Quelli che Dante condannò a tremende pene oggi nemmeno andrebbero a processo
8 Dicembre 2024 / Giuliano Bonizzato
Ergastolo a Filippo Turetta, reo confesso della premeditata uccisione della fidanzata.
Segregazione a vita, dunque? Non proprio. Secondo il nostro ordinamento infatti, dopo dieci anni di pena scontata, il condannato che abbia dimostrato segni di ravvedimento e mancanza di pericolosità sociale può ottenere brevi permessi-premio nonché l’autorizzazione a svolgere un lavoro fuori dal carcere. E infine, dopo 21 anni di buona condotta ed eventuale collaborazione con la giustizia, la possibilità di scontare la condanna in libertà vigilata. In tal caso, trascorsi trent’anni, la pena si considera estinta.
Se ne deduce che, in Italia, una vera e propria condanna a vita può essere evitata da chi dimostri, nel tempo, che la lezione è servita. Lo stesso concetto ispira le legislazioni di Inghilterra, Spagna, Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Belgio e Paesi Bassi, che pure prevedono l’ergastolo. Misura comunque esclusa, sempre in base al principio per cui la pena deve essere diretta alla riabilitazione del reo, dalle normative di Norvegia, Portogallo,Venezuela., Colombia, Ecuador e di molti dei 32 stati del Messico. In quanto agli USA l’ergastolo, con temperamenti vari, è previsto in quasi tutti gli Stati in cui è stata abolita la pena capitale.
Bene. Col pretesto, un po’ polemico, di un confronto tra pene umane e divine, consentitemi un piccolo sfogo su Dante Alighieri. Padre della lingua italiana, d’accordo, ma affetto, nella sua descrizione dell’Ergastolo delle Anime altrimenti detto Inferno, da una insana predilezione per il genere ‘horror’. Laddove manifesta quelle tendenze macabre, sadiche e vendicative che, a detta di illustri commentatori (Foscolo, De Sanctis, Croce, Borges e numerosi altri) offuscano non poco la sua immagine.
Nell’Inferno Dantesco, infatti, non solo la pena detentiva è, come da tradizione religiosa, eterna e priva dei benefici che sarebbero dovuti in considerazione del buon comportamento dell’Anima nel Cerchio assegnatole, ma altresì aggravata da mostruose torture. Evocate forse, ai tempi del Poeta, dal pulpito di qualche esagitato predicatore, ma inesistenti nelle Sacre Scritture dove (vedi in più punti il Vangelo di San Matteo) si accenna soltanto a non meglio specificate – anche se leggermente sospette – ‘tenebre con pianto e stridore di denti’.
Nella Guantanamo Dantesca, oltretutto, queste condanne eterne con annessi tormenti appaiono a dir poco assurde. Si pensi che verrebbero dannati in eterno perfino i famosi ‘birri’ riminesi del tempo che fu, confinati tra i seduttori e i ruffiani della prima Bolgia settimo Cerchio e frustati senza sosta dai demoni. Per non parlare dei golosi (??) dilaniati dal mostro Cerbero, degli iracondi (??) che si morsicano tra loro, dei pigri (??) che affogano sott’acqua, degli adulatori (??) immersi nella cacca, dei gay (??) stesi sotto una pioggia di fuoco… E perfino dei suicidi, poveracci, che oltre ad avere avuto una vita disperata si ritrovano, da morti, trasformati in piante straziate dalle Arpie.
Tutta gente, oltretutto, che, giudicata oggi da un tribunale, vedrebbe ovviamente archiviata ogni eventuale denuncia nei loro confronti. Ammesso e non concesso che si trovi qualcuno disposto a a trascinare in giudizio chi faccia indigestione di gelati, chi s’imbufalisca per la politica del governo, chi non abbia voglia di fare un tubo, chi lecchi il deretano ai potenti e chi abbia inclinazioni sessuali diverse dalle sue.
Da quando (1968) la Corte Costituzionale ha abrogato il reato di adulterio se la caverebbe pure la nostra Francesca. La quale, comunque non se la passa male neppure agli Inferi, considerato che Dante si limita a farla volare nella tempesta, abbracciata al suo Paolo, leggiadra, chiacchierina e (come si vede in tutti i dipinti che la ritraggono) seminuda a causa delle ventate che le sollevano le vesti. La ragione di questa strana predilezione del Poeta per una bella peccatrice? Mah! Probabilmente oltre che sadico, macabro e vendicativo, l’Alighieri era pure un ‘guardone’. Va a capire…
Giuliano Bonizzato
(nell’immagine in apertura: Ary Scheffer, Paolo e Francesca, 1835, Londra, Wallace Collection)
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