Archive

Il proverbiale autolesionismo riminese che ha inchiodato col fuoco amico i vini Felliniani e molto altro

-“Quanto è buono il Sangiovese- che si beve sulla via-soprattutto sulla mia…” -Senti come è allegro oggi Lorenzo De Medici- mormora Sigismondo Malatesta rivolto a Federico Fellini che siede vicino a lui su una nuvoletta bianco-rossa. - Ci credo! Il Magnifico ha sempre la Toscana nel cuore e gli ultimi dati sulla vendita del suo Chianti delle strade Medicee l’hanno messo di buonumore… - “Chi vuol esser lieto sia- del doman non v’è certezza!”… Soprattutto per quanto riguarda il vostro Sangiovese! - esclama ilare Lorenzo, rivolto ai due riminesi. - E’ vero!-risponde Federico sorridendogli- Col vino voi toscani ci sapete davvero fare, debbo riconoscerlo. Il vostro Chianti altro non è che un buon Sangiovese, eppure, diversamente da noi, siete riusciti a conferire al vostro prodotto, un’anima, un fascino, che creano aspettativa e fiducia… Come quando avete fatto diventare famoso il “Nobile di Montepulciano” associandolo alla suggestive Cantine che si trovano nei sotterranei di quel Borgo rinascimentale… -Già! E noi invece sempre indietro come le palle dei cani- brontola Glauco Cosmi, seduto in disparte su un nuvolone nero. Appena un riminese ha una buona idea nasce subito un comitato contro…. Come con la Cittadella del vino di quell’Alfredo Monterumisi che voleva lanciare le grotte vinarie di

Cosa sarebbero l'Italia e la Romagna senza il loro artigianato?

Artigianato. Ne ho parlato due settimane fa a proposito della necessità di tutelare la tradizionale conduzione dei nostri stabilimenti balneari. Aggiungo che mi sono sempre sentito particolarmente vicino alla categoria. Un sentimento che nasce dall’ammirazione per una forma di intelligenza, quella manuale, che io pongo sullo stesso piano di quella intellettuale. E’ l’intelligenza di chi manipola, plasma, inventa, sperimenta, risolve e infine crea. Da qui, il desiderio di avvicinarmi al mondo, affascinante, di chi questa intelligenza possiede al massimo grado. Desiderio esaudito, grazie al caro amico scomparso Mauro Gardenghi per quarant’anni Segretario della Confartigianato e promotore di straordinarie iniziative nel settore, che mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con personaggi indimenticabili. E di capire che all’intelligenza delle mani si accompagna sempre il battito del cuore. Già, il cuore. Lo senti, questo cuore, anche quando l’artigiano diventa piccolo imprenditore. Perché, comunque vada, i rapporti che il Maestro ha con i dipendenti sono gli stessi che intrattiene con i figli cui ha trasmesso la gioia di trasformare la materia in un prodotto artistico unico e irripetibile. Il nostro Artigianato non ha eguali. E ciò per il semplice fatto che siamo portatori di una tradizione di cose belle da quando - tanto per

Assumiamo diversi aspetti a seconda del punto di vista di chi ci osserva. E dunque non siamo nessuno

Un vecchio collega di Forlì che non vedevo da anni mi dice, durante una passeggiata lungo le imbarcazioni ormeggiate sulla Via Destra del Porto, di avermi sempre ritenuto un esperto di nautica. Un po’ stupito (considerati i trascorsi rapporti esclusivamente professionali) gli chiedo come si sia fatta questa idea. Mi risponde di aver molto apprezzato, ‘tantissimi anni fa’, la mia telecronaca di un regata organizzata dal Club Nautico di Rimini. –Ricordo che avevi in testa un berretto da marinaio che ricordava molto quello di Corto Maltese…”. Gli spiego che il fatto risale ai tempi pioneristici di Telerimini quando (giovane legale dell’emittente e con qualche esperienza televisiva alle spalle) avevo accettato di sostituire il cronista ufficiale di quella gara, infortunatosi all’ultimo momento in un incidente stradale. E gli confesso che, pur possedendo allora e in società con tre amici una vecchia iole olimpica di seconda mano, non sapevo proprio nulla di competizioni nautiche. Non solo! Da autodidatta maldestro (per quella barca non occorreva la patente) rischiavo regolarmente una collisione ogni volta che rientravo in porto… Però sapevo di poter contare sull’amico carissimo (e purtroppo scomparso) Vezio Amati, esperto navigatore, che, per l’occasione, mi ospitò sulla sua imbarcazione sussurrandomi continuamente all’orecchio le nozioni

Indispensabile salvaguardare il modello del bagnino romagnolo

Si parla e si scrive molto in questi giorni di artigianato italiano. Di come costituisca una eccellenza nella sua peculiarità, una vera grande ricchezza per il nostro paese. E, di conseguenza, della necessità che venga aiutato concretamente a superare il calo dei consumi, la tirchieria delle banche, gli affitti alle stelle e, mi permetto di aggiungere, la direttiva europea detta Bolkestein. Già. Perché ciò che caratterizza e ha reso imbattibile il nostro modello balneare è proprio l’anima artigianale. Quella dell’uomo, libero, creativo, indipendente, al centro del ciclo produttivo, e dunque immerso in una attività non alienante, basata sulla prevalente conduzione familiare e in grado, come tale, di coinvolgere anche affettivamente i fruitori del servizio. C’è perfino chi (e non mi riferisco soltanto ai residenti) ha visto crescere figli e nipoti assieme ai figli e ai nipoti del ‘suo’ bagnino! Se poi pensiamo che, su tutto questo, viene calato l’asso della romagnolità, vale a dire un modo di interpretare l’accoglienza che ha fatto scuola in tutto il mondo, riusciamo a capire perché neppure i cinesi, che ormai sono dappertutto, si siano mai sognati di investire su una sabbia che parla soltanto romagnolo. Indispensabile, di conseguenza, salvaguardare questo modello quando, al rinnovo delle concessioni

Il racconto, e la lacrima, dell'operatrice socio-sanitaria

“Quando entri nella vita della gente le giornate non finiscono mai. La cosa più brutta è che cominci pian piano a identificarti con quelli che cerchi di aiutare, e che finiscono poi per cercare solo te, sempre te, in tutte le ore del giorno e della notte… Certe volte non riesci più a distinguere la tua vita dalla loro e poi cominci a chiederti se sei veramente all’altezza, e questo è un tarlo che ti rode dentro e ti consuma…”. “Lavori mesi e mesi per convincere un tossico a mollare la sostanza e a scalare col metadone e poi arriva il figlio di puttana che gli dà la dose gratis e in un attimo quello si ritrova nella merda di prima… Da me vengono i poveracci che sciolgono ero tagliata male nei cucchiaini sporchi riscaldati con gli accendini e che per una dose rubano e spacciano, io cambio siringhe sterili con quelle usate, distribuisco consigli e preservativi alle tossiche che si fanno per trovare la forza di prostituirsi e che si prostituiscono per potersi rifare di nuovo rimediando la roba anche per quel porco del loro uomo che altrimenti le mena…”. “Comunque negli ultimi anni tutto è cambiato. I vecchi tossici dell’ero,

Ma perfino il neanderthaliano che è in noi deve riconoscere che le cose stanno cambiando

Dopo le strizzate del fisioterapista che gli ha risistemato la schiena, esce in giacca e camicia sotto l’acquazzone. Pensa: “Quando raggiungerò finalmente quel bar laggiù in fondo, dopo una bella corsa, otterrò, sia pure in misura ridotta (ma mettendo in circolo le medesime endorfine!) lo stesso premio naturale che duecentomila anni fa gratificava l’uomo di Neanderthal quando raggiungeva e abbatteva la preda”. Proprio così. E mentre, prima di entrare nel locale, si sfila i mocassini per farne uscire l’acqua, si convince sempre più di quanto sia difficile liberarsi dai condizionamenti accumulatisi per millenni in quella che il buon Jung definiva ‘paleopsiche’. Già. Il cervello antico. La ‘caldaia biologica’ A pensarci bene il maschilismo o mentalità patriarcale che dir si voglia, è ben simboleggiato dagli antichi gruppi di caccia dai quali le femmine erano rigorosamente escluse. Gruppi sopravvissuti al giorno d’oggi sotto forma di Club, Logge, Squadre, bande

E allora a sdrammatizzare ci provai io con una striscia a fumetti

Era inevitabile. Dopo aver rievocato il comportamento della Celere e degli studenti universitari negli anni immediatamente precedenti la contestazione, (poi venne il ’68 e non rise più nessuno ) non ho resistito al desiderio di riprendere in mano un testo che, a suo tempo, mi aveva particolarmente interessato. Si tratta di ‘A Rimini il 68 degli studenti. Storia di un inizio' a cura di Fabio Bruschi) uscito nel 2017 (Editore Panozzo) in occasione del cinquantenario del mitico (nel bene e nel male) anno di cui sopra. Sfogliandolo e soffermandomi sulla documentazione fotografica che accompagna i saggi di Giuseppe Chicchi, Fabio Bruschi Piero Meldini, Leonardo Montecchi, Elisa Gardini, Gianfranco Miro Gori, Jader Viroli, ho rivisto i volti ancora imberbi di tanti ragazzi (molti dei quali sono – o purtroppo furono - miei amici carissimi) che vissero in prima persona quegli esordi. E ancora una volta, ripensando al tradizionale eschimo e maglione adottato 5 o 6 anni dopo nelle Università, provo un sentimento di tenerezza ritrovando ognuno di loro ritratto in giacca e cravatta… Come Bruno Sacchini, Cesare Biondelli e Antonio Zavoli, cattolici del dissenso, fondatori nel Circolo Maritain (1963). Come Franco Pesaresi giovanissimo sindacalista della CGIL. mentre regge uno striscione contro la guerra

C'era una volta il Reparto Celere con la sua ammirevole professionalità

Allora si chiamava ‘Celere’. E i ‘Celerini’ erano abilissimi piloti sulle loro jeep, specialisti nelle tecniche anti-sommossa, nonché, come vedremo (argomento del giorno!) nell’uso appropriato del manganello. Godevano infatti di un addestramento particolare rispetto agli altri e più numerosi ‘reparti mobili’. Impiegata, di conseguenza nelle situazioni più delicate, la presenza della Celere non poteva mancare, ogni anno, a un evento di massa che (anche se nulla aveva a che fare con cortei e manifestazioni di protesta) si presentava decisamente anomalo: l’annuale Festa delle Matricole di Bologna. Tre giorni di straordinario caos allegria e gioia di vivere durante i quali le Autorità, lasciavano agli studenti la libertà di organizzarsi come volevano. In quel 1961 tutto si era svolto regolarmente e secondo programma. Sfilata dei Carri Allegorici, con la Romagna rappresentata dal Juke Box Umano di Gibo e Piero, Corsa dei “Carioli” per la micidale discesa di san Luca, recita vietata ai minori dell'Ifigonia in Cùlide davanti alla statua del Nettuno immutandato per l’occasione, fallosissima partita di pallone in costume Medievale in Piazza Maggiore. Più tutto il resto (ed era tanto) lasciato alla iniziativa e alla creatività dei singoli. E dunque c’era chi, travestito da vescovo, impartiva ai passanti benedizioni non richieste con

L'esorcista della Santa Sede Padre Gabriele Amorth ammoniva: "I giovani, preda favorita del Maligno, cercano l’amore nei luoghi sbagliati, nelle tenebre dove il diavolo ci sguazza"

Passeggiando domenica per Marina Centro mi è capitato di affiancare due anziane signore che, appena uscite dalla Messa, si trovavano d’accordo nel criticare vivacemente il sacerdote officiante. Ciò in quanto, costui, nel corso della predica, non avrebbe speso un parola sulla sanguinosa vicenda di chi, colto da delirio religioso, aveva sterminato moglie e figli per liberarli dal demonio. Ho proseguito il mio cammino pensando che sarebbe stato davvero imbarazzante per quel prete (che, d’altronde non avrebbe potuto dir altro!) richiamarsi ai polemici concetti espressi da Padre Gabriele Amorth, esorcista della Santa Sede e Presidente Internazionale degli Esorcisti, scomparso nel 2016. Il quale, in una intervista rilasciata nel 2007 al giornale cattolico on line “Petrus”, * affermava testualmente: “Come esorcista, ma prima ancora come sacerdote, ho il dovere di denunciare il colpevole immobilismo di tutti quei Vescovi - purtroppo, la maggior parte - che non formano e nominano esorcisti perché non credono nel demonio, non lo hanno mai studiato, non se ne sono mai occupati e di cui hanno solo una vaga credenza… La situazione è tragica! A chi mi riferisco? Basta guardarsi un po’ in giro! Tanto per restare in Italia, a Bologna non ci sono esorcisti, a Firenze si fatica

E' pericoloso inventare nuove parole, ma per fortuna tal Pecorazzi ha scelto di voler correre il mio stesso rischio

Dopo aver scoperto (vedi Rimining) la pericolosità di certi neologismi poco utilizzati, sono stato colto da un terribile dubbio. Quello di aver messo anch’io in circolazione vocaboli destinati a clamorosi equivoci. E così ho interpellato a mia volta mister Google per scoprire il destino delle mie invenzioni lessicali, raccolte addirittura in un dizionarietto pubblicato diversi anni fa da un periodico locale. Risultato? A dir poco avvilente. Eccone qualcuna. Gnassismo (“modello urbanistico di una città a misura di bicicletta”). Risposta Google :“Forse cercavi ‘gnosticismo’”… Vu-pissià (“Volenteroso extracomunitario munito di pitale con cui sopperire alle impellenti necessità fisiologiche dei partecipanti alla Molo Street Parade”) Risposta: “Pissia da Fermo. Martire Cristiana venerata come Santa dalla Chiesa”… Colonnite (“Patologia oculare da colonna classica con perdita totale o parziale della visione del palcoscenico” ): “Forse cercavi ‘colite’”… E via andando. Con una sola eccezione per Merdereologia (“Scienza che studia l’interazione dei fenomeni metereologici con lo sversamento dei liquami in mare”). Mister Google, infatti, consultato su tale nuova ‘voce’, richiama l’intervento a un Consiglio Comunale del Centro Italia di tal Pecorazzi, ove questi lamenta una “situazione merdereologica che non prevede miglioramenti in virtù del brusco intasamento dei cessi

Si faccia avanti un altro Asimov che promulghi le leggi idonee a tenere sotto controllo le persone elettroniche

Poiché in un recente convegno sulla intelligenza artificiale è stata tirata in ballo anche la mia professione, mi permetto, di richiamare quanto affermava un rimpianto Maestro quando mossi i miei primi passi nelle Aule di Giustizia “Ricordati che per vincere non basta questo (e indicava la propria testa) ma ci vuole anche questo (e metteva l’indice sul cuore)”. La macchina del futuro potrà infatti acquisire ed elaborare dati, analizzare razionalmente indizi e prove, essere in grado sia di imbastire una ineccepibile difesa che di redigere una sentenza dalle inattaccabili motivazioni. Ciò in virtù di algoritmi sempre più sofisticati e di un cervello elettronico in grado di immagazzinare una mole di dati e di precedenti dottrinari e giurisprudenziali difficilmente raggiungibile dalla mente umana. Già. La testa. E il cuore? Difendere e giudicare senza questo organo, altrettanto potente, significherebbe rinunciare non solo alla propria umanità ma anche alla vera giustizia. E’ col cuore, che in sede penale si creano potenti correnti empatiche che, viaggiando tra difensore, giudice e giurie, sono in grado di modificare circuiti mentali preconcetti e convinzioni radicate. Ed è sempre col cuore che in ambito civile si trovano soluzioni transattive, si riconciliano nemici giurati, si sciolgono i nodi di complesse situazioni familiari.

Ma perchè scrivere "Requiescant in pace" se c'è chi non applica neppure la sedazione profonda prevista dalla legge?

Se la vita è un dono dovrei poterne fare ciò che voglio. Ma se la mia vita non è mia, ma appartiene ad Altri (o a chi se ne proclama interprete o emissario) la faccenda potrebbe farsi davvero pericolosa. Perché potrei nascere nella Repubblica vagheggiata da Platone dove, quando non servi più, la vita te la tolgono anche se non vuoi, oppure in una Repubblica altrettanto Ideale dove invece pretendono di farti campare quando stai così male da non veder l’ora di staccare la spina. Senza offesa per nessuno. Prima che arrivasse il Cristianesimo era tutto più facile. Mario Monicelli si sarebbe tolto la vita conversando tranquillamente con gli amici, come Socrate, come Seneca. Il suo volto di filosofo antico si sarebbe disteso, sorridente, nella pace dell’eterno riposo… Ed invece quel volto, conquistato a poco a poco, negli anni, in virtù della sua bellezza interiore, si è spiaccicato al suolo dopo un volo dal quarto piano di un Ospedale. Lui, grande esteta, costretto a scegliere una fine quanto mai antiestetica. Tedium vitae. Cupio dissolvi. Arriveremo a vivere centocinquanta anni con un enorme desiderio, poi, di farci un dormita eterna… A proposito. Non ho mai capito perché, nei nostri cimiteri, si trovi scritto “Requiescant in pace”.