Nell’America degli anni della crisi di Wall Street e del New Deal, si poneva di fronte al quotidiano con uno sguardo che prova a ricercare l’esistenza di un senso. Parliamo di Edward Hopper (1882-1967), il grande pittore realista americano, a cui il Meeting di Rimini nel 2006 dedicò una mostra che in questi giorni verrà riproposta nel centro del capoluogo romagnolo.
La mostra EDWARD HOPPER – La realtà e l’oltre sarà esposta dal 4 al 20 agosto 2023, da lunedì a sabato ore 8.00-13.00 nella Biblioteca Comunale Galleria dell’Immagine, via Gambalunga 27, Rimini
ingresso libero
«Siamo particolarmente onorati», è il commento di Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting, «di poter arricchire la vita culturale estiva di Rimini con una mostra significativa che vuole aprire lo sguardo verso un “oltre” non determinato dalle difficoltà del momento, ma che suscita e ispira il coraggio e la pazienza di affrontarle».
La mostra, articolata in 36 pannelli, è stata curata da Elena Pontiggia in collaborazione con Paola Bacuzzi, Silvia Banzatti, Andrea Bonalume, Gabriele Cantoni, Camillo Fornasieri, Miriam Melzi e Marco Vianello, con la cura grafica di Sabrina Toni, e permette uno sguardo complessivo sulla vita e l’opera dell’artista nato nello Stato di New York sulle rive del fiume Hudson. Si parte con la formazione, la sua adesione al “Gruppo degli otto”, il viaggio a Parigi – decisivo per la sua formazione – e il ritorno in America. Il percorso della mostra illustra le varie scelte tecniche e artistiche di Hopper, l’illustrazione, le acqueforti, ma anche il rapporto con De Chirico e la sua passione per il cinema (Wim Wenders definiva i quadri di Hopper “l’inizio di un film americano”). Il percorso prosegue contestualizzando il pittore nella scena americana, in particolare nell’America della crisi, racconta il rapporto con la moglie Jo e l’importanza di Cape Cod, dove si traferì, luogo rappresentato in moltissime sue opere.
Altri punti toccati nell’esposizione sono l’immagine della città, vista però come luogo solitario e deserto, e il tema della solitudine – assolutamente centrale nella sua opera – , ma anche di quella che chiamava “l’ora squisita”, un tempo in cui l’uomo appare sospeso tra il presente e l’infinito. L’attenzione infine è rivolta ad un altro tema cardine della sua opera, l’attesa, e il tema del sole – e della luce in generale – come nostalgia del rapporto con l’infinito.
Hopper infatti non si limitava a registrare l’esistente, ma si apriva alla possibilità dell’infinito, ricercandone le tracce non in una dimensione trascendente ma nella realtà che lo circondava, fatta non tanto dei grattacieli e delle luci di Broadway quanto dell’orizzonte ristretto della provincia americana.
Il realismo, o meglio la fedeltà al reale, non si esaurisce per Hopper nella rappresentazione mimetica di ciò che ha di fronte, ma emerge innanzitutto nella fedeltà a ciò che il rapporto con la realtà, dialettico e talvolta drammatico, suscita in lui: «Il mio ideale in pittura è sempre stato la trascrizione più esatta possibile delle impressioni più intime che mi suscita la natura». Nella rappresentazione della realtà Hopper fissa l’attenzione, in particolare, sulla luce – «Forse io non sono molto umano. Tutto quello che volevo fare era dipingere la luce del sole sul lato di una casa» -, elemento in cui riconosce la possibilità di uno sguardo nuovo, più profondo, sulle cose.
Focalizzando l’attenzione sulle opere principali dell’artista, la mostra illustra la poetica di Hopper, sottolineandone i legami con la filosofia (Emerson) e la poesia (Verlaine, Goethe, Frost). Contemporaneamente, si tiene come riferimento il panorama dell’America dei suoi anni, con paralleli ed esempi nel campo della fotografia e del cinema.