Non chiedere dov’è la discoteca della tragedia: se hai figli adolescenti è come se fosse successo qui vicino e anche i tuoi ragazzi venerdì sera avessero rischiato la vita, anche se in realtà stavano a decine di chilometri di distanza, in un posto più sicuro. O meglio: in quello che sembra un posto sicuro finché non succede quello che è successo alla Lanterna Azzurra di Corinaldo.
E si scopre che il locale dove tanti giovani passano le sere e le notti di festa non è sicuro per niente: si fanno entrare molte più persone di quanto sarebbe consentito, le strutture non reggono, i controlli sono insufficienti. E basta un attimo di follia o un brutto scherzo a innescare il panico e a trasformare il locale in una trappola mortale – per i ragazzi, e anche per i papà o le mamme che li accompagnano, pensando che la loro presenza, come un talismano, basti a non far succedere nulla di male.
Perché il male, per noi, sono le cattive compagnie, la droga, i molestatori, l’alcool sottobanco, la musica che ti spappola timpani e cervello, l’amico grande ma non tanto fidato che riporta a casa in macchina all’alba la compagnia dei minorenni e si addormenta al volante, tutti pericoli che la vigilanza di un genitore sul posto basta a scongiurare.
Ma dei muri, dei parapetti, del buon senso di chi organizza un concerto, dovremmo poterci fidare. E invece.
Per crudele ironia, sembra che la strage di Corinaldo sia stata originata da uno spruzzo di spray urticante, nato per difendere le persone più deboli dalle aggressioni, e che invece si sta trasformando in una potenziale arma di distruzione di massa durante feste e concerti.
Nell’ultimo anno sono state evitate solo per un soffio sciagure come quella di venerdì notte: chi era alla Molo Street Parade lo scorso luglio ricorda ancora gli attimi di terrore a piazzale Boscovich, il bruciore, le lacrime, la cecità temporanea e la corsa disordinata della folla, che per fortuna non ha avuto conseguenze irreparabili.
Ma è accaduto di recente pure a Milano, a Cuneo, a Roma, a Modena, a Torino, dove gli stessi responsabili della calca omicida di piazza San Carlo (anche questa provocata dallo spray al peperoncino), un mese dopo avevano ritentato il colpo durante un concerto di Elisa.
In questo caso l’obiettivo dei criminali era approfittare del panico per rubare portafogli e cellulari; più spesso si tratta di pura e semplice idiozia, magari per fra saltare le lezioni, com’è accaduto in una scuola di Cervia. Di voglia di creare il massimo danno con il minimo sforzo, la stessa che ispira i decerebrati che lanciano i sassi dai cavalcavia (e ce ne sono tanti: quasi cento episodi solo lo scorso anno).
Tutta questa smania vigliacca di fare del male al prossimo per sentirsi onnipotenti si abbina perfettamente agli sconfortanti risultati dell’ultimo rapporto Censis, che parla di un incattivimento degli italiani a tutti i livelli: siamo un popolo che «cammina funambolicamente sul ciglio di un fossato che mai fino ad ora si era visto così vicino.» E gode nello spingere nell’abisso i suoi simili, dopo averli accecati con lo spray.
Lia Celi www.liaceli.it