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Nella stagione di Gaburro si salva solo Zaccagno


Rimini senza cultura sportiva e la presunzione ha presentato il conto


13 Maggio 2023 / Enzo Pirroni

Dopo tanto tempo torno a scrivere di calcio. Nereo Rocco, amico di mio padre (avevano giocato insieme nella Triestina d’antan) soleva dire: “Gino, credeme,  alenar xe mejo che lavorar!” e lo diceva con aria sorniona come fosse il cagnone di Walt Disney. La professione di allenatore, un tempo marginale, venne riabilitata da un argentino (così sosteneva) fanfarone e furbo: Helenio Herrera. Fu lui a fare la fortuna di tutti gli allenatori che sono venuti in seguito.

Gaburro, è un veneto colto e non stupido. Sapeva bene, non avendo mai allenato tra i professionisti che avrebbe incontrato difficoltà e difficoltà ne ha trovate certamente. Tuttavia ha perseverato. Ha continuato con indifferenza, cercando dialetticamente di giustificare, prima di tutti se stesso poi la squadra. Sono convinto che si fosse, da tempo, reso conto del progressivo scollamento tra lui ed i giocatori (sempre grandi gigli di buona donna, senza distinzione alcuna), ma non ha avuto l’onestà di fare un passo indietro.

In primis manducare, deinde pedatare! Si è così invescato in un gromerulo di sperimenti, prove, contorsioni tecniche, tutte malamente giustificate, finendo col perdere definitivamente la fiducia dei suoi “prodi”, abili soldati di ventura.  Fortuna ha voluto che nel girone di andata avesse raccolto punti sufficienti per giungere indenne al gran finale.

Se mi chiedessero a chi sono grato tra i tanti giocatori che hanno indossato la maglia biancorossa, dire, senza esitazione, Zaccagno. Dobbiamo ringraziare lui se abbiamo, in un certo senso, felicitato.

Ora vado a ritroso nel tempo (è un difetto dei vecchi trovare conforto nella memoria) e mi chiedo: come si sarebbero comportati Renato Lucchi, Romolo Bizzotto, Cesare Meucci e per salire nella scala dei valori, Arrigo Sacchi, Natalino Faccenda, Gino Pivatelli per arrivare al sublime Osvaldo Bagnoli? Sono convinto che tutti costoro (ed anche altri che non ho menzionato) avrebbero mantenuta la squadra coesa, avrebbero costruito una struttura portante ed attorno a questa avrebbero, di volta in volta, apportato aggiustamenti, modifiche, cambi.

Questo non è avvenuto. L’inesperienza, o se si vuole la presunzione, alla fine hanno presentato il conto. Nulla di strano quindi. Si ripartirà, se si ripartirà ed i quindici irriducibili tifosi assetati sul piazzale antistante lo Stadio, disquisiranno, litigheranno, produrranno cabale,  pronostici, sogneranno grandi traguardi.

Ma siamo a Rimini. Rimini, a differenza di Cesena non possiede cultura sportiva. A dire il vero non possiede cultura, perché la cultura a noi riminesi è molesta. Ci fu un capo di stato che ci definì: affittacamere, ruffiani e lenoni.  Con i dovuti distinguo, questa affermazione non si discostava dal vero. Nel frattempo il prato del vecchio Stadio, progettato dall’Ing. Stramigioli nel 1933, è stato spogliato delle porte, in attesa che i novelli barbari lo calpestino per assistere al concerto di Vasco Rossi. Cosa vogliamo sperare?

Enzo Pirroni