Il 27 novembre 1943, verso le 13, una formazione di aerea inglese di 51 (o 54) velivoli effettua un'incursione su Rimini. Il bombardamento continua per una ventina di minuti, con mitragliamenti e spezzonamenti anche a bassa quota. Il giorno prima, 26 novembre, l'attacco aereo era avvenuto in tre riprese a partire dalle 11.50 e fino alle 15.30. Una cinquantina fra bombardieri e caccia di scorta avevano sorvolato la città sganciando le bombe da altissima quota, fra i 6 ed i 7 mila metri. [caption id="attachment_67628" align="aligncenter" width="665"] PIazza Giulio Cesare oggi Tre Martiri[/caption] Alle fine si contano 14 morti: 11 italiani, due militari tedeschi e un cinese: è "Clavatte-clavatte", un venditore ambulante di cravatte conosciuto da tutti i Riminesi e sorpreso dalle bombe sotto un portico dell'allora piazza Giulio Cesare (oggi Tre Martiri). [caption id="attachment_67626" align="aligncenter" width="659"] Le macerie della caserma "Castelfidardo" nell'dierno piazzale Gramsci[/caption] Il numero delle vittime viene considerato «poco elevato» perché una volta tanto l'allarme era stato dato in tempo e molti erano riusciti a raggiungere i rifugi. Ma soprattutto, dal 20 novembre era iniziata l'evacuazione in massa, obbligatoria della popolazione civile nelle campagne circostanti, nonostante mille problemi di trasporto e di accoglienza, lasciati per lo più all'arte di arrangiarsi. Saturati ben presto gli
Dopo una brillante campagna nella Marca e nel Montefeltro, Sigismondo Malatesta fa appena in tempo a godersi il suo trionfo a Rimini che il 21 agosto 1446 arriva la notizia: Feltreschi e Sforzeschi sono in grado di passare alla controffensiva. Francesco Sforza da Pesaro ha attaccato Pieve de la Trassola, sul Foglia. E Sigismondo deve accorrere per tamponare una scorreria del conte Dolce dell’Anguillara a Monteluro. Sembrano scaramucce. Invece, come annota sbrigativamente l'urbinate Pierantonio Paltroni, segretario e primo biografo del Duca di Urbino, ("Commentari della vita et gesti dell'illustrissimo Federico Duca ďUrbino"), lo Sforza «se andò a campo a Gradara dove si stette quaranta die, che may fece altro che piovere et mettere neve continuamente con grandissima tempesta, intanto che may fo pusibili a dare battaglia». Più o meno sulla stessa sintetica - e reticente - linea il racconto di un altro cortigiano di Federico da Montefeltro, il suo cancelliere Ser Guerriero da Gubbio: «El signore mes. Alixandro (Sforza) che havea abandonato el conte suo fratello (Francesco, futuro Duca di Milano), vedute le cose prospere, se retornò; a li preghi del quale prefati conti con lo exercito andarono a campo a Gradara, dove per uno tempo teribilissimo campegiaro er bambardaro; et lì fo
Il 26 novembre 1917 a Riccione c'è un tempo da lupi. La pioggia è ormai nevischio e la bora spazza il mare, che vicino alla costa si solleva in ondate impressionanti, trascinando verso la costa una nave che disperatamente cerca di riguadagnare il largo. E' il cacciatorpediniere della Regia Marina Italiana "Zeffiro". [caption id="attachment_67576" align="aligncenter" width="663"] Il cacciatorpediniere "Zeffiro" in navigazione[/caption] Ne «Il “naufragio” dello ‘Zeffiro’ a Riccione - Fogliano, 26 novembre 1917 - Atto eroico di Gianbattista Joris» (Edizioni la Piazza - 2012), Fosco Rocchetta ha ricostruito un episodio rimasto nelle memoria dei Riccionesi, avvenuto durante uno dei periodi più drammatici per l'intero Paese. Appena un mese prima, il 24 ottobre, l'esercito italiano aveva subito la disastrosa sconfitta di Caporetto: oltre 40 mila fra morti e feriti, 265 mila prigionieri, un'armata annientata, le altre in rovinosa ritirata. Sconfitta, ma non disfatta: proprio quel 26 novembre sul Piave si stava combattendo la battaglia decisiva, quella che avrebbe arrestato l'avanzata austriaca, giunta ormai a pochi chilometri da Venezia e sul punto di invadere tutta la Val Padana. Intanto, però, mezzo milione di profughi friulani e veneti si erano dovuti riversare dietro le linee italiane, di fronte agli austro-ungarici inferociti dal desiderio di vendetta per il "tradimento" italiano
Sul tribunale dell'Inquisizione si sono versati e si verseranno fiumi d'inchiostro. Una delle infamie peggiori di cui si macchiò la Chiesa o solo una "leggenda nera" imbastita soprattutto in ambienti protestanti? La verità storica, come sempre, ha molte più sfumature; senza dimenticare che durante la sua vicenda plurisecolare (sorse nel XII secolo per terminare solo nel 1908) il tribunale cambiò molte volte; e molto differenti da luogo a luogo furono i suoi modi di agire. [caption id="attachment_67413" align="aligncenter" width="676"] Édouard Moyse: "Inquisition" (1880)[/caption] Di certo, ciò che ripugna alle moderne coscienze laiche è che l'Inquisizione fu senza dubbio un tribunale che giudicava le idee. Ma che queste debbano essere libere e liberamente espresse è appunto un concetto moderno, elaborato lentamente solo a partire dal Settecento e, come sappiamo, ancora oggi ben lontano dall'affermarsi ovunque. Il tribunale dell'Inquisizione non ha una data esatta di nascita. Secondo i più ebbe origine ai tempi di papa Lucio III e dell'imperatore Federico Barbarossa. Siamo alla fine del XII secolo e il pericolo da cui ci si vuole difendere è quello degli eretici. Papato e Impero, pur fra mille contraddizioni, furono generalmente concordi nel combattere movimenti che minavano l'autorità di entrambi. Gli eretici servirono però anche come strumento politico. Quindi a qualcuno,
"Il Villano smascherato, operetta ridicolosa di Girolamo Cirelli" è un manoscritto datato in "Rimini, 24 novembre 1694". G.L Masetti Zannini lo diede alle stampe per la prima volta nel 1967 sulla Rivista di storia dell'agricoltura con il titolo "Un trattato inedito e sconosciuto sulle tradizioni dei contadini romagnoli". E in effetti proprio di questo si tratta: la prima raccolta degli usi e costumi che per secoli hanno regnato nella campagne, soprattutto riminesi. Gli studiosi sono quasi tutti concordi nell'attribuire l'operetta all'abate Giovanni Antonio Battarra, che l'avrebbe in realtà scritto nel Settecento accanto alla sua celebre "Pratica agraria" (1778), lavoro che lo fa riconoscere come il pioniere della scienza folcloristica italiana. [caption id="attachment_405224" align="alignleft" width="1004"] Giovanni Antonio Battarra[/caption] "Il villano smascherato" è ancora una vera miniera di informazioni sulle tradizioni contadine, nonostante l'autore le descriva con dileggio e con l'intenzione di satireggiare sulle "malizie" dei campagnoli, dall'alto della sua cultura e del suo essere invece "di città" (l'abate era però nato da un'umile famiglia alla Pedriola di Coriano). Era Vasto spazio trovano le abitudini gastronomiche, come quelle nelle occasioni di festa. Per esempio ai matrimoni «i cibi sono grossolani: carni di bue, vitello e pollami, ma il tutto poco cotto e stagionato», mentre invece le classi alte
Il 23 novembre 1923 nasce a Rimini Veniero Accreman: avvocato, politico e saggista. Sindaco di Rimini fra l'aprile 1957 e il gennaio 1958, durante il suo mandato prese il via la costruzione del grattacielo. E' stato membro della Camera dei Deputati per tre legislature. Si è spento il 27 dicembre del 2016: https://archivio.chiamamicitta.it/morto-veniero-accreman/ https://archivio.chiamamicitta.it/caro-veniero-bella-testa-quei-capelli/ https://www.chiamamicitta.it/cosi-veniero-ci-salutati/ https://archivio.chiamamicitta.it/visto-veniero-piangere/
Come scrive Attilio Giusti in "Diario Riminese dal 1930 al 1960", «Il 22 novembre 1934 si costituisce il Club Nautico di Rimini». Primo presidente è il conte Guido Mattioli Belmonte Cima. La sede del Club è alla foce dell'Ausa. [caption id="attachment_66935" align="aligncenter" width="683"] Guido Mattioli Belmonte Cima[/caption] Nel sito del Club Nautico si legge che il tutto ebbe in realtà inizio «nell’ormai lontano 1933, quando Gaspare Stacchini, socio fondatore del Club, donò alla allora “Società Nautica Rimini” un cutter di m. 6,50 destinato alla scuola di vela nel porticciolo dell’Ausa. L’attività del Club ebbe inizio basandosi essenzialmente sulle regate per barche a deriva e costituì un polo d’attrazione nell’Adriatico, tanto che il rapido sviluppo del Club Nautico Rimini in quegli anni, è documentato da una pubblicazione dell’USVI del 1948 (Unione Società Veliche Italiane, quella che oggi è la Federazione Italiana Vela) dove una foto mostra gli “Snipe”‘ all’ormeggio nel porticciolo della “Società Nautica Rimini”». Modello e antagonista sulle prime è Trieste, con la sua intensa attività di regate nell'Adriatico. Ma presto «le Jole olimpiche, le derive nazionali-olimpiche, i dinghies 12 piedi, intrecciarono una miriade di rapporti che pian piano portarono i colori del Club Nautico agli appuntamenti più importanti della Vela nazionale, fino a
Il 21 novembre 1945 il Comune di Rimini completa la relazione contenente i «Dati statistici delle distruzioni di guerra al centro urbano di Rimini». La relazione viene inviata al Governo il 27 dello stesso mese. In sintesi, la relazione così elencava i danni: il 75% dei fabbricati distrutti o inagibili; l’acquedotto comunale inutilizzabile; l’ospedale civile parzialmente distrutto e privo di attrezzature; il cimitero impraticabile con diverse tumulazioni scoperte; i ponti stradali e ferroviari quasi tutti annientati e danneggiati; la stazione ferroviaria e le linee secondarie distrutte e prive di materiale; la filovia Rimini-Riccione inutilizzabile per la distruzione delle carrozze e per l’asportazione delle linee aeree; gli edifici scolastici quasi tutti crollati; le strade urbane e del forese generalmente deteriorate ed ingombre di macerie; le chiese tutte distrutte, tranne due; gli impianti di gas, luce, telefono, interrotti ed inutilizzabili; l’attrezzatura turistico-balneare, annientata per i 4/5; l’agricoltura danneggiata gravemente; i cantieri navali distrutti e la flotta peschereccia totalmente affondata; il teatro comunale parzialmente distrutto. Su 72 mila residenti, 43 mila erano senza casa. Su 121.500 vani censiti prima della guerra, 109.350 risultavano distrutti o inabitabili. Urgeva un piano regolatore per la ricostruzione. Il primo a essere redatto fu quello dell'architetto Ernesto La Padula; docente a Roma, fra
Gregorio nasce a Rimini intorno al 1300. Della sua famiglia e della sua provenienza non si sa nulla, anche se nei secoli in tanti si sono sforzati di trovargli un cognone. E' noto invece che riceve la sua prima formazione nell'Ordine mendicante degli Eremitani di Sant'Agostino, nel quale era entrato. Studia poi alla Sorbonne di Parigi (dal 1322/23 al 1328/29), fino al conseguimento del baccellierato. E' lettore all'università di Bologna tra il 1329 e il 1338, poi in quelle di Padova e a Perugia. Torna nel 1340-1342 a Parigi, dove prepara le lezioni sulle Sentenze di Pietro Lombardo, che tiene nel 1343-1344. Nel 1345 consegue il grado di Magister teologica. Nel 1346 è a Rimini per recarsi l'anno successivo a Padova. Nel 1351 il Capitolo generale di Basilea lo nomina lector principalis nel recentemente costituito Studium agostiniano di Rimini e lo incarica, a ulteriore prova della sua autorevolezza, di procedere alla nomina del nuovo priore del convento. Lo Studium, oggi diremmo università, fu da subito e per secoli un centro culturale di massimo livello, che dopo il terremoto del 1786 si diede la grandiosa sede che ancora oggi vediamo. Nel 1357 Gregorio diviene priore generale degli Agostiniani come successore di Tommaso di Strasburgo. Il 20
Elisabetta Renzi nasce a Saludecio il 19 novembre 1786. La famiglia è benestante: il padre Giambattista Renzi è perito estimatore, la madre Vittoria Boni proviene da una famiglia nobile di Urbino. Nel 1791 i Renzi si trasferiscono a Mondaino. Secondo l’usanza del tempo, la fanciulla viene affidata alle monache Clarisse perché riceva un’adeguata formazione. All’età di 21 anni Elisabetta chiede di entrare nel monastero delle Agostiniane di Pietrarubbia. Nel 1810 Napoleone sopprime il monastero ed Elisabetta, suo malgrado, deve tornare in famiglia. Nel 1813, l’unica sorella, Dorotea, muore all’età di vent’anni. Passano quattordici anni di ricerca e travaglio interiore. Un giorno, mentre sta cavalcando, Elisabetta viene sbalzata dal cavallo imbizzarrito. Si rialza incolume ed interpreta questa caduta come il segno di una chiamata di Dio. Si consiglia con il suo direttore spirituale don Vitale Corbucci che la rassicura, indicandole Coriano dove funziona un “Conservatorio”, una scuola per le ragazze più povere. Elisabetta arriva a Coriano il 29 aprile 1824. In seguito il vescovo di Rimini Ottavio Zollio la nomina Superiora della piccola comunità. Nel 1828 Elisabetta traccia alcune norme di vita spirituale e comunitaria con il Regolamento delle “Povere del Crocifisso”: insiste sul distacco dal mondo per vivere lo spirito della croce, indispensabile per
Era discendente di papa Pio II, il peggior nemico di Sigismondo
Il 17 novembre 1228 (o il 16, secondo Guidantonio Zanetti, se non il 18, stando a Luigi Tonini) Rimini e Città di Castello firmano solennemente un patto di alleanza. Come scrive il Tonini, «Il Popolo di Urbino era vincolato da obbligazioni solennemente promesse tanto al Comune di Città di Castello quanto a quello di Rimini. Or questi dubitando per avventura della fede degli Urbinati, a meglio contenerli trovarono acconcio di stringer lega fra loro, celebrandola in Città di Castello». La cerimonia si svolge durante il Consiglio generale di Città di Castello; per i Tifernati firma il Sindaco Uberto Armanne, per i Riminesi il suo pari grado Gualterio Caldani. [caption id="attachment_66253" align="aligncenter" width="864"] Città di Castello: Porta S. Maria in una fotografia di fine '800[/caption] Patti di questo genere sono molto frequenti in quegli anni e Rimini è una delle città più attive nell'intessere rapporti diplomatici. Ma l'interesse maggiore di questo documento per noi è un altro e si trova proprio al suo incipit, che, come traduce Luigi Tonini «nel volgar nostro suona: "Ad onore di Dio e di Maria sempre Vergine, e del B. Giuliano Martire, e de' BB. Florido e Amanzio Confessori, e degli altri Santi di Dio, e ad onore di Papa Gregorio