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È una storia contadina, come afferma Sergio Zavoli nella sua prefazione. “Una storia ambientata durante le lotte agrarie dopo la Seconda Guerra Mondiale, con le promesse a lungo mancate dal dover cedere alla realtà fino a quando i proprietari terrieri si troveranno di fronte le risolute e legittime richieste contadine per una diversa ripartizione dei raccolti e quindi con il dovuto miglioramento delle condizioni di vita”.  Il racconto è situato nella provincia di Ascoli Piceno e nei comuni del suo entroterra collinare (Castignano, Montedinove, Montalto, Offida, Ripatransone). Prendendo in mano il romanzo di Pietroneno Capitani (che si firma con il suo soprannome in dialetto ascolano) in queste ore terribili in cui un terremoto devastante ha colpito le province di Rieti e di Ascoli Piceno e che le immagini televisive ci portano in tempo reale a vedere (e a condividere emotivamente) i disastri distruttivi provocati in quei territori abbarbicati sulle colline appenniniche, suscita ancor più attenzione. Al di là della storia dell’amore fra il giovane contadino Filippo e la figlia del padrone Annamaria, nel libro ci sono belle pagine di descrizione di questa terra aspra e dura da coltivare, ma ricca di storia e di una popolazione partecipe e attiva ai cambiamenti. Capitani si è

Pasquale D’Alessio, 58 anni, napoletano, ma da tantissimi anni trapiantato a Riccione dove lavora presso il Comune (con varie funzioni, compresa quella della direzione della Biblioteca Comunale per alcuni anni). Autore dal 2009 di diversi volumi di poesie. Carla Lunedei, avvocata, vive a Riccione e lavora a Rimini, appassionata fotografa da sempre. Walter Raffaelli, editore riminese dal 1992, proprietario di una piccola casa editrice che produce libri di qualità, curati con grande attenzione. L’unione di questi protagonisti ha prodotto questo bel libro, piacevole da guardare e interessante da leggere. Non è sempre facile mixare nella giusta misura componenti diverse, ma in questo caso l’editore ci è riuscito. Le rime poetiche dell’Autore ci raccontano di un tempo che vola via, di esistenze che passano, di amori e dolori che ne segnano il ritmo: “Fugge questo niente che non riesco a guardare”. Non c’è storia, e forse nelle rime di D’Alessio emerge un pessimismo che raccoglie nell’esistenza quotidiana dell’oggi: “Ho un semplice calendario da tavolo, dove / Le giornate avanzano, arrivano, non passano / Ritornano al punto da dove erano partite / Mentre ritornano indietro incontrano le giornate che arrivano / Quello che è stato incontra ciò che ancora non è stato / Qualche volta si

Storia della Chiesa Riminese (4 voll.) Pazzini / Guaraldi 2010-2015 1 - DALLE ORIGINI ALL’ANNO MILLE A cura di Raffaele Savigni (2010) 2 - Dalla lotta per le investiture ai primi anni del Cinquecento A cura di Augusto Vasina (2011) 3 - Dal Concilio di Trento all’età napoleonica A cura di Samuele Giombi (2013)  4 - Dalla Restaurazione ai nostri giorni A cura di Piergiorgio Grassi (2015) Con l’uscita del quarto, ed ultimo, volume della “Storia della Chiesa Riminese” si è conclusa una delle operazioni editoriali (e culturali) più importanti degli ultimi 15 anni. Quattro curatori, una sessantina di contributi, quasi 2.300 pagine, un migliaio di immagini, l’impegno di due editori, lo sforzo di coordinamento complessivo svolto dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Marvelli”, il contributo economico fondamentale della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini. Il pregio dell’opera è quello di aver trattato la storia della Chiesa riminese immergendola nella vita del territorio, della società, dell’economia, della cultura e dell’arte. Descrivendo i contributi reciprocamente dati, oltre che all’azione semplicemente spirituale e religiosa del suo agire. E’ chiaro che ci sono in questa mole di contributi saggi importanti e nuovi, oltre che saggi riepilogativi ed altri di minor valore. Ma è l’insieme che vale, ovvero una lettura critica e complessiva della storia

Gino Valeriani – Giancarlo Frisoni “Carolina”. Storie di una corriera e dei suoi personaggi (La Stamperia) Un’altra storia “minimale” scritta da Gino Valeriani e Giancarlo Frisoni, arrivati in vent’anni a firmare assieme oltre venti libri dedicati al mondo contadino (nei suoi vari aspetti) della Valconca. Un mondo ben diverso da quello che ormai sembra essere diventata la visione prevalente, ma falsa imposta dalla pubblicità del Mulino Bianco, come sostiene nella sua prefazione Stefano Pivato. Una pubblicità che propone il mito campagnolo di un mondo felice e genuino, dove non esistono affamati e scioperanti, ma solo ruscelli, famiglie felici e abbondanza alimentare. Scrive Pivato: “In realtà si tratta di una visione distorta del passato. E non solo di quello alimentare. ‘Una volta’ non si mangiava affatto. L’Italia era il paese della fame, dell’indigenza, della povertà. E’ una storia che elimina antagonismi e differenze e propone uno schema favolistico nel quale tutto è messo sullo stesso piano con l’inevitabile lieto fine”. E allora ben vengano “lavori come quelli di Gino Valeriani e Giancarlo Frisoni del Gruppo di ricerca storica della memoria orale che ci riportano alla realtà. Ci ricordano che il mondo contadino non era Arcadia. Che, ancora, i conflitti sociali e le disparità nelle campagne c’erano.

Laura Rossi: "Gino Zani, ingegnere 1882-1964" (Nomos Edizioni). Laura Rossi, ex Direttrice della Biblioteca di Stato di San Marino, su incarico della Società Unione Mutuo Soccorso (SUMS) di San Marino, ci fornisce questo ricco volume biografico sull’ingegner Gino Zani (1882-1964). E’ a Lui che si deve la San Marino così come oggi la conosciamo: “…i sammarinesi non avrebbero dovuto dimenticare che la loro Repubblica è un rudere monumentale di legislazione medievale e che ogni intonaco novecentistico che mascheri il loro monumento non solo non lo rende interessante, ma annulla le ragioni della loro libertà” (Gino Zani). Una San Marino dunque falsa, tutta rifatta dagli anni Trenta in poi? In gran parte sì, ma sulla base di approfonditi studi storici sull’architettura medievale da lui compiuti, oltre che dell’utilizzo delle conoscenza dategli dai più noti studiosi delle vicende della Repubblica (Onofrio Fattori, Pietro Franciosi). A Lui si devono l’attuale assetto urbanistico del centro storico, i restauri delle torri, delle mura di cinta, dei principali edifici e monumenti storici. Fu ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Governativo dalla metà degli anni Trenta ai primi anni Cinquanta. Storico e studioso, diede un impulso fondamentale alle ricerche di carattere archeologico in vari luoghi della Repubblica e, come direttore degli Istituti Culturali,

Lidia Maggioli – Antonio Mazzoni "SPIAGGE DI LUSSO - Antisemitismo e razzismo in camicia nera nel territorio riminese" (Panozzo) Dobbiamo a Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni profonda gratitudine per il lavoro compiuto per dare alla luce questo prezioso libro dedicato alle vicende degli ebrei riminesi dal 1938 al 1945. Finalmente un punto fermo a cui le certosine ricerche degli Autori, in Italia e nel mondo, ci hanno fatto approdare. Riepiloghiamo un attimo i dati nazionali, prima di affrontare quelli locali che gli Autori ci propongono: una legge promulgata nel dicembre 1937 definisce “lesiva del prestigio di razza” la relazione tra italiani e “sudditi” delle colonie africane. Nel giro di un anno, il Governo fascista delibera pure che i cittadini ebrei non appartengono alla razza italiana: nel settembre 1938 insegnanti e studenti ebrei vengono espulsi da tutte le scuole del Regno e gli ebrei stranieri espulsi dal Paese; a novembre vengono radiati dall’esercito ed espulsi dal Partito fascista; nel giugno 1939 vengono cancellati dagli ordini professionali, gli si proibisce di esercitare il commercio ambulante, di possedere radio, di comparire sugli elenchi telefonici; nell’agosto 1939 è fatto divieto agli ebrei di soggiornare nelle località turistiche “di lusso” (fra queste erano ricomprese Cattolica, Cesenatico, Rimini

Alberto Malfitano: Il governo dell’acqua Romagna Acque – Società delle Fonti dalle origini a oggi (1966-2016) Il Mulino Il 6 agosto 1966 il Ministero dei Lavori Pubblici approva con decreto la nascita del Consorzio Acque (composto dalle due province romagnole e da oltre una ventina di Comuni) per la costruzione di una diga nella Valle del Bidente, in località Ridracoli. Lavori che iniziarono nel 1975 per completarsi nel 1982. La rete acquedottistica di distribuzione fu completata nel 1987. L’Acquedotto di Romagna fu ufficialmente inaugurato nella primavera 1988. Complessivamente l’intero progetto costò circa 570 miliardi. L’investimento più grande che l’area romagnola abbia mai prodotto per una infrastruttura. Infrastruttura pensata, voluta e costruita per dare acqua ad un territorio, la Romagna, in cui l’emergenza idrica nel corso dei decenni, dalla fine della guerra in poi, era diventata sempre più assillante per i pubblici amministratori e per le loro popolazioni. Il bel libro di Alberto Malfitano, ricercatore di storia contemporanea dell’Università di Bologna, operante da anni nel Campus di Rimini, e diventato poche settimane fa Direttore dell’Istituto Storico della Resistenza di Rimini, ripercorre con grande maestria i 50 anni di vita di questa grande opera romagnola. Una storia costellata di scontri politici (locali, regionali e nazionali), di “caccia” alle

Non me lo aspettavo. Per me Gianni, anche per l’amicizia sua nei miei confronti a me molto cara, è sempre stato l’espressione della poesia in dialetto romagnolo, anzi meglio in santarcangiolese, quello “duro” che senza grande concentrazione difficilmente un non autoctono riesce a capire. Ed eccolo invece presentare lo scorso Natale questo libretto poetico che contiene testi in italiano di 3 diversi periodi della sua vita: i testi della prima parte (“Inquietudini”) sono stati scritti negli anni ’50, quelli della seconda parte (“Ancoraggi”) negli anni ’80, quelli della terza parte (“Rigurgiti”) negli anni ’95-’96. Alcune anticipazioni dei suoi lavori in italiano del resto erano già apparsi nel volume antologico “Santarcangelo della poesia” (Luisè, 1998). Ha ragione Ennio Grassi nella sua postfazione quando scrive: “La relazione tra i testi in dialetto e quelli in lingua è senz’altro evidente in alcuni dei temi ricorrenti nell’una come nell’altra: il tempo tra “kronos” e “kairos”, il dolore come esilio dell’anima, la memoria di una stagione perduta insieme alle persone amiche che l’hanno abitata, lo spaesamento: cifre stilistiche assolutamente autonome l’una dall’altra dagli esiti di non minor pregio rispetto alla produzione in dialetto”. Gianni ha oggi 88 anni, è l’ultimo di quel “E’ Circal de giudèizi” (In