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"I talenti di Rina Macrelli tra creatività e impegno" A cura di Pier Angelo Fontana e Simonetta Nicolini - Raffaelli. Il 6 novembre 2020 moriva, a 91 anni, a Santarcangelo di Romagna Caterina (Rina) Macrelli, l’ultima, e unica donna, di quello straordinario gruppo di intellettuali (scrittori, poeti, pittori) che avevano dato vita nel dopoguerra in questa piccola città della Romagna a “E' circal de' giudéizi” (Il Circolo del Giudizio): Raffaello Baldini (1924-2005), Gianni Fucci (1928-2019), Tonino Guerra (1920-2012), Flavio Nicolini (1924-2015), Nino Pedretti (1923-1981), Federico Moroni (1914-2000), Giulio Turci (1917-1978). E a cui, proprio grazie alla Macrelli, deve essere aggiunta la poetessa operaia Giuliana Rocchi (1922-1996). Rina è stata una scrittrice, una drammaturga, una traduttrice, una sceneggiatrice, una aiuto regista. Ha lavorato in RAI dal 1961 al 1978, ha lavorato nel cinema a fianco di Michelangelo Antonioni e Liliana Cavani. Attiva militante femminista a Roma a partire dal 1974, ha lottato per l’emancipazione e i diritti delle donne. Ma a Santarcangelo nulla fa trapelare della sua militanza lesbica, mentre, come annota nella Introduzione Simonetta Nicolini, “l’impegno femminista era causa di esplosive discussioni con gli amici (uomini) quando era in paese nei sempre più rapidi e rari passaggi” e prosegue: “Ma quanto le

Paolo Zaghini – Daniele Montebelli: "Dai quaderni del tempo. Ritratti in bianco e nero" - Casa del Popolo Riccione / La Piazza. Paolo Zaghini – Daniele Montebelli:In occasione della cena sociale dei soci della Cooperativa Casa del Popolo di Riccione il 7 ottobre, presso il Ristorante “Duc andam” a Spontricciolo, sarà presentato il volume “Dai quaderni del tempo” curato da me ed da Daniele Montebelli. Il sottotitolo che il Presidente della Casa del Popolo Ezio Venturi ha voluto al titolo recita: “Una piccola raccolta di racconti e di storie di un recente passato che pure sembra essere già stato dimenticato. Un album di immagini sottratte alla polvere del tempo. Ritratti in bianco e nero di uomini del Partito Comunista Italiano”. Ovvero io e Daniele abbiamo raccontato le vite di undici comunisti riccionesi che dal 1945 al 2000, chi più chi meno, hanno contribuito a scrivere la storia di questa realtà comunale così importante del Riminese. Io ho riproposto le biografie di sette dirigenti comunisti e pubblici amministratori di Riccione, già pubblicati negli ultimi anni su chiamamicitta.it (fanno parte di quella settantina di biografie che ho scritto di comunisti, donne e uomini, di tutti i comuni del riminese). Essi sono: Gianni Quondamatteo, Gualtiero Masi,

Sergio Barducci: "Cammina e arriverai al sole. La vita, i successi, le intuizioni di Roberto Valducci" - Minerva. Il giornalista e scrittore sammarinese Sergio Barducci con questo volume dedicato all’imprenditore farmaceutico Roberto Valducci, scomparso giusto due anni fa il 22 agosto 2018, all’età di 85 anni, ci racconta la “bella storia” di un uomo che è stato capace di costruire un’eccellenza industriale italiana: la Valpharma, azienda leader nel mondo per i farmaci a lento rilascio. Una biografia romanzata, che si avvale dei ricordi della moglie Piera Aniceti (si erano sposati nel 1966) e della figlia Alessia (nata nel 1968), oggi a capo del gruppo Valpharma. Le aziende Valpharma hanno circa 400 dipendenti con un fatturato di oltre 55 milioni di euro. La Valpharma ha 15 brevetti mondiali per 76 prodotti farmaceutici in produzione industriale per patologie cardiovascolari, antiipertensivi, analgesici, antireumatici, gastrointestinali e antiasmatici. Produce globalmente all’anno oltre 500 milioni di capsule, più di 800 milioni di compresse. Distribuisce i propri prodotti in 70 paesi (l’80% del fatturato viene dai mercati esteri). Roberto Valducci era nato il 13 marzo 1933, a Fenili di Gatteo. Ancora piccolo si trasferì con i genitori a Savignano sul Rubicone, dove la famiglia abita ancora oggi. Dopo il diploma di perito chimico,

Ivano Aurelio Muratori: "La punta dla palèda. Poesie e Zirudelle in dialetto riminese" - Pazzini. La pensione dal Comune nel 2011, ad Ivano (classe 1950), l’ha un po’ un rincoglionito. Al punto che in questo ultimo decennio invece di parlare in italiano si è messo a fare strani ragionamenti solo in dialetto. E per di più in rima baciata, poesie di otto strofe, categoricamente riminesi. “Mè per spas e per dilèt, / a cultiv e’ mi dialèt, / al faz ma chèša mia, / tótt i dé s’na puèšia” (Io per spasso e per diletto, / coltivo il mio dialetto, / lo faccio a casa mia, / tutti i giorni con una poesia”). L’amore per Rimini, per le stranezze dei riminesi, per i ricordi di estate lontane impregnano queste sue rime. In maniera quasi maniacale: è un amore che non si può discutere, così è e così bisogna prenderlo. “E’ rimnéš l’è sincér, / biènc me biènc e nér me nér / fièr ad sé, l’è urgugliòs, / ad còr bòn e gènèrós” (Il riminese è sincero, / bianco al bianco e nero al nero, / fiero di sé e orgoglioso, / di cuore buono e generoso”): strofa dalla poesia “E’ rimnéš l’è

"Santarcangelo 50 Festival" Testo di Roberta Ferraresi - Corraini Edizioni. Cinquanta, sono cinquanta le edizioni del Festival del Teatro in Piazza con quella chiusasi quest’anno a luglio. Mezzo secolo, dove il mondo, l’Italia, Santarcangelo sono cambiati, così come il Festival è stato capace di cambiare, innovarsi, trasformarsi per coniugare nei propri programmi tutte le novità possibili che i tempi portavano nel teatro non classico, non istituzionale. La Sindaca Alice Parma ha scritto nella presentazione di apertura del volume: “Questa sua profonda volontà di costruire la propria storia ‘continuando a cominciare’ è una caratteristica che contraddistingue questo progetto nel panorama nazionale ed internazionale e che ha trovato, nel tempo, la formula del rinnovamento triennale delle direzioni artistiche”. E questo bel volume di oltre 300 pagine con centinaia di fotografie scritto da Roberta Ferraresi (ma frutto di un numeroso gruppo di lavoro), classe 1983, docente di Alfabetizzazione teatrale in Discipline della Musica e del Teatro dell'Università di Bologna, è suddiviso temporalmente con i periodi delle varie direzioni: Piero Patino (1971-1977), Roberto Bacci (1978-1980), Antonio Attisani (1981), Ferruccio Merisi (1982-1983), Roberto Bacci (1984-1988), Antonio Attisani (1989-1993), Leo De Berardinis (1994-1997), Silvio Castiglioni (1998-2005), Olivier Bouin (2006-2007), Sandro Paascucci (2008), Chiara Guidi, Enrico Casagrande, Ermanna Montanari (2009-2011),

Charles Yriarte: "Francesca da Rimini. Nella leggenda e nella storia con fregi e disegni inediti di Ingres e di Ary Scheffer" A cura di Moreno Neri - Pontecorboli Editore. Moreno Neri ci ha “regalato”, dopo 150 anni dalla sua uscita in Francia, e in occasione del 7° Centenario della morte di Dante Alighieri, la traduzione in italiano di un testo sempre citato in tutti repertori dedicati alla vicenda di Francesca da Rimini tratta dal quinto canto dell’Inferno della Divina Commedia. E’ un’edizione molto bella: in apertura una anastatica del testo francese del 1883 di Yriarte con fregi e disegni di Ingres e di Ary Scheffer; poi la traduzione in italiano e un ricchissimo apparato di note a cura di Moreno Neri. Neri negli ultimi quindici anni ha tradotto e curato opere del filosofo bizantino Pletone (la cui salma Sigismondo Pandolfo Malatesta portò a Rimini dalla Grecia e lo seppellì in un sarcofago esterno del Tempio Malatestiano), sull’alessandrina Ipazia, la prima donna filosofa e matematica, dei filosofi tedeschi Gotthold Ephraim Lessing e Jonathan Gottfried Herder, del filologo e filosofo francese Andrè-Jean Festugière, oltre a ricerche sulla massoneria, la sua storia e i suoi uomini. Ma ci ha anche edotto sulle frequentazioni di grandi intellettuali esteri

Il libro di Stefano Bonaccini prsidente della Regione Emilia-Romagna

Il libro di Stefano Bonaccini prsidente della Regione Emilia-Romagna

Maria Giovanna Giuccioli: "Il Convento Francescano scomparso di Verucchio 1320-2020" - Pazzini. Un lavoro certosino di ricerca quello compiuto dall’architetto Maria Giovanna Giuccioli. Alla riscoperta di un luogo perduto, quello della chiesa e del convento di San Francesco a Verucchio, “che è stata parte fondamentale della nostra comune storia antica. I segni sono ancora fra noi: occorre semplicemente fare silenzio e guardare” (dall’introduzione di Lisetta Bernardi). Un edificio dimenticato, ma di grande importanza per la storia di Verucchio. Edificato fra il 1320 e il 1324, settecento anni fa, dentro le mura del castello di Verucchio, sotto la Signoria di Pandolfo Malatesta, su concessione del Papa Giovanni XXII. Il complesso monastico più importante della Verucchio malatestiana. “Questa chiesa francescana fatta costruire a Verucchio da Pandolfo Malatesta, figlio del ‘Mastin Vecchio’, celebre fondatore della dinastia, nove anni dopo la morte del padre, doveva diventare la ‘chiesa della famiglia’ per eccellenza (…) divenne consuetudine, nelle varie città malatestiane (Rimini, Cesena, Pesaro, ecc.) far diventare la chiesa intitolata a San Francesco [1181 ca.-1226] la sede del sepolcro di famiglia”. “Un convento maestoso seppur dall’aspetto austero, come si conveniva alle regole francescane e allo stile gotico allora in auge, ma che internamente doveva presentarsi come uno scrigno di tesori,

Giovanni Benaglia: "Colpevole! Fino a prova contraria. Discorso attorno al nostro sistema fiscale e al suo trattarci come incalliti evasori" Bookstones. Ultimamente, per una serie di episodi con uffici pubblici, nulla di drammatico, mi sono trovato però a chiedermi: ma perché uno deve essere sempre un bravo cittadino? E questa è anche la domanda fondamentale che Giovanni Benaglia ci pone con questa sua opera prima dedicata alle ingarbugliate vicende del pagamento delle tasse (in senso lato). Riminese, commercialista, esperto di contenzioso fiscale, Benaglia vorrebbe che lo Stato non ci considerasse degli evasori fino a prova contraria, ma cittadini e contribuenti per natura onesti: “per lo Stato italiano noi cittadini siamo una banda di delinquenti, ameno dal punto di vista della fedeltà fiscale. Non che questa scarsa considerazione sia storicamente del tutto sbagliata, ci mancherebbe. Siamo un popolo di evasori congeniti, privi di qualsiasi senso risorgimentale di Nazione, non riusciamo a capire che pagare le tasse è sì un fatto fastidioso ma serve per finanziare la Sanità, l’Istruzione, la Difesa, la Giustizia, tutte cose nelle quali prima o poi ciascuno di noi inciampa e poi ringrazia pure che sono gratuite. C’è da dire che, di contro, lo Stato negli ultimi ottant’anni non ha

Cristina Ravara Montebelli: "Le vie della seta a Rimini. Artefici e luoghi produttivi (XVI-XX sec.)" Bookstones. Avevo un “debito” con Cristina Ravara, una vecchia promessa non mantenuta: quello di raccontare il suo libro sulla lavorazione della seta Rimini. Lavoro frutto di una certosina e paziente ricerca in archivi e vecchissimi testi su questa attività nel Riminese (mi verrebbe da dire un lavoro all’Oreste Delucca). Il libro è uscito diversi anni fa, nel 2014, ma Cristina Ravara, archeologa, organizzatrice di mostre e convegni scientifici, sta continuando a lavorarci sopra, esplorando nuovi archivi e nuova documentazione, ed è probabile che prima o poi ne nasca un aggiornamento sulla base delle nuove scoperte storiche fatte. La storia della seta è lunga almeno cinquemila anni. La sua lavorazione nacque in Cina, per poi diffondersi in altri paesi dell’Asia. Importata per secoli in Europa (i romani la conoscevano e l’apprezzavano), qui la lavorazione iniziò ad avvenire solo dal XII secolo in Sicilia ed in Calabria, terre che subivano maggiormente gli influssi dall’Oriente. La coltivazione del baco e la lavorazione della seta si espanse poi in altre regioni italiane e in Europa. Gli abiti in seta iniziarono ad entrare nei guardaroba delle classi sociali più ricche di tutta Europa, diventando un bene

Giuliano Bonizzato: "Il sorriso della motociclista. Cronache di Rimini e della Romagna" - Il Ponte Vecchio. “Quando l’Italia era quasi fatta e mancavano soltanto gli Italiani, in compenso c’erano i romagnoli, una razza doc, rivoluzionari e patriottica, rissosa e mazziniana distribuita su un territorio omogeneo, ben caratterizzato tra ‘Il Po il Monte, la Marina e il Reno’. Come da definizione del Sommo Padre Dante. Che di solito ci azzeccava”. Ma al momento dell’Unità d’Italia “così fregarono la Romagna” i Farini, i D’Azeglio, i Cavour, Vittorio Emanuele III: “’Quando il vino è troppo robusto l’oste lo mescola con l’acqua’, disse Luigi Carlo [Farini]. ‘Pensate a quanto son sempre stati tranquilli i Ducati di Modena, di Parma, di Piacenza, per non parlare delle legazioni Pontificie di Bologna e Ferrara. Non hanno mai dato fastidio a nessuno, sembravano sempre addormentati. Quando è successo del casino mazziniano o garibaldino che fosse, state certi che c’era sempre di mezzo un romagnolo …”. Incorporiamo dunque la Romagna all’Emilia. Commento finale di Bonizzato: “Già. Ci hanno fregato così”. In questo nuovo, ed ennesimo libro, dell’avvocato Giuliano Bonizzato, una delle penne satiriche più caustiche e sardoniche di Rimini, l’Autore sceglie invece di non essere cattivo con nessuno (oddio, forse con

Marco Antonio Bazzocchi, Riccardo Gasperina Geroni: "Alfredo! Alfredo! Storie di Panzini e della Casa Rossa" -  Pendragon. I più, non ferrati in storia della letteratura italiana, oggi si domanderanno chi fosse Alfredo Panzini (1863-1939). Ebbene fu uno scrittore e giornalista molto famoso, a cavallo fra Ottocento e Novecento, a cominciare dal successo che ebbe il suo reportage in bicicletta da Milano a Bellaria, con il titolo "La lanterna di Diogene" (Treves, 1907). Ma nel Riminese il suo nome è legato alla presenza della “Casa Rossa” alla Cagnona, frazione di Bellaria (ma in quegli anni ancora piccolo centro agricolo del Comune di Rimini), sua residenza estiva, luogo di appuntamenti culturali e oggi sede museale e deposito dell’archivio privato dello scrittore. Edificata nel 1909, divenne luogo di incontro con gli amici, i letterati (da qui passarono, tra tanti altri, Papini, Moretti, Serra, Aleramo, Sarfatti), i pittori (Dudovich, De Pisis) e per lui anche punto di osservazione privilegiato di quel mondo rurale che confluì nella sua narrativa come tema primario. Restò a lungo in disuso finché un ottimo restauro e uno straordinario allestimento dal 2007 l’hanno riaperta al pubblico. Nato a Senigallia da padre romagnolo, medico condotto, Panzini trascorse la sua giovinezza a Rimini. Frequentò poi