Paura per una famiglia che alla stazione di Rimini è incappata in un 27enne somalo ubriaco e, a quanto pare, con qualche problema mentale. Domenica sera verso le 21.30 il giovane, senza fissa dimora, già da un po’ stava infastidendo tassisti e passanti con insistenti richieste di elemosina. Anche una donna incinta con una figlia di 7 anni era stata seguita a lungo e tormentata con domande moleste.
Finchè il somalo ha messo nel mirino una famiglia bengalese, marito di 46 anni, moglie e figlia di 6 anni. Anche su di loro sono piovute pretese di denaro inframmezzate a frasi sconclusionate, finchè a un certo punto il 27enne avrebbe cercato di afferrare la bambina, secondo lui per gioco. La piccola non sarebbe stata neppure toccata, ma i genitori, comprensibilmente spaventati, l’hanno presa in braccio e si sono affrettati verso il loro negozio in corso Giovanni XXIII.
Ma la persecuzione non era finita. Il somalo pur barcollante ha continuato a seguirli fino al Borgo Marina continuando a chiedere soldi e birra, piazzandosi poi davanti al negozio dove la famiglia si era rifugiata e poi molestando anche una coppia di turisti che intedevano acquistare una bottiglietta d’acqua. Qualcuno lo averebbe anche visto slacciarsi i pantaloni e mimare un atto sessuale.
A quel punto il padre della bambina è uscito dal negozio ed è tornato alla stazione per chiedere aiuto ai militari dell’operazione “Strade sicure” che aveva notato poco prima di pattuglia nella zona. I soldati hanno immediatamente avvertito i Carabinieri, che si trovavano a pochissima distanza con un’auto del Nucleo operativo e Radiomobile. Non c’è stato neppure bisogno di ricercare il molestatore, poichè anch’egli era tornato alla stazione stando sempre alle calcagna del padre di famiglia.
I militari hhanno condotto il somalo in caserma, dove hanno anche raccolto la denuncia del genitore. Per il 27enne è scattata la denuncia per ubriachezza molesta, mentre sulla base di quanto dichiarato dal bengalese nella sua denuncia non ci sarebbero gli estremi per configurare reati più gravi.
(immagine d’archivio)