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Angelo Chiaretti: "Dante Alighieri chi era costui? Il gran giallo dei due Dante Alighieri alla luce di vecchie e nuove scoperte". Centro Dantesco San Gregorio in Conca. Prima di parlare del libro è d’obbligo dire chi è Angelo Chiaretti, uno dei personaggi più noti in Valconca per i suoi molteplici e vari interessi: da quelli storici a quelli culinari, dall’amore per Dante alla promozione turistica. Chiaretti di mestiere è docente di letteratura italiana e storia in un istituto superiore. Autore di diversi volumi sulla storia di Mondaino, suo paese natale. Gestore, con la famiglia, del Molino della Porta di Sotto a Mondaino, uno dei migliori negozi delle prelibatezze alimentari del territorio della Valconca. Tra i fondatori e animatori della “Mondaino Young Orchestra” (MYO), una ensemble di 40 elementi che ormai da diversi anni spazia tra i più diversi generi musicali e che sta portando avanti un progetto di rieducazione al Jazz tradizionale. Consulente della Banca Valconca per numerose iniziative culturali. Redattore del secolare periodico di Morciano “L’Ape del Conca”. Fondatore nel 1997 del Centro Studi Danteschi “San Gregorio in Conca”, con cui organizza in giro per l’Italia “Lecturae Dantis”, happenings culturali, mostre pittoriche ed avvenimenti di vario genere legati al mondo di Dante Alighieri

Silvio Biondi, Amedeo Blasi, Maurizio Matteini Palmerini. "Ghécc" - La Pieve. Non esistono purtroppo statistiche note sui morti e feriti da mine e bombe inesplose nel dopoguerra riminese. Qualcosa è noto sull’epopea degli sminatori che operarono in tutta la Romagna, da Cattolica a Ravenna, perché “Bardan” (Silvano Lis, 1926-2014) lo ha raccontato per averne fatto parte e per aver costituito l’associazione per la realizzazione del Cippo, nel 1985, nel Parco di San Giuliano Mare, ai nove sminatori riminesi caduti fra il 1945 e 1948. Essi facevano parte di quella schiera di coraggiosi, oltre 2.000, impegnati nel Nord-Italia nell’azione di bonifica. Di questi oltre 600 morirono dilaniati dalle esplosioni degli ordigni. Ma diversi civili, fra cui molti bambini, rimasero feriti (spesso in maniera assai grave) o perirono nei mesi e negli anni successivi al passaggio del Fronte sui nostri territori. Quanti? Non lo sappiamo, ma le memorie dei singoli e collettive ci dicono che questa fu una terribile piaga del nostro dopoguerra. Il libro scritto dai tre autori ci racconta la storia dimenticata di una di queste tragedie. Come in un film, attraverso le testimonianze raccolte dei parenti e dei vicini, si sviluppa sino all’epilogo tragico la storia di un gruppo di bambini di Villa Verucchio

Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna: "Gessi e solfi della Romagna Orientale". A cura di Maria Luisa Garberi, Piero Lucci, Stefano Piastra, Carta Bianca Editore. Devo la conoscenza di questo bellissimo volume all’amico Sergio Pierini, appassionato speleologo corianese. Un lavoro scientifico straordinario quello realizzato dalla Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna per la conoscenza dei fenomeni carsici del gesso e quello, inusuale e pericoloso, del zolfo posti tra le vallate del Rabbi e del Conca. Dal punto di vista politico-amministrativo a cavallo delle Province di Forlì-Cesena, Rimini e Pesaro-Urbino e della Repubblica di San Marino. A questo volume (quasi 750 pagine di grande formato) hanno collaborato una cinquantina di autori: studiosi di università e istituti di ricerca italiani ed europei. “Si tratta di un territorio in cui, a seguito a plurisecolari vicende estrattive ed umane, natura e cultura si intrecciano, contraddistinto da emergenze di valore assoluto specie in riferimento alle cavità artificiali: si pensi alla miniera di zolfo di Perticara (Novafeltria), chiusa nel 1964, all’epoca il massimo sito estrattivo solfifero d’Europa. Proprio nella riesplorazione, a distanza di oltre cinquant’anni dalle dismissioni, delle locali ‘solfatare’ va forse individuata l’attività maggiormente innovativa e tecnicamente complicata del progetto, portata avanti in ambienti ipogei estremi a carenza d’ossigeno”. I gessi e i solfi

Gianfranco Miro Gori: "La radici di Fellini romagnolo del mondo" - Il Ponte Vecchio. Miro Gori torna con questo volume ad occuparsi di Federico Fellini. Lo ha fatto negli ultimi quarant’anni con pubblicazioni, articoli, mostre, rassegne. Per dovere d’ufficio come responsabile della Cineteca comunale di Rimini, ma anche come attento studioso del mondo cinematografico italiano. Senza averlo mai incontrato personalmente (ci sembra di aver capito da quanto lui scritto): “Ho incontrato Fellini qualche volta a partire dalla fine degli anni Ottanta. Ma al telefono o per posta”. Poi lo invitò in diverse occasioni ad intervenire ad appuntamenti a lui dedicati, ma senza successo: “Tatti Sanguineti mi descrisse come l’assaltatore ufficiale o istituzionale di Fellini”. In questo ultimo testo Miro Gori ripercorre il rapporto di amore/odio di Fellini con la nostra/sua città. Il regista lasciò fisicamente Rimini alla fine degli anni ’30, ventenne, per Roma: ma il filo che lo legò per tutta la vita alla sua città natale non venne mai reciso. Da un film all’altro sino ad “Amarcord” (uscito nelle sale cinematografiche il 18 dicembre 1973), ovvero quando porterà Rimini sulla vetta della sua immensa fantasia cinematografica. “Sta di fatto che, grazie al cinema, non se ne andò mai. Perché con

Veniero Accreman: "La cultura & il diritto - In appendice Due arringhe malatestiane" Guaraldi Editore. Sono già passati tre mesi dalla scomparsa di Veniero Accreman il 27 dicembre 2016. Aveva compiuto da qualche settimana 93 anni (era nato a Rimini il 23 novembre 1923). Veniero negli ultimi anni aveva pubblicato due volumi: “Le pietre di Rimini” (Capitani, 2003) ambientato nel periodo della Resistenza; la raccolta di saggi “La morale della storia” (Guaraldi, 2013). Il terzo libro “La cultura & il diritto” (Guaraldi, 2016) doveva essere presentato in occasione del suo compleanno, ma il ricovero in Ospedale lo ha impedito. Prima di parlare di questa sua ultima opera vorrei però ricordare le diverse volte in cui ho tentato, come Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza, di spingerlo a scrivere della Rimini del dopoguerra, della sua vita politica e amministrativa, senza però mai riuscire a convincerlo. Con gentilezza, ma anche con fermezza, mi rispondeva sempre che non ne valeva la pena. Oggi, caro Veniero, sono ancora più che mai convinto che invece avremmo avuto bisogno di queste tue pagine per capire meglio tante vicende riminesi dal dopoguerra ad oggi, del tuo ruolo e quello di tuoi amici carissimi. Ci rimane il grande rimpianto di una occasione perduta. In

Lidiana Fabbri: Mulìghi [Briciole] - Il Ponte Vecchio. Il quarto libro di Lidiana Fabbri in 10 anni (il primo fu “S’un fil ad vent” del 2007). Con una crescita continua delle sue capacità espressive e di utilizzazione del dialetto. Una delle poche donne entrate nel club dei poeti dialettali romagnoli. Guardando l’elenco pubblicato online da “La Ludla”, il periodico dell'Associazione ravennate "Istituto Friedrich Schürr", le donne sono veramente poche (ma Lidiana c’è). Le riminesi (in senso di territorio provinciale) però non arrivano a le dita di una mano: Giuliana Rocchi (1922-1996), Annalisa Teodorani (classe 1978) e Lidiana Fabbri (classe 1951). La bella introduzione di Davide Pioggia, “Una lingua in viaggio”, ricostruisce il percorso di vita di Lidiana: nasce a Cerasolo di Coriano, nel 1962 con la famiglia si trasferisce a Rimini, prima nel Borgo Sant’Andrea e poi nel Borgo San Giuliano, ed infine a Gaiofana dove vive ancora oggi. Questi incontri con realtà diverse, anche linguistiche, fanno sì che “la lingua perennemente mutevole di Lidiana Fabbri potrà sembrare una sorta di ibrido deteriore, ma anche in questo si coglie un aspetto del carattere di Lidiana, che è inclusivo non esclusivo, e si lascia attraversare da ogni esperienza prendendone ciò che la può arricchire”. 57 i testi poetici che

Fiorenzo Mancini: "Umberto Boccioni e Morciano di Romagna. (I rapporti con i familiari)" - Banca Popolare Valconca. Nel 2016 la Banca Popolare Valconca ha voluto ricordare il centenario della morte del pittore futurista Umberto Boccioni (1882-1916) con una mostra (allestita dall’1 ottobre al 30 novembre 2016 nella Sala conferenze della Banca) in cui è stato esposto anche il quadro di Boccioni acquistato dalla Banca “Donna che cuce” (un olio del 1906) e con la pubblicazione del volume di Fiorenzo Mancini dedicato ai rapporti familiari di Boccioni e ai suoi legami con Morciano di Romagna. I genitori del pittore, Raffaele Boccioni e Cecilia Forlani, erano morcianesi. Ma il padre, che lavorava come usciere di prefettura, nel corso della vita fu costretto varie volte a spostarsi in diverse città per esigenze di servizio. Il figlio Umberto, il suo primogenito, nacque il 19 ottobre 1882 mentre prestava servizio a Reggio Calabria. Ma qui rimase solo 20 giorni perché il padre fu nuovamente trasferito in altra sede e Umberto seguì le peregrinazioni del padre da una città all’altra. Ma non c’è testo dedicato al pittore che non sottolinei le origini romagnole di Boccioni. Il poeta Aldo Palazzeschi (1885-1974), compagno d’avventura del movimento futurista, così lo descriveva: “Un

Giuliano Bonizzato: "Tu quoque Ariminum" - La Stamperia. «"Diamo a Coriano quello che è di Coriano. La piada è rurale, il pane è per quelli di città”. E i cassoni? – gli domandano - . “Beh, i più buoni li fa uno di Riccione che però è di origini corianesi”. O.K. Se lo dice il prosindaco di quel ridente paese sulle colline di Rimini, deve essere vero. Perché il prof. Enrico Santini non si limita a giurare sul … Coriano. “Ci sono prove e documenti a dimostrare che la piada è nata qui da noi! Se non partiamo dalla Storia siamo finiti…”. A questo punto la curiosità si è fatta in me spasmodica. E finalmente ho scovato, proprio nella biblioteca di Coriano nientemeno che La veridica Storia della Piada. Enea e dintorni del prof. Arthur Erich Schopenzanten docente di Letteratura Latina alla Goethe Universitat di Francoforte che dimostra in maniera inconfutabile come la piada sia stata inventata dai Corianesi sin dai tempi della Guerra di Troia”». Quando si è presi per i fondelli con questa ironia gradevole, cosa bisogna dire: evviva, meno male che ci sono i corsivisti in questo mondo triste e plumbeo di questi anni. L’avvocato riminese Giuliano Bonizzato mancava da

Sergio Lepri: "Dè par dè. Par zarchè ad svarnè. Poesie in dialetto romagnolo". Pazzini Editore. Sergio Lepri lo conosco da sempre, ma in tutt’altra veste che di autore di poesie in dialetto romagnolo (meglio santarcangiolese). Sergio è nato a Santarcangelo nel 1935. Impegnato in politica sin da giovane, dal 1960 al 1968 è consigliere comunale e assessore nel suo comune di nascita, per divenire poi funzionario e dirigente sindacale a Rimini, Bologna e Roma sino al 1983. Al suo rientro a Rimini assume responsabilità varie all’interno della Lega delle cooperative. [caption id="attachment_29405" align="alignnone" width="500"] Praga, 1968. Da sinistra, Flavio Nicolini, il sindaco di Santarcangelo Giordana Ricci, Filippo Tassinari e Sergio Lepri[/caption] Una piacevole sorpresa quella che Lepri ora ci regala con questa raccolta di testi poetici, nel modulato dialetto santarcangiolese, pieno di dittonghi. Ci rivela che è una vita che scrive, solo per suo diletto e per pochi amici e familiari, questi testi poetici. Questo è il suo secondo volume: il primo fu “Al mulàighi d’un pasaròt” (Panozzo, 2008). In entrambi i volumi le poesie attingono alla sfera dei ricordi dell’Autore: “sono immagini, sensazioni, pensieri, stati d’animo. Sono il sentire, l’ascoltare la propria ed altrui quotidianità”. T’AT GUÈRD. T’at guèrd te spèc / e ta t’incòrz

Salvatore Egidio Di Grazia: "Don Filippo Di Grazia - Un uomo tra gli uomini" Pazzini. Don Filippo in una lettera al Vescovo Mariano De Nicolò: “Ho pensato di scriverle per presentarmi, data anche la mia esperienza con il Vescovo Giovanni [Locatelli]. Non ho avuto gravi problemi con lui (e spero lui con me). Ma quando venne da noi, in verità dopo non molto tempo, qualcosa offuscò i nostri rapporti: qualcuno gli disse che ero un prete comunista, laicista, secolari sta, un uomo incostante, di cui non ci si poteva fidare. Tutta verità? Qualcosa di vero ci sarà stato, indubbiamente. Sono diventato prete a 35 anni, dopo aver studiato all’università statale e insegnato nelle scuole pubbliche; ho continuato ad insegnare anche dopo l’ordinazione. Ma l’impegno più preciso e costante è stato indubbiamente nella scuola di Stato e con i gruppi di laici e singole persone forse diverse dai cattolici praticanti e militanti nei movimenti ecclesiali”. Don Filippo Di Grazia (1929-2010) è stato una figura di rilievo del mondo religioso riminese dagli anni ’50 alla sua morte. Un uomo che, nonostante la sua “obbedienza” alla Chiesa, non ha mai rinunciato alla sua libertà di pensiero e di azione. Molto conosciuto dai ragazzi attraverso il

Gianni Fucci: "Lêgrimi ad luce" - Il Vicolo. E’ fatica scrivere qualcosa di nuovo sulla poesia di Gianni Fucci arrivato alla veneranda età di 89 anni. Santarcangiolese, ultimo protagonista vivente del gruppo E’ cìrcal de giudeizi che comprendeva Rina Macrelli, Tonino Guerra, Nino Pedretti, Raffaello Baldini, Flavio Nicolini. Tutto è già stato detto, ma ha ragione da vendere Marisa Zattini quando nella presentazione scrive “Lêgrimi ad luce è un libro vivissimo fatto di colori che si trasmutano in energie multiple che stanno oltre il tempo”. Il volume si suddivide in quattro sezioni differenti: Lérrichi mnéudi (Liriche minute), Chént spréd (Canti disperati), Sghiribézz (Capricci) e Dèdichi (Dediche). “Liriche minute” comprende 34 poesie scritte fra il 1998 e il 2012, ma tutte “rivisitate” fra il 2014 e il 2016. “Canti disperati” conta invece 15 poesie scritte fra il 1995 e il 2005, ma anche queste tutte “rivisitate” nel 2015. La terza sezione, “Capricci”, comprende invece 23 liriche scritte fra il 1997 e il 2003, ma “rivisitate” tutte fra il 2015 e il 2016. Ed infine “Dediche”, 15 poesie scritte fra il 1999 e il 2012, ma tutte “rivisitate” anche queste fra il 2015 e il 2016. Nella prima sezione sono le emozioni infantili, gli affetti

Mario Russomanno: "Potere romagnolo. Uomini e politica. Idee, obiettivi e contraddizioni di chi guida il cambiamento" - Minerva. Mario Russomanno, nato a Rimini nel 1954 e residente a Meldola, è laureato in giurisprudenza, è giornalista della carta stampata e televisivo, è autore di diversi volumi su vari temi, è docente universitario, è manager, è stato amministratore pubblico della sua Città di residenza e probabilmente non ho trovato tutto sulle sue varie attività. Ma la sua notorietà maggiore gli deriva dal condurre ormai da oltre 15 anni, a tarda serata, la trasmissione “Salotto Blu” su VideoRegione, che trasmette da Forlì ma che arriva in tutta la Romagna. Dal suo salotto è passata, e continua a passare, tutta la classe politica (di ogni colore) della Romagna: quella delle pubbliche amministrazioni locali, i parlamentari, i consiglieri regionali, i dirigenti delle aziende pubbliche, della sanità ma anche il gotha dell’imprenditoria privata, della cooperazione, del movimento sindacale, nonché intellettuali, docenti universitari, dirigenti scolastici. E a tutti lui pone domande ed esige risposte. Nei comunicati stampa dei numerosi incontri che sta facendo nelle città romagnole per promuovere il libro viene detto: “Russomanno intraprende un viaggio suggestivo, denso di retroscena e spunti di attualità, all'interno di ospedali e campus universitari, associazioni d’impresa