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Giuseppe Lo Magro: "La Riccione di Maria Boorman Ceccarini"- Famija Arciunesa La notizia vera non è tanto l’uscita dell’ultimo libro curato da Lo Magro (di cui parleremo fra breve), quanto invece l’annuncio che a 74 anni, dopo trenta anni (dodici passati come consigliere e segretario, diciotto come Presidente) dentro la “Famija Arciunesa”, passa la mano. In un’intervista fattagli da Nives Concolino su Il Resto del Carlino dell’1 giugno, alla domanda “Nella sua scelta hanno pesato le tensioni con l’Amministrazione Comunale?”, risponde:  “No, anzi quelle mi hanno stimolato ad andare avanti fino adesso, altrimenti avrei mollato prima. E’ giusto dare spazio ai giovani, soprattutto per l’avvento dei social. ‘Famija Arciunesa’ ha sempre dato gratuitamente senza nulla pretendere. Con le nostre iniziative in questi anni abbiamo fatto tante donazioni, soprattutto all’ospedale di Riccione, associazioni, parrocchie e famiglie bisognose per un totale di circa 400mila euro. Da non dimenticare le pubblicazioni di libri sulla città, una sessantina, e la statua di Maria Boorman Ceccarini nell’omonimo viale” posta nel 2012. L’assemblea dei circa 300 soci entro il mese di giugno eleggerà il nuovo direttivo della “Famija Arciunesa” che a sua volta eleggerà il nuovo Presidente. Giuseppe Lo Magro è nato a Riccione il 3 gennaio 1945. Qui ha sempre vissuto,

"Colonie per l’infanzia nel ventennio fascista. Un progetto di pedagogia del regime". A cura di Roberta Mira e Simona Salustri - Longo. Un libro importante per comprendere il progetto di fascistizzazione della gioventù italiana messo in atto da Mussolini e dal Partito fascista nel corso del ventennio. Il volume, voluto e sostenuto dai tre Istituti storici della Resistenza della Romagna, attraverso sei saggi affronta il tema delle colonie per l’infanzia durante il periodo fascista: sono presi in esame i diversi organismi coinvolti nella progettazione e nel funzionamento delle colonie, i rapporti fra le strutture centrali e quelle periferiche del Partito nazionale fascista e dell’amministrazione statale e locale, gli aspetti architettonici degli edifici adibiti a colonia e il lavoro del personale – medici, direttrici, vigilatrici – impegnato a rafforzare la “razza italiana” e a trasmettere ai giovani ospiti l’ideologia fascista. L’interesse dei tre Istituti storici romagnoli si comprende quando si osserva che nel ventennio, su un tratto di costa romagnola di 80 chilometri, sorsero oltre 240 colonie estive per bambini e adolescenti. Valter Balducci (“Plasmare anime. L’architettura delle colonie per l’infanzia nel ventennio fascista”), architetto e docente universitario, in uno splendido intervento riesce a sintetizzare i punti nodali del tema in questione: “All’interno della

"Poveri giovani! Ricerca sulla situazione della popolazione giovanile a Rimini" Coordinamento della ricerca: Isabella Mancino e Virginia Casola - Caritas Diocesana Rimini “I sogni sono importanti. E i sogni dei giovani sono i più importanti di tutti. Un giovane che non sa sognare è un giovane anestetizzato: non potrà capire la vita, la forza della vita. I sogni ti svegliano, ti portano in là, sono le stelle più luminose, quelle che indicano un cammino diverso per l’umanità”. Così Papa Francesco l’11 agosto 2018 alla veglia per il Sinodo dei giovani al Circo Massimo di Roma. Come spesso gli accade, la sua sensibilità lo porta al cuore del problema: questa società sta uccidendo i sogni della maggioranza dei suoi giovani. La Caritas di Rimini, tra gennaio e maggio 2018, ha intervistato (attraverso un questionario) 508 giovani riminesi tra i 18 e i 35 anni (54,7% ragazzi e 45,3% ragazze), compilati 164 presso il Centro per l’Impiego, 254 in diverse scuole superiori, 48 durante un evento in piazza, 22 nei centri giovani, 20 nelle Caritas parrocchiali. Scopo dello studio è stato conoscere meglio i giovani della nostra città: la loro situazione lavorativa, familiare, come trascorrono il tempo libero, se hanno delle difficoltà, dei sogni, se conoscono

Alberto Di Gilio: "I dimenticati di Caporetto. La prigionia. Un diario inedito. Una pagina rimossa dalla Grande Guerra" - Rossato. Qualche mese fa, segnalando il volume curato da Marco Valeriani Il soldato “Catullo”, evidenziavo il fatto che ben poco nel corso del quadriennio del centenario della Prima Guerra Mondiale era stato pubblicato per quanto riguarda il riminese. E consideravo dunque questa ricorrenza un'occasione perduta. Ora, a partita finita, esce invece questo straordinario volume curato da Alberto Di Gilio, ricercatore storico e profondo conoscitore delle vicende della grande Guerra, con il diario inedito di Luigi Bonizzato (nato a Tivoli il 2 gennaio 1898 e morto a Rimini il 3 aprile 1962). Luigi Bonizzato, figlio di un macchinista delle ferrovie, visse la sua giovinezza a Verona prima, e a Bologna poi. Studente, nel febbraio 1917 venne chiamato alle armi e frequentò all’Accademia Militare di Torino il corso di aspirante ufficiale di complemento e il 10 settembre di quell’anno fu nominato aspirante sottotenente di complemento dell’Arma del Genio. Inviato al fronte visse la disfatta di Caporetto, la cattura da parte degli austriaci il 31 ottobre 1917 e l’invio al campo di prigionia polacco di Crossen (il 22 novembre 2017). I figli di Luigi (Giuliano nato nel 1935,

Angelo Chiaretti: "Mondaino Anno Domini 1502 - Un castello malatestiano firmato Leonardo da Vinci" - Panozzo. Per una volta Angelo Chiaretti abbandona l’amato Dante Alighieri, a cui ha dedicato negli ultimi venticinque anni una ventina di saggi e volumi (si veda la mia precedente recensione di “Dante Alighieri chi era costui? Il gran giallo dei due Dante Alighieri alla luce di vecchie e nuove scoperte” Centro Dantesco San Gregorio in Conca, 2016), per dedicarsi a un altro grande personaggio della storia italiana: Leonardo da Vinci (1452-1519), di cui ricorrono quest’anno i 500 anni dalla morte. Comunque, sia per Dante che per Leonardo, il focus per Chiaretti rimane Mondaino e la sua vivace storia fra medioevo e storia moderna. Leonardo stette ad Urbino dal 22 giugno al 30 luglio 1500, avendo ricevuto da Cesare Borgia l’incarico di verificare lo stato delle rocche fra Marche e Romagna, “già malatestiane, feltresche e sforzesche, ma ora facenti parte del nuovo Ducato di Romagna, che il ‘Valentino’ [Cesare Borgia] ha ricevuto in governo da Papa Alessandro I, suo padre Rodrigo”. Chiaretti sulla base di indizi (ma certezze nessuna) suppone che Leonardo abbia anche censito il castello di Mondaino, semidistrutto nel 1462 dalle truppe di Federico di Montefeltro, e ne abbia

Roberto Balducci: "J anvùd dla Marianna. Una vetrina sul Borgo San Giuliano"- Panozzo. E’ un piccolo mondo quello che la penna del medico ospedaliero Roberto Balducci descrive. Dove tutti si conoscevano e dove tutti sapevano tutto di tutti. E’ il mondo del Borgo San Giuliano a cavallo tra gli anni Trenta e la fine degli anni Cinquanta. Ed è qui che nasce l’Autore nel 1950. Racconta questo piccolo mondo con gli occhi del bambino Roby e con le storie raccolte dai tanti parenti e amici. Ed il centro, da cui si ramificano i tanti episodi narrati nelle pagine del libro, è la trattoria Marianna, fondata dalla nonna dell’Autore, “anima e leggenda del ristorante omonimo”. Una storia ormai ultra secolare. Balducci ha voluto “raccogliere i ricordi diretti, quelli dei nonni, dei genitori, degli zii e dei tanti personaggi, con le loro storie, a volte piccole e strampalate, altre volte grandi e drammatiche, che, altrimenti, nel giro di pochi decenni, sarebbero andate irrimediabilmente perdute”. Alla fine degli anni Cinquanta “c’erano tante speranze di cambiamento, sia nei vecchi che nei giovani. Il dopoguerra era ancora fresco, con le sue ferite materiali e i tristi ricordi. Molti dei vecchi avventori, che erano stati testimoni delle origini della trattoria,

Fosco Rocchetta: "Max Springer. Raffinato violinista e direttore d’orchestra riccionese" La Piazza Mi divertono molto queste piccole pubblicazioni che Fosco Rocchetta, ex direttore del Centro della Pesa di Riccione, va redigendo ricercando personaggi riccionesi, o acquisiti a Riccione, dimenticati ormai da molto tempo (per avere il quadro delle ricerche fatte e pubblicate da Rocchetta rimando alla mia recensione sul volume “Riccione strabiliante: il Nirigua e le origini del divertimentificio”). Questo nuovo capitolo della personale ricerca su Riccione redatta da Rocchetta è dedicata al maestro Max Springher che come scriveva Albo Casadei (in La Perla Verde n.3/1973) “capitato non so come, a Riccione, nella primavera del 1934, Max Springher egiziano di nascita, rumeno di origine, italiano di cittadinanza, conobbe e nel dicembre di quello stesso anno sposò una delle più belle figlie della nostra generosa terra di Riccione: la signora Italia di Memmo Papini e mamma Rosa”. Springher era nato ad Alessandria d’Egitto nel 1910 e morì a Riccione nel 1967. Diplomatosi al Conservatorio di Parigi nel 1925, giovanissimo, può vantare una carriera musicale prestigiosa, tra il 1930 e il 1960. Bravo violinista e direttore d’orchestra, come solista o alla direzione d’orchestre, ha attraversato con successo diversi generi della musica: dalla classica alla leggera,

"La Notte delle Streghe. Una festa di sogni e di segni. Trent’anni di streghe 1988-2018"A cura di Alessandro Sistri -Comune di San Giovanni in Marignano Non è facile cercare di non essere banali nel raccontare la storia di un evento lungo trent’anni, come la Notte delle Streghe a San Giovanni in Marignano. Ma Alessandro Sistri c’è riuscito costruendo un volume fatto di immagini (tante e belle) e di storie che si snocciolano lungo i decenni, dal 1988 al 2018. Come afferma nella sua Introduzione “la festa non è solo ciò che si vede, è piuttosto ciò che si vive”. “La Notte delle Streghe di San Giovanni in Marignano è una festa più ricca di sfumature di altre perché mette insieme, fin dalla sua nascita, elementi diversi: identità locale antica e contemporanea, tradizione e innovazione, senso comunitario e apertura verso l’esterno, realtà e invenzione, produzione culturale e promozione del territorio”. E prosegue: “Se le streghe che popolano la festa di San Giovanni vogliono ricordare qualcosa di serio e di storico, non è certo il ‘lato occulto’, ma piuttosto l’immagine di donne che hanno provato come potevano e come sapevano, ad avere un ruolo in qualche modo riconosciuto, a conquistare una propria dignità, o semplicemente

"La strada maestra. Tracce di storia delle scuole comunali dell’infanzia nei Comuni capoluogo dell’Emilia-Romagna". A cura di Lorenzo Campioni e Franca Marchesi - Zeroseiup. Lorenzo Campioni, già dirigente alla scuola del Comune di Riccione e poi del Servizio regionale per l’infanzia, e Franca Marchesi, coordinatrice pedagogica dei nidi e delle scuole dell’infanzia comunali di Bologna, hanno coordinato la redazione di questo volume nel cinquantesimo anniversario della scuola d’infanzia statale (la legge n. 444 è del 1968). Il 18 marzo 1968 lo Stato entrava in modo deciso e massiccio nella gestione diretta di scuole materne, assumendosi in proprio l’educazione dei bambini dai tre ai sei anni, prima lasciata quasi del tutto ai privati e alle Amministrazioni comunali. Dirà Giancarlo Cerini, già dirigente del MIUR, nel suo intervento: “L’istituzione della scuola materna statale è il sintomo di un grande cambiamento sociale, antropologico e culturale del nostro Paese”. “L’impegno verso l’educazione dell’infanzia e la qualificazione dei suoi servizi educativi e delle sue scuole è ‘La strada maestra’ indicataci dalla Commissione europea per creare comunità più solidali, giuste ed eque e, in particolare, per prevenire abbandoni scolastici futuri e collaborare ad abbattere la povertà. Molto prima, questa è stata la strada imboccata da numerose Amministrazioni comunali emiliano-romagnole, che

Enrico Carboni: "Clarice. Romanzo medievale. Galasso da Secchiano e la strage degli Olivieri" - La Stamperia. Ringrazio Vincenzo Sebastiani, ex Sindaco di Novafeltria, di avermi fatto dono di questo volume da Lui patrocinato assieme a Claudio Cardelli (anche se di solito si occupa di Tibet, ma in questo caso ha prevalso la comune cittadinanza) e all’ultimo erede di Enrico Carboni, Enrico Verona, possessore del manoscritto originario del volume edito. Il romanzo scritto da Enrico Carboni (1835-1885), verso la fine del 1880, non fu mai edito. Discendente di una nobile famiglia originaria di Pennabilli, già decaduta ed impoverita quando Enrico nacque, non riuscì a terminare gli studi universitari in filosofia per mancanza di risorse economiche e fu costretto ad accettare un lavoro di impiegato governativo nell’amministrazione della Pubblica Sicurezza del nuovo Governo Italiano. Per lavoro fu trasferito in Toscana, prima a Pisa e poi a Lari. Il suo tempo libero dall’impiego lo vide impegnato a produrre testi poetici e in prosa. Il suo migliore lavoro è considerato questo romanzo storico “Clarice” che doveva essere pubblicato prima da Hoepli e poi dall’Editore Angelo Valenti, ma entrambe le trattative non andarono a buon fine. La improvvisa scomparsa di Carboni, a soli 50 anni, fece sì che il

Oreste Delucca: "Friano, la terra. Ospedaletto, il fiume" - Interno4. Due considerazioni preliminari: la prima è che questa nuova opera di Oreste Delucca conferma (caso mai ce ne fosse ancora bisogno) del suo lungo, e proficuo, lavoro all’interno degli archivi locali da cui è capace trarre tutti i dati necessari per ricostruire quadri storici d’insieme; la seconda è che, grazie alla generosità della Signora Ombretta Pompea Pivi e alla sua azienda agricola “Terre di Fiume” a Friano, dopo una decina d’anni Coriano torna ad avere un nuovo libro di storia importante per la conoscenza del suo territorio. Delucca, partendo dall’esame dei documenti storici arrivati a noi su Friano, ci racconta le vicende di un territorio compreso fra Ospedaletto, Cerasolo e Mulazzano. Friano “importante nell’antichità e fino al tardo Medioevo, allorquando era sede parrocchiale e costituiva una piccola ma viva comunità. Poi, una lunga stagnazione, il declassamento della sua chiesa a semplice oratorio (…). Poi il definitivo tracollo, dovuto al terremoto del 1916 che abbatte la chiesa. Da quel momento Friano non è più una vera comunità, ma l’insieme di poche case sparse, prive di un legame reale”. Il mondo che ci racconta Delucca è quello di una realtà contadina, poverissima, dove domina “un

Sergio Lepri: "S-ciantèll ad paròli. Tla gran bascoza de zìl" - Pazzini. Io non sono capace di scrivere come scrivono i professionisti della presentazione delle opere di pittura o di poesia. Debbo prenderne atto. Non posseggo quel loro criptico linguaggio con cui, interpretandoli, si può anche pensare che dicano delle cose importanti per la comprensione della poetica dell’artista o del poeta. La lingua italiana è così bella che ognuno la può utilizzare come meglio crede. Semmai potremmo unirci per combattere una battaglia per la difesa della ricchezza dell’italiano contro la semplificazione degli sms o dalle puttanate degli odiatori di Facebook. Tutto questo per dire che non è facile per me presentare un libro di poesie dialettali (e che dialetto poi, quello duro di Santarcangelo di Romagna) come questa ultima opera di Sergio Lepri. Onde evitare equivoci voglio però dire subito che è un libro stupendo, che si legge con grande emozione e partecipazione. Dalle riflessioni più intime alla constatazione di tante piccole situazioni di fatto. Ad esempio. Un gn’è la nàiva? (St’àn la nàiva l’à vlèu zirè / d’un èlta pèrta / e alàura e’ prè tònda chèsa / par no stè ad mènch, / par fèinènca dispèt / u s’è vlèu impinòi pròima / de tèmp