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se puoi insisti di andarci In un mio ormai lontano saggio apparso sul n. 14-15 di “Storie e Storia” nel 1986 a proposito de “La nascita della Federazione Comunista Riminese” scrivevo: “A Forlì il gruppo dirigente partigiano (in particolare gli esponenti cesenati dell’8.a Brigata Garibaldi) aveva assunto la direzione del Partito, e la manterrà per lunghi anni. A Rimini invece il gruppo proveniente dalla resistenza armata ai nazi-fascisti sarà ben presto emarginato, o meglio questo non riuscirà a diventare nuova classe dirigente”. Questa annotazione vale soprattutto per Rimini, perché in molti altri comuni del riminese saranno invece proprio i capi partigiani locali a prendere in mano le redini della ricostruzione delle città distrutte. [caption id="attachment_187302" align="aligncenter" width="818"] 27 giugno 1940. Nizza. Da sinistra, Ettore Croce, Decio Mercanti, … . Seduta, Sara Croce[/caption] Questo spunto, se volete anche abbastanza provocatorio, non ha mai dato corso ad ulteriori approfondimenti. Ed è un peccato. Si è preferito da parte di tanti autori fermarsi al racconto dei giorni gloriosi della Resistenza ai tedeschi e ai fascisti vissuti in maniera drammatica ed eroica dai partigiani e dai loro comandanti, senza poi guardare cosa è successo a questi negli anni successivi. Ad esempio degli uomini che guidarono la Resistenza

Difficile pensare oggi che un semplice operaio, con la sola scuola elementare fatta, possa ricoprire ruoli pubblici importanti e lasciare un segno nella propria città (l’unica figura odierna con questi requisiti che mi viene in mente è l’atuale Ministra alle politiche agricole Teresa Bellanova, 61 anni, bracciante a 14 anni, militante del PCI e sindacalista della CGIL). Ma nel dopoguerra il PCI formò e chiamò a ricoprire ruoli amministrativi e politici importanti molti lavoratori che contribuirono a costruire la rinata democrazia dopo gli anni del fascismo. [caption id="attachment_179492" align="alignleft" width="777"] Primi anni '60. Santarcangelo, Unicem. A destra Livio Bonanni[/caption] E’ questo anche il caso di Livio Bonanni, santarcangiolese, operaio del cementificio Buzzi-Unicem, per oltre 40 anni protagonista della vita politica e amministrativa del suo Comune. Bonanni nacque a Santarcangelo il 13 ottobre 1921, il terzo figlio di una famiglia contadina. Il padre, antifascista, fu picchiato dai fascisti e questo fatto segnò per sempre le scelte di Bonanni. Finita la scuola elementare venne mandato a fare il garzone presso un coltivatore diretto, per poi iniziare nel 1936 a lavorare come “bocia” in fabbrica, nel cementificio, per fare il “cempor” (un materiale poroso con cui si facevano piastrelle per isolare le abitazioni dal caldo in

Non è mai facile ricostruire biografie di persone che, seppur chiamate a ricoprire ruoli importanti, non hanno avuto l’onore di avere ricordi scritti su giornali e libri. E’ questo anche il caso di Romolo Bianchi che io conosciuto nei primi anni ’70 quando era un funzionario della Federazione comunista riminese. Figure tanto irrise i funzionari, dipinti spesso come dei “travet” della politica. Vorrei ce ne fossero oggi dei politici siffatti, con le loro competenze e capacità di relazionarsi con la gente. Bianchi un contadino prima, un operaio dopo, è stato capace di formarsi e diventare un dirigente politico riconosciuto dagli iscritti del suo partito, dagli elettori misanesi, dai cooperatori di un centinaio di aziende riminesi che lo vollero alla loro guida. Sulla base delle scarne informazioni reperite traccio un breve curriculum vitae di Bianchi (che però credo renda bene l’intensità della sua vita) e ne approfitto, anche grazie al contributo dell’amico Giancarlo Ciaroni, ultimo Presidente di Federcoop Rimini e primo Presidente di Legacoop Romagna nel dicembre 2013, di scrivere alcune brevissime annotazioni sull’organizzazione del movimento cooperativo riminese, quello “rosso”. Anche perché devo dire che, contrariamente a quello “bianco” che ha edito alcuni volumi sulla sua storia (in particolare Elio Pezzi “Probi Pionieri dell’Emilia-Romagna.

Fra Rimini e Pesaro ci sono poco più di 40 chilometri di distanza, si mangia la stessa piada e il maiale si chiama ugualmente baghino. Eppure è come se ci fosse un muro che divide le due realtà. I riminesi poco, o nulla, sanno della storia pesarese, delle sue vicende politiche e dei protagonisti che le hanno animate (pubblici amministratori o dirigenti di partito). Lo stesso avviene per la storia dei sette Comuni dell’alto Montefeltro i cui cittadini nel referendum del 17-18 dicembre 2006 all’84% si espressero per il passaggio di regione (dalle Marche all’Emilia-Romagna) e di provincia (da Pesaro-Urbino a Rimini). Passaggio che divenne ufficiale con la pubblicazione in Gazzetta, la n. 188, della legge n. 117/2009. Questa premessa è necessaria perché amici e compagni di Novafeltria mi hanno chiesto, visto che ho scritto ormai numerosi profili biografici di dirigenti comunisti del riminese per Chiamamicitta.it, di dedicarne uno anche a quello che loro ritengono il loro dirigente più prestigioso: Giuseppe Angelini. Invito che ho accolto ben volentieri, ma che non avrei mai potuto scrivere senza l’aiuto dell’ex Sindaco di Novafeltria Vincenzo Sebastiani e delle due figlie di Angelini, Chiara e Angela, che ringrazio vivamente, nonché di Mauro Annoni, Presidente dell’ISCOP di

Furono anni intensi quelli che Nicola "Niki" Pagliarani visse come Sindaco di Rimini. Disse nell’intervista a Giovagnoli (“Rimini Oggi”, n. 6, giugno 2002): “Se ho dei meriti è quello di aver portato a compimento il Parco Marecchia e quello dell’Ausa e i programmi relativi ai PEEP, che sotto il profilo urbanistico e ambientale sono tra i migliori d’Italia”. Da Sindaco dovette mettere nel cassetto i progetti dell’architetto Giancarlo De Carlo. In una lunga lettera a Fabio Tomasetti (e da Lui pubblicata nel volume “Cambiare Rimini”, Maggioli, 2012) Pagliarani scrisse: “confesso di sentirmi in ‘colpa’. La colpa, non di aver ‘revocato’, ma di aver chiesto la ‘adozione’ di un progetto destinato a nascere ‘morto’”. Sempre a Giovagnoli: “Se questo non è andato in porto lo si deve al fatto che i partiti della maggioranza di allora, anche per calcoli elettorali, non lo hanno appoggiato”. [caption id="attachment_160705" align="aligncenter" width="765"] 13 luglio 1972. Rimini, Sala dell’Arengo. Incontro pubblico con l’architetto Giancarlo De Carlo. Da sinistra, De Carlo, Nicola Pagliarani (foto Davide Minghini, proprietà Archivio Fotografico della Biblioteca Gambalunga di Rimini)[/caption] Certamente una delle occasioni più importanti mancate del dopoguerra, per quello che, al di là delle parti più futuribili e quindi difficilmente realizzabili, esso proponeva

In un mio saggio pubblicato nel volume miscellaneo dedicato a Walter Ceccaroni (1921-1999) (“La costruzione di una città turistica” a cura di Angelo Turchini edito da Capitani nel 2013) intitolato “Il Partito Comunista Riminese negli anni del Sindaco Ceccaroni” parlando degli uomini delle Giunte presiedute dal Sindaco Ceccaroni scrivevo: «Ognuno di questi si sentiva in squadra con Ceccaroni e costituivano una indubbia ‘macchina da guerra’ nella direzione amministrativa del Comune». Stiamo parlando di pubblici amministratori comunisti dello spessore di Natale Muratori (1920-2004), Ruggero Diotallevi (1925-1979), Aldo Righi (1925-1997), Augusto Randi (1922-2011), Vincenzo Mascia (1920-2003), Lorenzo Cagnoni (1939- ), Gino Arcangeli (1926-2007), ma anche di socialisti come Giordano Gentilini (1925- 2014 ), Luciano Gambini (1924-2010). Ceccaroni ebbe sempre il controllo del gruppo consiliare, anche se la dialettica era sempre vivace. Del resto i gruppi consiliari erano composti da personale politico provato in mille battaglie, nelle associazioni e sul territorio. Espressione di relazioni vere con i cittadini, soprattutto quelli che venivano eletti nelle frazioni. Fra i consiglieri comunisti, dal 1951, ci furono in maniera costante Veniero Accreman (1923-2016) e Nicola Pagliarani. Commentavo sempre in quel saggio: “L’impressione, leggendo le carte e guardando gli incarichi politici e amministrativi, è che questi due uomini costituirono, assieme

Al 13° Congresso dell’ANPI nazionale, svoltosi a Padova (con l’apertura nella splendida Aula Magna dell’Università) e proseguito poi a Abano Terme, dal 29 al 31 marzo 2001, Vittorio Vitali (1926-2009), Presidente dell’ANPI riminese e Mario Castelvetro, Vice-Presidente, vollero che andassi con loro (ero allora Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Rimini). Presidente Nazionale dell’ANPI era ancora Arrigo Boldrini (1915-2008), il comandante “Bulow” della 28.a Brigata Garibaldi “Mario Gordini” di Ravenna. Sarà il Congresso che aprirà la discussione sul futuro dell’Associazione Partigiani che si concluderà poi al 14° Congresso del febbraio 2006 a Chianciano Terme sarà effettuata una modifica statutaria densa di importanti implicazioni politiche, in quanto si consentiva l’iscrizione all’ANPI delle generazioni più giovani: a coloro i quali, pur non avendo vissuto la Resistenza, ne condividono i valori e l’ispirazione politica e morale. L’ANPI diede così concretamente avvio al ricambio generazionale all'Associazione. Furono tre giorni intensi che mi consentirono di conoscere molto meglio sia Vittorio che Mario, di ascoltare i loro ricordi partigiani, di apprezzarne la dirittura morale e la carica vitale che possedevano ancora a ottanta anni. Mario Castelvetro era nato a San Zaccaria di Ravenna il 3 settembre 1921, primogenito di tre fratelli, e visse l’infanzia e l’adolescenza a Castiglione di Ravenna, aiutando

Renato Muccioli è stato uno dei Sindaci di più lunga durata nel Riminese, secondo solo a Davide Celli Sindaco di Torriana. Muccioli è stato Sindaco di Coriano dal marzo 1951 al giugno 1975, per oltre 24 anni, contro i 30 anni e 15 giorni di Celli, Sindaco di Torriana. Subentrò a Carlo Zaghini (1913-1983), prima Commissario dal settembre 1944 nominato dagli Alleati e poi eletto Sindaco dopo le elezioni del 6 ottobre 1946 sino al febbraio 1951 quando, prima con un decreto prefettizio il 26 dicembre 1950 e poi con un decreto del Presidente della Repubblica del 7 febbraio 1951, venne rimosso dalla carica di Sindaco per tre anni per aver promosso la raccolta di firme a favore dell’Appello di Stoccolma contro le armi nucleari redatto dai Partigiani della Pace. Tra le carte di Gianni Quondamatteo ho trovato alcune bozze di articoli, non datati ma probabilmente del 1950, in cui raccontava cosa era Coriano passato il fronte nel settembre 1944: “Piovvero dal cielo, dal mare e da terra bombe e proiettili di ogni sorte sull’abitato di Coriano (…) L’abitato urbano di questo centro venne letteralmente raso al suolo: delle scuole, delle chiese, della sede comunale e delle abitazioni private rimasero bruciacchiati e

Si è svolto poche settimane fa, sabato 26 gennaio, il funerale di Dirce Donnini, moglie di Carlo Della Rosa. Una cara amica, che nel corso degli ultimi anni mi ha donato per la Biblioteca “Battarra” di Coriano alcune migliaia di libri, la biblioteca sua e di Carlo. Una vita vissuta assieme per oltre cinquant’anni, tra affetto, impegno politico e nella condivisione di un dolore tremendo come la morte improvvisa dell’unica figlia, Rossella. Con Giulio e Grazia, gli ultimi suoi parenti rimasti, e gli amici Giovanna, Nives, Gabriella, Giancarlo ed io le abbiamo tributato l’ultimo caro saluto. Difficile narrare una vita complessa come quella di Carlo Della Rosa in poche righe. Ci proverò, anche se la elencazione degli incarichi ricoperti, tanti e importanti, rischiano di essere un curriculum vitae arido, seppure raccontano di un percorso politico straordinario. Dunque non so se riuscirò a rendere pienamente una storia fatta da molte sequenze e stacchi. Carlo nacque a Rimini l’11 marzo 1931, mentre la sorella Marisa nacque il 15 dicembre 1933. Figli di Luigi Della Rosa (nato a Rimini nel 1905 e morto a Milano nel 1973) e di America Donini (nata a Rimini nel 1908, rientrata a Rimini dopo la morte del marito nel 1973

Per raccontare questa storia devo necessariamente partire dal luogo di nascita dei tre fratelli Arcangeli: la Castellaccia, in dialetto "la Castlaza”. E’ l'antico nucleo del Rione Ducale, fra il Corso d’Augusto, il vecchio Ospedale, Via XXIII settembre 1845 e il fiume Marecchia. Dall’altra parte del fiume, il Borgo San Giuliano. Un rione malfamato, noto per le sue cinque “case chiuse” in Via Clodia, le sue bettole animate, il dormitorio comunale rifugio di una umanità derelitta. Ma qui era anche l’Ospedale (oggi sede dei Musei Comunali), ricavato dal grande ex convento dei Gesuiti. Qui viveva fra i suoi abitanti una forte tradizione antifascista, che portò numerosi suoi giovani ad essere combattenti partigiani. Un'umanità fatta di tantissimi piccoli artigiani e ambulanti commercianti. Ma anche di laboratori di falegnameria, con artigiani di valore. [caption id="attachment_124663" align="aligncenter" width="795"] 1 - 8 settembre 1947. Gino Arcangeli riceve il Diploma di medaglia garibaldina firmato da Pietro Secchia e Luigi Longo[/caption] Guglielmo (nato nel 1924), Gino (nato nel 1926) e Alfredo (nato nel 1929) erano i figli di Salvatore Arcangeli (1897-1971) e Augusta Violani (1895-1981). Il padre, ex carabiniere, svolse poi mansioni presso la pesa comunale e il dormitorio. Lui accanito frequentatore delle osterie, la crescita dei figli si deve soprattutto

E’ sempre difficile trovare in un libro quel che cerchi, pensando che ci sia. Ed è quello che mi è successo sfogliando il volume “Fronte di sangue sulla collina. San Lorenzo in Correggiano, settembre 1944” (Il Ponte, 1994) a cura di don Giovanni Tonelli. Cercavo notizie sul GAP dei giovani del luogo, uno dei più attivi nel riminese fra la fine del 1943 e il settembre 1944. Invano, neanche una parola o una citazione. Invece un bellissimo articolo di Vincenzo Mascia, “Arco d’Augusto: 10 maggio 1944” (in Rimini Oggi, n. 18, 30 luglio 1961), mi fornisce tante informazioni su questi giovani che vivevano in questa frazione del forese del riminese, alle pendici delle prime colline verso Coriano. Fu uno di questi, Ivo Lotti (nato il 6 aprile 1926), che cercò con insistenza alla fine del 1943 contatti con i responsabili della Resistenza riminese. [caption id="attachment_117502" align="aligncenter" width="792"] Ivo Lotti negli anni '80[/caption] Lotti era il figlio maggiore (erano tre fratelli) di un ferroviere, Eugenio, trasferitosi in Eritrea dopo aver abbandonato la famiglia (è sepolto ad Asmara). Fu allevato, Lui e i fratelli, con grandi difficoltà e tanta miseria dalla madre Adelaide. Studiò sino alla quinta elementare e poi trovò lavoro come apprendista meccanico di

Nell’estate del 1936, a metà luglio, una sollevazione ("alzamiento") dell’esercito spagnolo capeggiata dal generale capo di stato maggiore Francisco Franco, partito dai reparti presenti nelle colonie in Africa, tentò di ribaltare il governo a guida socialista frutto del risultato elettorale delle elezioni politiche del 16 febbraio 1936. Il paese del resto in quegli anni stava vivendo una situazione sociale conflittuale al massimo livello, con quotidiani scontri armati nelle città fra le diverse forze politiche e sindacali. L'insurrezione partì dalla sollevazione delle truppe di stanza nel Marocco spagnolo. I nazionalisti speravano di ottenere rapidamente il controllo della capitale Madrid e delle principali città spagnole. Siviglia, Pamplona, La Coruña, Cadice, Jerez de la Frontera, Cordova, Saragozza e Oviedo caddero tutte sotto il controllo degli insorti, diversamente da Barcellona e Madrid (anche per la mobilitazione collettiva della cittadinanza e delle improvvisate milizie volontarie che riuscirono a contenere gli insorti). A causa di ciò, il moto golpista si trasformò in una lunga guerra civile. La sollevazione militare venne contrastata dal governo repubblicano con le truppe rimaste leali, così come da milizie di volontari socialisti, comunisti, repubblicani, democratici e anarchici.  Sia l'Italia fascista di Mussolini sia la Germania nazista di Hitler inviarono truppe e mezzi in supporto ai golpisti. I repubblicani ricevettero invece aiuti militari dall'URSS. Le potenze europee, come Regno Unito e Francia, erano ufficialmente neutrali, ma