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Hai partecipato ad un’iniziativa deludente? In trattoria hai mangiato male? "E’ come lavarsi i piedi con le calze!"

Lavess i pid s’al calzetti. Questa frase idiomatica ci suggerisce come esprimere l’insoddisfazione a fronte di cose mal riuscite, di qualcosa che non ha funzionato. Hai partecipato ad un’iniziativa deludente? In trattoria hai mangiato male? “L’è cume lavess i pid sal calzetti!” (E’ come lavarsi i piedi con le calze!) La frase si serve di un paradosso pescato nella vasta simbologia del lavacro dei piedi, metafora di dedizione morale o di rispetto verso altri o verso se stessi. Oppure, più semplicemente, si riferisce alla ricerca di frescura nelle assolate estati della pianura romagnola, con il catino riempito di acqua fresca del pozzo, appena sollevata con la catena e il secchio zincato. Ebbene, tutto questo ricco repertorio di simboli e sensazioni, viene sbeffeggiato per mezzo di un paio di calze! Se sui gesti sacri o salvifici, applichi impropriamente un paio di calze, tutta l’aura del gesto si dissolve. Ed è esattamente ciò che la frase vuole ottenere. La lingua popolare ama il paradosso che arricchisce lo spessore delle parole (quindi dei pensieri). Anche in questo caso la lingua popolare graffia in modo profondo, cerca metafore ardite per esprimere non disgusto, non repulsione, ma semplicemente ironica delusione per cose, eventi, fatti, al di sotto delle aspettative: “l’è cume

La fionda umana esagera sempre ma non è mai pericolosa, o quasi

Sfrumbloun Questa parola dialettale indica una persona che ama l’eccesso, l’iperbole, l’esagerazione, ma che nel suo esagerare spesso ”piscia fuori dal vaso”, sbaglia tono e misura. E’ persona che esagera in tutto, nel parlare come nell’agire, e che esagerando sbaglia, fa confusione, produce disordine. E’ interessante cogliere l’origine della parola. Deriva probabilmente da “sfrombla”, fionda. Cos’è una fionda se non un acceleratore del movimento? Un piccolo e inerme sassolino, lanciato dagli elastici di una fionda, diventa un proiettile diretto a colpire un bersaglio. Dunque la nostra parola allude al bisogno di “accelerazione” di persone che vogliono compiere azioni di cui a stento sono capaci, che esagerano nella guida di un’auto come nella gestione di una partita a briscola. Accelerano, sempre. L’immagine della fionda, applicata ad un essere umano, diventa “sfrumbloun”, una grande fionda umana. Ma, per quanto lo sfrumbloun sia esagerato nei suoi comportamenti, alla fine, non sarà quasi mai pericoloso e potrà essere guardato con bonarietà e indulgenza. Beppe & Paolo Perchè non si perdano le parole e le frasi del nostro dialetto, inviatele, con o senza un vostro commento, a questo indirizzo di posta elettronica: redazione@chiamamicitta.it Oppure affidatele ad un piccione viaggiatore! (In apertura: Davide e Golia. 1250 circa. Bibbia Maciejowski, f. 28 verso, particolare. New

Chiunque fosse quel borghigiano di San Giuliano la sua promessa è passata in proverbio

Non è dato (almeno a noi) sapere chi fosse questo Pugnaloni. Si dice che vivesse nel Borgo S.Giuliano di Rimini e che una mattina dell’inizio del ‘900 abbia detto alla moglie: “A vag a tò al zigaretti, a stag zinch minud!”. (Vado a prendere le sigarette. Sto cinque minuti!) La leggenda vuole che sia uscito di casa, emigrato in Sudamerica insieme a quel milioncino di italiani migranti per fame verso Argentina e Brasile. Ritorna a Rimini dopo circa trent’anni, il clamore del ritorno dopo tanto tempo, combinato con l’imbroglio dei cinque minuti per le sigarette, a danno della consorte, ha trasformato questa lontana vicenda borghigiana in una frase idiomatica ancora in uso, ben oltre i trent’anni del Pugnaloni. Espressione che ironicamente allude alle promesse dei ritardatari permanenti. “Arrivo fra cinque minuti!!!” dice l’uno. L’altro, conoscendo la sua inclinazione al ritardo, risponde: ”Sé, i zinch minud ad Pugnaloni!”. (Si, i cinque minuti di P.) Accade, non certo per cinismo, che nel linguaggio popolare ci sia l’attitudine a dissacrare, sbeffeggiare, sorridere sulle vicende umane, anche le meno divertenti. Anzi meno divertenti sono e più ampio sarà lo spazio per l’ironia, uno degli strumenti più usati dal popolo per affrontare le dure salite della vita. Beppe

Un'espressione ormai rara ma per una situazione sempre molto frequente

Sugabrett: espressione gergale che definisce una sconfitta in modo inequivocabile e apparentemente definitivo: “L’ha avù un sugabrett!” (ha subito una brutta sconfitta!). Probabilmente questa parola nasce nel contesto di competizioni di ogni tipo: una partita a carte, una elezione politica, un impegno sportivo. Colui che usciva sconfitto era indicato come destinatario di un “sugabrett”. La parola allude alla fatica della competizione, al sudore (reale o figurato) che essa implica, infine al gesto del perdente che a testa bassa si allontana asciugando il cappello intriso dal sudore e dalla sofferenza della sconfitta. Ecco, egli ha subito un sugabrett, un’umiliazione moralmente devastante, un crollo della dignità personale. Attenzione, non è una semplice sconfitta in un gioco competitivo, è qualcosa di più e di più serio. E’ la certificazione della non idoneità della persona a quella competizione. Il gesto malinconico dello sconfitto che, fazzoletto in mano asciuga l’orlo del cappello, stimola il linguaggio popolare, ingigantisce lo spessore semantico della parola che tuttavia lascia sempre aperta la possibilità della rivincita. Beppe & Paolo Perchè non si perdano le parole e le frasi del nostro dialetto, inviatele, con o senza un vostro commento, a questo indirizzo di posta elettronica: redazione@chiamamicitta.it Oppure affidatele ad un piccione viaggiatore! (in apertura: ph @soozed)

La probabile origine del gran daffare in gran confusione

Un lettore ci ha chiesto di chiarire l'origine di sfunezz. Sta ad indicare situazioni caratterizzate da confusione. Il Quondamatteo lo segnala come riferito al movimento delle donne di casa e al loro affannarsi per rassettare. Il significato si è poi allargato ad indicare disordine, assembramento, gente che si muove in libertà, “casino” in genere. C’è agitazione in strada per un comizio politico o per un qualsiasi evento che richiama gente? Si può allora dire che “u iè sfunez”. Più difficile è individuare l’origine della parola. Potremmo azzardare una derivazione da “sfunare”, sciogliere dalle funi (Zingarelli), cioè muoversi in libertà. Chi ha sciolto i nodi che lo legavano, fossero materiali o morali, si muove senza un ordine preciso, sta assaporando l’ebbrezza di essere libero. Fa “sfunez”. Beppe & Paolo Perchè non si perdano le parole e le frasi del nostro dialetto, inviatele, con o senza un vostro commento, a questo indirizzo di posta elettronica: redazione@chiamamicitta.it Oppure affidatele ad un piccione viaggiatore!

Perchè diciamo "E’ come dare una caramella al maiale"? E perchè solo noi lo chiamiamo baghino?

La frase esprime l’inutilità del gesto raffinato in un contesto grossolano: se porti una bottiglia di champagne francese in una cena a base di trippa e salciccia, è (appunto) come “dare una caramella al maiale”, è qualcosa di stonato, di improprio, perfino di inutile. L’uso si è poi allargato a tutte le circostanza nelle quali emerge una forte “dissonanza”. Perfino un bel discorso ad una platea disattenta finisce per essere “cume de la caramela me baghin”. Il maiale (baghìn in dialetto romagnolo) è noto per essere animale onnivoro, per avere l’obbligo di mangiare per ingrassarsi e prepararsi al sacrificio. Un tempo era usato come divoratore di rifiuti della cucina, ora viene nutrito con cereali o con mangimi preparati per accompagnarne la crescita. Si può aggiungere che in etologia il maiale è considerato uno dei mammiferi più intelligenti. Per non dire poi di Orwell e della Fattoria degli animali! Tutto ciò per dire che il maiale gode di fama incerta, l’unica cosa sicura è la voracità ed è a questa che il detto popolare si riferisce. Per capirne pienamente il significato occorre però spostare l’attenzione sulla caramella. Oggi la caramella è un bene di largo consumo e di poco valore, ma quando l’espressione idiomatica

Perchè a Rimini si diceva che la mangiavano i più poveri?

Frase idiomatica in uso fino alla Seconda guerra mondiale, poi trascinata nel linguaggio popolare anche dopo la distruzione della Caserma Castelfidardo (nell'immagine in apertura) che si trovava nell’attuale piazzale Gramsci. La traduzione letterale della frase potrebbe essere: ”La minestra del padiglione”. Sul lato rivolto al mare della Castelfidardo si apriva l’ingresso dei cavalli e dei muli militari, forse protetto dal sole da un “padiglione”, cioè da una tenda a farfalla. Ebbene, sotto quella protezione venivano distribuiti ogni giorno i resti del rancio militare ai riminesi poveri. [caption id="attachment_489555" align="alignleft" width="2037"] La caserma Castelfidardo distrutta dai bombardamenti[/caption] Mangiare la “mnestra de padaioun” era dunque indice di povertà estrema, perciò nacquero frasi idiomatiche, di tono ironico, come: ”L’è un che magna la mnestra de padaioun”, per sbeffeggiare chi voleva apparire benestante. Oppure, fuor d’ironia, per indicare un alto indice di povertà della persona o della sua famiglia. Pare che negli anni del dopoguerra l’uso della “mnestra de padaioun” si sia trasferito per breve tempo alla Caserma Giulio Cesare di via Flaminia e, successivamente in via Cairoli a Rimini Centro nel cortile/chiostro dell’attuale Teatro degli Atti. Beppe e Paolo Perchè non si perdano le parole e le frasi del nostro dialetto, inviatele, con o senza un vostro commento, a

Prima che le nostre parole si perdano: una nuova rubrica aperta ai contributi dei lettori

Questa rubrica vuole raccontare di parole e frasi antiche, per molti oggi addirittura misteriose. Vuole farlo per non perdere la profondità e lo spessore di parole dialettali, usate per secoli da persone semplici e da comunità rurali. Non tocca a noi analizzare l’etimologia del dialetto riminese, ibridato dal monte e dal mare. Il nostro è un contributo affinché restino in circolazione parole che potrebbero andare perdute. Perderle significherebbe impoverire il linguaggio, quindi il pensiero, di cui ora disponiamo e di cui disporranno le future generazioni. Questo vuole anche essere un invito a chi conserva nella mente espressioni o parole dialettali significative. Sono un patrimonio da non perdere, inviatele, con o senza un vostro commento, a questo indirizzo di posta elettronica: redazione@chiamamicitta.it Oppure affidatele ad un piccione viaggiatore! Beppe e Paolo L'Infezna Letteralmente indica la personalità di qualcuno, l’impronta, il carattere, lo stile. Deriva da “effige”? Curioso il fatto che venga usata prevalentemente in senso negativo. Ciò che importa non è che qualcuno abbia l’infezna, ciascuno a modo suo un po’ di infezna ce l’ha, un po’ di infezna non si nega a nessuno. Importa invece segnalare e magari ironicamente deridere chi non ce l’ha! Perciò la nostra parola è quasi sempre accompagnata da espressioni tipo: