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Chissà quale magica e sfuggente alchimia c'è nell’insalata di riso sull'arenile: e naufragar ci è dolce in questo tupperware

Nei gesti pre-festivi dei recanatesi osservati da Leopardi nel Sabato del villaggio – la ragazza che torna dalla campagna con i fiori che si metterà fra i capelli e nel decolleté, le vecchiette che rimembrano i balli della giovinezza, l’artigiano che si affretta a finire il lavoro, eccetera – non ce n’è uno dedicato al cibo. Per le vie del borgo niente aromi di ragù che sobbolliscono, niente rumori di mattarelli che stendono, niente aromi di grigliate succulente, niente conversazioni su cosa ci sarà in tavola: a Recanati la cena del sabato e il pranzo della domenica dovevano essere molto parchi, oppure Leopardi era inappetente e non ci faceva caso (del resto la sua passione erano i dolci, in particolare il gelato, che domandò anche sul letto di morte, a Napoli nel 1837. I medici storsero il naso e gli portarono una cioccolata o, secondo un’altra leggenda, un chilo e mezzo di confetti di Sulmona; probabilmente tutt’e due le cose, visto che Leopardi morì la mattina dopo per coma diabetico). I discorsi e i ragionamenti sul cibo sono invece un aspetto fondamentale del sabato riminese, compreso quello della Notte Rosa, e basta fare un giro al mercato per rendersene conto. Vista

Dalla Marianna un atto di fede nell’onestà dei suoi citoyens, chissà quanto ricambiato

«E i francesi che si incazzano, che le balle ancora gli girano»: la citazione da Bartali di Paolo Conte è d’obbligo, all’indomani della storica giornata che ha colorato Rimini di giallo-Tour de France. Perché anche senza sapere esattamente come sono andate le cose, ci sarà stato di sicuro qualcosa che li ha fatti incazzare, sono fatti così, specie se ci siamo di mezzo noi italiani. Ma forse ieri non c’era bisogno di incomprensioni fra cugini gallo-latini per innervosire i transalpini. Oggi in Francia si vota, un appuntamento che potrebbe cambiare il volto del Paese, e i francesi che sono qui per seguire il tour non potranno andare alle urne, che tifino Bardella o Nuovo Fronte Popolare. Il colpo di teatro di Macron, che ha indetto a sorpresa le elezioni la sera stessa delle europee, ha complicato la vita a tutti quelli che avevano fatto programmi di lavoro o di vacanze all’estero dal 30 giugno in poi. E considerato ciò che bolle in pentola – un governo di destra-destra con tendenze filoputiniane – c’è di che stare sulle spine. Può darsi che i francesi che si trovano in Romagna per la Grande Boucle abbiano designato una persona che oggi ci vada al posto

Ma quale pericolo costante, tutti i numeri dicono esattamente il contrario

Ah, la Francia. Seppure incasinata e sull’orlo di una svolta politica a destra che potrebbe far sembrare centrista il governo Meloni (lo sapremo fra un paio di settimane), resta sempre più evoluta di noi su certe cose, specie quando riguardano le donne. Non mi riferisco all’inserimento nella Costituzione transalpina del diritto all’aborto (anche se ci sarebbe tanto, ma proprio tanto da dire, considerato che da questa parte delle Alpi si dice di non voler toccare la legge 194 ma si incoraggiano nei fatti l’obiezione di coscienza e l’intrusione dei movimenti pro-vita, quando l’unico modo accertato per incoraggiare la natalità è aumentare i servizi alla famiglia e l’occupazione femminile). Parlo della nuova campagna per la sicurezza stradale lanciata dal governo francese, con un motto che da noi farebbe scandalo: «Guidate come una donna». Tutte le ricerche confermano da anni e anni che le donne al volante non sono un pericolo costante, anzi, è esattamente il contrario. Il pericolo costante sono gli uomini, che troppo spesso vivono la guida in senso esibizionistico e competitivo, sono allergici ai limiti di velocità e trascurano le più elementari norme di prudenza, mettendosi in strada troppo stanchi o intontiti dall’alcol, o quando il meteo consiglierebbe di rimandare

Anzi ci si mette pure palazzo Chigi a far saltare la circolazione ferroviaria pugliese le gite sui convogli storici offerte alle first lady del G7 di Borgo Egnazia

Non so se si tratta di una strategia di comunicazione con cui palazzo Chigi vuole dimostrare con i fatti di avere preso le distanze dal fascismo. Fatto sta che mai come in questo periodo in Italia i treni arrivano in ritardo. Dall’umile regionale al Frecciarossa, non si salva nessun convoglio, e non si tratta quasi mai di manciate di minuti, ma di botte dalla mezz’ora in su. Altro che l’esplicito riferimento alle «squadracce fasciste» responsabili del delitto Matteotti: la più lampante testimonianza del ripudio da parte di Giorgia Meloni dell’eredità mussoliniana è la completa imprevedibilità degli orari di partenza e di arrivo dei treni. Non esistono più le coincidenze, ma solo le pure coincidenze, nel senso che se riesci a scendere dal treno precedente in tempo per salire su quello successivo è una mera casualità, uno scherzo benevolo del destino. I motivi dei ritardi, così come ci vengono annunciati in italiano e in inglese dall’altoparlante, sono i più vari: solo la categoria «guasti» può declinarsi in almeno una dozzina di varianti, come pure «l’intervento dell’autorità giudiziaria», espressione che può sottintendere vari tipi di disgrazie. Gli annunci del primo tipo vengono accolti dai passeggeri per lo più con gemiti rassegnati o ululati di

E quali partiti sovranisti oggi dicono ìdi voler uscire dall'euro?

Io me le ricordo ancora, le prime elezioni europee. Era il periodo del mio esame di terza media, e credo che una delle tracce proposte – allora si chiamavano ancora temi – fosse proprio dedicata allo storico evento che fra il 7 e il 10 giugno avrebbe portato alle urne i nove paesi della Cee, la Comunità economica europea. A guardarla oggi sembra minuscola e tutta sbilanciata a Occidente: si fermava a metà Germania, mancavano non solo tutti i Paesi dell’ex blocco comunista, ma anche l’Austria, la Spagna e la Grecia, e l’unico paese scandinavo era la Danimarca. Insomma, praticamente era il cast di Giochi senza frontiere, senza la Svizzera. Forse era proprio l’imprinting dell’adorata trasmissione estiva, in cui le squadre dei vari paesi si sfidavano in allegria fra tuffi e pagliacciate, a rendere elettrizzante anche quel primo voto europeo, al quale non potevo partecipare per motivi d’età. Ma al secondo appuntamento, il 17 giugno 1984, c’ero anch’io, finalmente maggiorenne, e non potevo immaginare un battesimo dell’urna più emozionante, per motivi opposti: erano le prime elezioni senza Enrico Berlinguer, morto la settimana prima durante un comizio, e ci fu il clamoroso (e inutile, all’atto pratico) sorpasso del Pci sulla Dc. La tornata

Ormai le interazioni fra i politici sono regredite al cortile di una scuola elementare particolarmente mal frequentata

Donne, siate sincere. Quali sensazioni vi ha procurato il “sono qualla stronza della Meloni” con cui la premier ha salutato il governatore della Campania De Luca a Caivano? Su, avanti. Se avete genuinamente disapprovato, siete ammirevoli. La vostra posizione è la più giusta, corretta e civile. A parte l’improprietà del turpiloquio rivolto in pubblico dalla presidente del Consiglio a un rappresentante delle istituzioni – vabbè, si trattava di una citazione dello stesso Vincenzo De Luca, che però aveva indirizzato l’epiteto alla premier in una conversazione privata -, l’occasione era la meno indicata: l’inaugurazione del centro sportivo che dovrà riqualificare, socialmente e moralmente, la degradata zona di Caivano, uno dei comuni più invivibili del Napoletano, teatro di disgustosi fatti di cronaca. Le parolacce e soprattutto la ripicca, prodotto fastidioso ma incruento dello stesso impulso che genera la faida e la vendetta, dovevano essere tenuti alla larga. Sarebbe stato più in tema con lo spirito della cerimonia mettere da parte le vecchie ruggini, e se Meloni si era legata al dito qualche torto ricevuto, scioglierlo in un sorriso pacificatore. E invece no. Volendo usare un’altra metafora abusata, quella del sassolino, possiamo dire che la premier non solo se l’è tolto dalla scarpa, ma

I professori scrupolosi avranno studiato i precedenti della Divina Commedia nell'arabo Libro della Scala?

Scherza con i santi e lascia stare Dante, verrebbe da dire, di fronte a casi di cronaca come quello avvenuto in una scuola media di Treviso, dove due studenti sono stati dispensati dallo studio della Commedia in quanto offende la religione musulmana. Non ho messo fra virgolette “offende” perché c’è poco da fare, è proprio così: nel canto ventottesimo dell’Inferno, fra gli scismatici sbudellati dal mento all’inguine, troviamo Maometto, il fondatore dell’Islam, e suo cugino Alì, responsabile della divisione fra sciiti e sunniti - uno scisma è sempre uno scisma, anche se in un’altra religione. L’esonero dantesco non nasce come pretesa dei ragazzi musulmani o delle loro famiglie. L’iniziativa si deve al professore di Italiano, persona scrupolosa e rispettosa delle diverse sensibilità, che prima di proporre in classe la Divina Commedia, definita «un’opera a sfondo cattolico», ha chiesto il placet dei genitori dei due ragazzi, che in quanto musulmani non si avvalgono nemmeno dell’ora di religione. Io non sono di quelli che gli sale la carogna quando sentono parlare di politicamente corretto, però ho l’impressione che al buon professore trevigiano sfugga un problema: il novanta per cento della grande letteratura italiana fino al Novecento è a sfondo cattolico. I paladini dell’Orlando furioso

Niente confronto fra Meloni e Schlein, ci abbiamo perso o guadagnato?

Qual è il più avvincente duello che non vedremo mai? Il confronto televisivo su RaiUno fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, che l’Agcom ha mandato a monte per futili motivi. Dove per futili motivi si intendono le lamentele di un coro trasversale dei maschietti della politica, che per timore di venire eclissati da due donne hanno invocato la par condicio, un cerimoniale così ipocrita, superato e complicato che nemmeno alla corte di Bisanzio. E così noi elettori siamo stati privati della possibilità assistere a un dibattito pubblico fra le due personalità più rappresentative, comunque la si pensi, dell’attuale scenario politico italiano, un faccia a faccia unico al mondo (per quel che ne so), sia perché avrebbe visto sfidarsi una donna premier e una donna capo dell’opposizione, sia perché l’avrebbe arbitrato Bruno Vespa, uno che sta all’imparzialità come Fedez sta al galateo di Donna Letizia e al quale in un paese normale non si lascerebbe arbitrare nemmeno una partita di rubabandiera al centro estivo. E dire che io avevo già cancellato tutti gli impegni per venerdì 23, data prevista per il duello. Non che mi aspettassi dalle due signore un fuoco pirotecnico di argomentazioni illuminanti, eh. Anzi, devo confessare che come non-fan di

La sovranità alimentare non dovrebbe permettere che questi prodotti alieni si infiltrino nelle nostre scuole elementari

Così tondi, rossi, sodi e invitanti, più che pomodorini sembravano piccole mele mature. Mele di Biancaneve, disgraziatamente. Perché dopo aver morsicato quei pomodorini, inviati dal Ministero dell’Agricoltura nel quadro del progetto «Frutta e verdura a scuola», i bambini di due istituti riminesi hanno accusato nausea, vomito e bruciori di gola. Non è stato necessario convocare un Principe azzurro per salvare i piccoli, che per fortuna si sono ripresi prontamente, anche se la disavventura non deve avere migliorato il loro rapporto con gli ortaggi. Forse però sarebbe il caso di interpellare l’ineffabile ministro Francesco Lollobrigida, che in attesa di promuovere la sovranità alimentare, qualunque cosa sia, esercita quotidianamente la sovranità di scivoloni, pasticci e topiche, ultima delle quali, pronunciata in Senato per rassicurare i viticultori del Piemonte alle prese con i cambiamenti climatici, “per fortuna la siccità quest’anno interessa il Sud e la Sicilia”. Qui si tratta di qualcosa di più di una gaffe, a dire il vero. E non riguarda solo le scuole riminesi, perché analoghi malori fra gli alunni sono stati segnalati da altre città. A quanto pare il biondissimo Lollo, ministro per meriti matrimoniali (com’è noto, è il cognato della premier), si è trasformato nella più improbabile e disgustosa

Le scelte comunicative dei partiti dànno la piena misura della considerazione in cui tengono l’intelligenza di noi elettori

Per un mesetto possiamo anche disdire gli abbonamenti alle piattaforme d’intrattenimento: il vero spettacolo si chiama campagna elettorale, e fino all’8 giugno sarà quotidiana la gara per stupirci con effetti speciali ed esibizioni spericolate come nemmeno al Festival del Circo di Montecarlo. Prepariamoci anche a veder vacillare pericolosamente la nostra autostima collettiva: le scelte comunicative dei partiti in occasione del voto dànno la piena misura della considerazione in cui tengono l’intelligenza e il buon senso di noi elettori. E dalle loro prime mosse propagandistiche, dai primi messaggi lanciati nei comizi o attraverso i manifesti, emerge con chiarezza che la scarsa fiducia che gli italiani hanno nell’acume dei loro politici è pienamente ricambiata. Eh sì, anche loro ci giudicano degli imbecilli, qualunque sia la nostra scelta nel segreto della cabina. Anzi, paradossalmente, più siamo orientati a votarli, più loro ci ritengono decerebrati. Non si spiega altrimenti l’appello di Giorgia Meloni a votarla col semplice nome di battesimo, «Giorgia», trasformando la scheda elettorale in un bigliettino amoroso come quelli che ci si passava alle elementari. Evidentemente la premier pensa che la scolarizzazione dei suoi elettori si sia fermata lì, e che abbiano così poca confidenza con la scrittura manuale che dopo aver tracciato

Se Fassino voleva fare un regalo a sua moglie non si è sprecato molto

«Se qualcuno ruba un fiore per te, sotto sotto c’è Impulse». Fra i tanti anniversari che si celebrano in questo 2024 c’è anche il quarantennale di un celeberrimo slogan pubblicitario, quello del deodorante che abbiamo usato tutte noi teenager degli anni Ottanta. La cronaca recente ci permette di celebrarlo proponendone una versione aggiornata: se qualcuno ruba un profumo per te nel duty-free di un aeroporto è Piero Fassino. Un’accusa di taccheggio (per di più recidivo) non è esattamente il suggello più onorevole per una lunghissima e prestigiosa carriera al vertice del più grande partito della sinistra nelle sue diverse denominazioni, da Pci a Partito democratico, e della giunta comunale di Torino, di cui Fassino è stato sindaco. Oltretutto il profumo trafugato, o meglio, rinvenuto in una tasca dell’esponente dem (è ancora da accertare se ci è finito per dolo o per distrazione) non è né di nicchia né super-costoso: trattasi di uno Chanel da 130 euro, e il vero appassionato di fragranze esclusive è abituato a sborsarne anche il doppio, come possono confermare i nasi riminesi che frequentano quel meraviglioso negozio in via Gambalunga. Essendo stata da poco in un duty-free aeroportuale posso dire che anche lì si può trovare qualcosa

Ci sarà ancora un segnale orario Rai o sarà divisivo anche affermare che una certa ora è esatta?

Non che abbia mai rimpianto la mia breve avventura alla Rai (la televisione, credetemi, è una gabbia di matti in cui si sopravvive solo se si gode di un’inossidabile salute mentale o si è molto più psicopatici della media; chi come me è solo mediamente disturbato non ha speranze). Ma se mi fosse rimasta qualche nostalgia per viale Mazzini, gli eventi di questi giorni l’avrebbero del tutto dissipata. In un’epoca in cui le settantenni dànno dei punti alle quarantenni per verve, intraprendenza e fascino, mamma Rai festeggia le sue sette decadi nella sua forma peggiore, perdendo colpi, spettatori e professionalità a getto continuo. Il bollettino delle figuracce è diventato preoccupante: solo nell’ultima settimana si registrano, nell’ordine, la fuga di Amadeus, il re Mida degli ascolti e della pubblicità; il Porta a porta sull’aborto con tutti ospiti maschi, che è un po’ come un convegno sulla matematica affidato a un panel di opinionisti; last but not least, per impreziosire il weekend, la censura del monologo antifascista dello scrittore Antonio Scurati previsto ieri sera su RaiTre, come anticipo delle celebrazioni del 25 aprile. Nel suo intervento l’autore della trilogia su Mussolini ricordava l’assassinio di Matteotti e le stragi di Sant’Anna di Stazzema e