richiedevano un ampliamento e un più sicuro approvvigionamento del lavatoio pubblico; nel 1879 si costruisce una cisterna all’interno della città per raccogliere le acque piovane; nel 1880 viene discusso un progetto di acquedotto per la città, ma è accantonato perché troppo dispendioso; nel 1890 si avvia la costruzione di un acquedotto che sarà ultimato nel 1894, ma ancora nel 1912 nelle frazioni c’è penuria d’acqua”. Tema scottante allora, ma sempre attuale ancor oggi di fronte alle bizzarrie del tempo (e fortuna che c’è la diga di Ridracoli).
Nel gennaio 1878 prefettura e sindaco devono intervenire nei confronti di due giovani prostitute perché affette da sifilide e che avevano infettato diversi giovani del paese: sottoposte “a energiche misure a tutela della pubblica sanità e moralità”.
Nel 1905 il sotto-Prefetto di Urbino vuole conoscere dal Sindaco le cause che hanno dato impulso all’emigrazione dal Comune: nel 1875 se ne vanno in 86, nel 1876 in 67, nel 1888 in 48, nel 1895 in 89, nel 1905 in 73, nel 1915 in 93. Una emorragia di cittadini significativa, testimonianza delle dure condizioni di vita, soprattutto dei contadini più poveri.
Nel 1874 a San Leo e frazioni frequentavano le scuole elementari 142 maschi e 119 femmine. Ma molti dei maschi iscritti non frequentavano: “nel 1875 nella scuola maschile di Monte Maggio su 20 alunni iscritti 13 non frequentavano, le assenze erano imputabili in parte ai lavori, in parte alla negligenza dei genitori, ma anche al freddo dell’aula nella stagione invernale”. Ancora nel 1881 “si minacciava di licenziare gli alunni che non frequentavano, malgrado l’obbligatorietà”.
Potrei continuare ancora a lungo nell’elencare fatti, problemi, personaggi di San Leo di quei decenni, raccontati da Monacchi. Ma vale per tutte le vicende narrate nel libro la valutazione complessiva che l’Autore fa: “Ne è uscito il quadro di una comunità piuttosto statica, immobile per certi aspetti, alle prese sempre con gli stessi problemi e necessità che con fatica riuscivano a trovare qualche soluzione”. E il Sindaco Guerra, chiudendo il suo intervento, afferma di riconoscersi ancor oggi in quanto detto da un suo lontano predecessore sul governare questo piccolo comune dell’entroterra riminese: “Amministrare è resistere e immaginare la prosperità”.
Paolo Zaghini