Rimini, chiusura negozi a Natale. Comune contrario: “Scelta del governo anacronistica e contraddittoria”
18 Dicembre 2024 / Redazione
L’assessore alle Attività Economiche del Comune di Rimini, Juri Magrini interviene sulla proposta di legge del Governo che consiste nella chiusura obbligata dei negozi durante le festività natalizie. “Chiudere obbligatoriamente i negozi nei giorni delle principali festività, pena sanzioni salate e, in caso di ‘recidiva’ serrande forzatamente abbassate. È la nuova proposta di legge, direi quanto meno anacronistica, presentata alla Camera da Fratelli d’Italia, per voce del capogruppo Galeazzo Bignami – spiega Magrini -. L’idea è semplice: obbligare le attività commerciali, tanto della grande quanto della piccola distribuzione, quindi dal negozio di vicinato ai grandi marchi presenti nei centri commerciali, a rimanere chiuse almeno in concomitanza con le sei festività nazionali (Natale, Santo Stefano, Pasqua, Capodanno, Primo Maggio e Ferragosto), con l’obiettivo di garantire ai lavoratori il diritto “a curare i propri interessi personali, famigliari, religiosi e culturali nelle giornate di festa”.
“Se lo scopo è comprensibile e condivisibile, non è lo sono altrettanto l’approccio e il metodo, impositivo e restrittivo, come ormai tendenza di questo esecutivo. Le perplessità sono diverse, tanto di principio, quanto di conseguenze pratiche che questa misura potrà avere sull’economia dell’intero comparto. Parto dall’aspetto che più ci interessa da vicino: è evidente che questa obbligatorietà possa avere riflessi diversi in territori con maggiore o minore vocazione turistica. E’ abbastanza ovvio notare come per realtà che proprio nei periodi delle feste attirano i flussi più consistenti di visitatori sia penalizzante doversi presentare con le serrande abbassate, sia per la perdita di potenziali incassi per le attività sia per la perdita di attrattività – sottolinea l’assessore -. È poi contradditorio il fatto che possano invece restare aperti esercizi pubblici, lasciando quindi la possibilità di lavorare solo a bar, ristoranti, via dicendo. Già questa noncuranza rispetto alle diverse esigenze e peculiarità dei diversi territori basterebbe ad etichettare la proposta come controproducente oltre che inutile, a fronte di un contesto attuale dove esiste la sacrosanta libertà per le diverse realtà commerciali di decidere quando e come aprire”.
“Non esulo inoltre dal tema, serio, delle condizioni dei lavoratori, in particolare delle grandi catene commerciali. E qui ne deriva una questione di principio: non è imponendo sei giorni di chiusura obbligatoria che si tutelano gli imprescindibili diritti dei dipendenti, ma è garantendo la turnazione, stipendi adeguati, riconoscimento degli straordinari, orari conciliabili con i tempi di vita, un’organizzazione del lavoro rispettosa di tutte le parti. Obiettivi che si possono assicurare e rafforzare attraverso il libero confronto con il sistema imprenditoriale, con i grandi gruppi, e non facendo marcia indietro sulla liberalizzazione con misure restrittive e meccanismi sanzionatori” – conclude Magrini.