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Facciamo un gioco tipo Settimana Enigmistica. Fra questo secondo Natale targato Covid e il primo ci sono alcune differenze: proviamo a scoprirle insieme. Alcune sono fatte di numeri: quello di vittime giornaliere, che nel 2021 sono un terzo di quelle dell’anno scorso; quello dei nuovi casi, che è triplicato, ma a fronte di un numero di tamponi che è dieci volte quello del 2020. Altre sono molto evidenti: si è festeggiato in casa, ma senza limiti ai commensali, oppure in un locale, opzione proibitissima dodici mesi fa; ma sono anche aumentate le famiglie che non si sono potute permettere né regali né cenoni, perché nell’Italia della Grande Ripresa c’è chi ha perso lavoro e certezze. E ci sono differenze invisibili, cambiamenti che si sono prodotti dentro di noi e hanno dato un sapore diverso, non sempre migliore, alle celebrazioni natalizie. A generarli non è stato il Covid, ma, paradossalmente, ciò che un anno fa tutti attendevamo trepidanti, convinti che ci avrebbe redento dalla pandemia e da tutte le sue restrizioni: il vaccino, le cui somministrazioni sarebbero iniziate solo dopo le feste. In meno di dodici mesi gli italiani sono diventati sì uno dei popoli più immunizzati d’Europa, ma anche dei più divisi.

Ieri, passando vicino all’Arco, dove si erano raccolti i manifestanti «per la libertà» sfrattati dalle piazze dello struscio e dello shopping, ho finalmente potuto sentire dal vivo le loro proteste contro le restrizioni anti-contagio. Ci vuole un bel coraggio a pretendere la sospensione delle misure che, almeno per ora, ci stanno risparmiando una quarta ondata violenta come quella che sta spaventando Germania, Francia e Olanda. Non mi sorprende solo il rifiuto per ogni tipo di vaccino e perfino della mascherina, vista come emblema di sottomissione e schiavitù, ma anche la voluttà nell’ammantarsi dell’aura di perseguitati e discriminati, tanto da paragonarsi agli internati nei lager nazisti. Chi sono per loro gli aguzzini? Un’accolita di oscure entità identificate nel pronome «loro». «Vogliono chiuderci la bocca, vogliono toglierci la libertà», tuonava indisturbato l’oratore dell’Arco davanti a un centinaio di persone che evidentemente sanno chi sono «loro», i loro babau preferiti, i poteri forti, le banche, Big Pharma, Bilderberg, i rettiliani eccetera. Temo proprio che ormai non ci sia più niente da fare: se queste persone finora non si sono convinte che i vaccini, ancorché non privi al cento per cento di rischi (come qualunque farmaco), e il green pass, ancorché fastidioso da portarsi sempre appresso (ma

Ecco un primato di cui Rimini avrebbe voluto fare a meno: quello del numero di medici no-vax. Quarantuno in tutta la provincia, il 2 per cento del totale, il doppio della media nazionale, precisa il presidente dell’Ordine dei medici riminesi, Maurizio Grossi, che ha il crampo alla mano a forza di firmare decreti di sospensione. Medici sospesi significa pazienti abbandonati e, nel caso dei pediatri disobbedienti, bambini non seguiti e ricollocati presso colleghi già oberati di lavoro (gli specialisti in medicina infantile scarseggiano ormai da anni, un calo molto più rapido di quello della natalità). E, che lo voglia o no, ogni medico riluttante a vaccinarsi per questo o quel motivo, porta acqua al mulino dei matti convinti che il Covid non esista, che Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Janssen siano come le Gemme dell’Infinito con cui Thanos, il supercattivo degli Avengers, vuole sterminare metà del genere umano, o che i non vaccinati debbano fare sesso solo fra di loro per preservare intatto il loro Dna. I medici vaccino-obiettori, 1500 in tutta Italia, sono altrettante frecce all’arco dei paranoici cospirazionisti che non si limitano ad avvalersi della facoltà di non vaccinarsi o a criticare il green pass, ma si appiccicano la stella gialla

Va bene, il sarcastico invito twittato da Roberto Burioni, «facciamo una colletta per pagare Netflix ai novax quando dal 5 agosto saranno chiusi in casa come dei sorci», non è molto professorale. Soprattutto perché sottovaluta l’intensa vita notturna dei sorci, che dopo il tramonto hanno sempre scorrazzato impunemente alla faccia del coprifuoco, e continueranno a farlo anche senza green pass. Comprensibile che Giorgia Meloni, avendo raccolto l’eredità politica di quelli che si diceva condividessero uno degli habitat preferiti dai sorci, le fogne, sia insorta contro il linguacciuto virologo. «Questa non è scienza», lo ha rimbeccato, «frasi del genere servono solo a farsi invitare in televisione e appagare il proprio bisogno di apparire». Possiamo dubitare delle competenze di Meloni in fatto di scienza, ma quanto a frasi coniate apposta per colpire il pubblico e i media la signora ne sa almeno quanto Burioni. Tant’è vero che, da fiera vaccinista («una delle conquiste più importanti, la vaccinazione obbligatoria è lo strumento che la comunità scientifica ci dà per sconfiggere patologie solo apparentemente sconfitte per sempre», 2018) è diventata paladina della libertà di non vaccinarsi («green pass ultimo passo verso una società orwelliana», luglio 2021) per poi arretrare, nelle ultime ore, verso una più limitata

Prima di beccarmi degli improperi perché prima mi lamento delle mascherine e poi mi lamento perché si avvicina il momento di archiviarle: io non mi sono mai lamentata delle mascherine. Come tutti, all’inizio le ho adottate per necessità e per obbligo di legge, e poi ne ho scoperto i lati positivi. Chiamatela sindrome di Stoccolma, ma ho finito per affezionarmi alla piccola carceriera di stoffa che mi porto in faccia da un anno e mezzo, e ora che le restrizioni si stanno allentando e si potrebbe girare almeno per strada a viso nudo o con la mascherina a mezz’asta, tirata sul mento, un po’ mi dispiace.  E vi dirò che non sono la sola. Molti di quelli che a parole inneggiano alla ritrovata «libertà di respiro» sotto sotto avranno dei rimpianti per gli imprevisti «pro» di un presidio che all’inizio odiavano. Uno dei primi, per noi signore: ci ha consentito di ridurre al minimo il tempo e l’impegno per il makeup. Un po’ di mascara e via, niente più fondotinta, fard, cipria e e rossetto, con un bel taglio anche alle spese cosmetiche. In pratica basta lavarsi la faccia. Oltretutto, la mascherina ha protetto la zona dagli zigomi in giù dal temuto

Domani mio padre, 82 anni, potrà finalmente prenotarsi per ricevere il vaccino e, se tutto va bene, entro una decina di giorni potremo tutti vivere un po’ più tranquilli. Il “se tutto va bene” si riferisce a eventuali ritardi o disguidi della macchina buro-sanitaria, non a ipotetiche reazioni avverse legate alla vaccinazione. Sempre possibili, beninteso; ma mio babbo, come molti anziani, prende abitualmente farmaci che, se leggessi attentamente la voce “effetti indesiderati”, preferirei che non toccasse nemmeno con la canna da pesca. Considerato che il Covid19 si porta via ogni giorno qualche centinaio di vecchietti anche nel 2021 inoltrato, il rischio vale la candela. Una volta superata la diffidenza per il vaccino, le domande e i dubbi amletici sarebbero altri: quale tipo sarebbe più adatto al paziente? Per ora la possibilità di scelta non c’è, bisogna prendere quello che passa il convento, Pfizer o AstraZeneca, ma bisogna dire che queste due aziende cominciano a starci decisamente sulle scatole, con tutte le loro promesse mancate. Come civette d’altri tempi, continuano a tenerci sulla corda con continui tira e molla, prima disponibili e generose, poi sfuggenti e riluttanti, poi possibiliste, poi incerte, e noi qui a pendere dalle loro provette e a domandarci

Renzo Agostini: "Una vita da bio! Il biologico fra passato e futuro" - OM Edizioni. Difficile che qualcuno a Rimini non conosca il negozio di prodotti biologici Terra e Sole, non abbia preso un caffè all’annesso Bio’s Cafè o non abbia mangiato al ristorante di Via della Fiera Bio’s Kitchen. Con due figli vegetariani da oltre vent’anni io sono fra quei riminesi che in questo arco di tempo ha imparato a conoscere, e ad apprezzare, le iniziative bio create da Renzo Agostini. Ma al di là di questi centri di attività economica, le iniziative messe in piedi da Agostini, dalla moglie Antonella e dal figlio Andrea, nel corso di un trentennio, sono molte di più. Dal “Gymnasium”, educazione del Corpo e della Mente, nato nel 2002, che si potrebbe definire “una scuola che ti insegna a stare bene e a vivere meglio” al “Poliambulatorio Terra e Sole”: “purtroppo i corsi di laurea in Medicina dedicano pochissimo spazio alla nutrizione ed è il motivo per cui molti medici non la prendono minimamente in considerazione. Diabete, malattie cardiocircolatorie, tumori: indicazioni molto superficiali, un po’ di tutto, tanto c’è la insulina o la pastiglia (…). Questo è sbagliatissimo, perché molte di queste patologie hanno origine da

Stefano il torrepedrino che ha fatto il bagno in mare a mezzogiorno di Capodanno: eroe o scriteriato. Lo so, il tuffo il primo di gennaio è una tradizione diffusa dal mare del Nord al Mediterraneo, ma non ho mai capito dove inizia la sfida un po’ pazza e beneaugurante per l’anno appena iniziato e dove inizia il bisogno di un trattamento choc per riprendersi dalle sbronze di san Silvestro. A dire la verità, io non ho un gran rapporto con l’acqua sotto i 25 gradi nemmeno d’estate, e penso che sia buona al massimo per l’irrigazione. Datemene un bicchiere e sono a posto. La civiltà dell’acqua calda mi ha rammollito, e alla prospettiva di un bagno o doccia fredda, tutte le mie fibre si irrigidiscono come gatti arrabbiati, anche se dicono che rassodi i tessuti e fosse il segreto di bellezza di tante maliarde della storia, da Diana di Poitiers all’imperatrice Sissi. Per questo provo una certa ammirazione per la tempra di chi alle dodici del primo gennaio, anziché guardarsi in vestaglia il concerto di Capodanno, si mette in mutande e corre a buttarsi in acqua. Certo però che mai il tuffo in mare sembra incomprensibile quanto all’alba del 2021. Metti che,

Ancora non è arrivato in Italia e già se ne vedono gli effetti collaterali: nervosismo, accentuata litigiosità, discorsi a vanvera. Se il vaccino anti-Covid stimola la risposta anticorpale dal virus con la stessa efficacia con cui eccita la dabbenaggine umana, quando finalmente potremo vaccinarci saremo tutti al sicuro dal virus, se saremo sopravvissuti alle conseguenze della stupidità. E’ da marzo che aspettiamo con ansia l’arma vincente che protegga i nostri anziani, permetta ai nostri ragazzi di tornare a una vita (quasi) normale di studio e di socialità e riattivi, insieme agli spostamenti e alle gioie del tempo libero, anche i commerci e l’economia in generale. Ma adesso che il vaccino, anzi, i vaccini, ci sono, molti - un italiano su sei, pare - fanno gli schizzinosi e tirano fuori mille perplessità, in una gamma che va dalla ragionevole prudenza al complottismo più scocomerato: sì, ma le conseguenze a lungo termine? Non è che queste case farmaceutiche dai nomi da romanzo distopico vogliono guadagnarci qualcosa? E se poi insieme al vaccino ci iniettano un microchip per asservirci al malvagio complotto di Soros in combutta con gli alieni? Nel primo infuriare del coronavirus molti pensavano che uno dei suoi pochi effetti positivi, forse l’unico, sarebbe stato

Ho già sviscerato l’argomento mascherina quando era introvabile come il mitico Vello d’oro, altrettanto preziosa ma molto più brutta. All’epoca quello squallido pezzetto di tessuto sanitario, in tutte le sue declinazioni, chirurgica, FFP2, con o senza valvola, era diventato uno status symbol. Chi ne possedeva uno doveva avere come minimo un amico farmacista o essere un accaparratore o complice di accaparratori, e veniva sospettato, invidiato, circuito per carpirgli il segreto: come se l’era procurata? Ne aveva qualcuna di riserva? Vista la penuria, si ovviava con sciarponi e bandane, oppure con mascherine fai-da-te realizzate nei materiali più disparati, dalla carta-forno ai pannetti antipolvere. C’era perfino chi se la dipingeva sulla pelle con il colore del truccabimbi, da lontano l’illusione era perfetta. Quando una farmacia ne riceveva qualcuna, si attivava un passaparola come nemmeno nella Mosca sovietica quando c’era una distribuzione straordinaria di patate. Le chat dei cellulari andavano in ebollizione. Adesso che le mascherine non solo si trovano a prezzi ragionevoli in tutti i negozi e bancarelle, ma grazie alla creatività sono pure diventate un accessorio-moda carino, elegante, abbinabile all’outfit – e, soprattutto, sono ancora obbligatorie nei locali pubblici e ovunque non è possibile mantenere la distanza – nessuno le vuole più portare. Quelli

Ferrera Erbognone in Lombardia, il Bellunese e la zona del delta padano, alcune valli piemontesi, Nemi nel Lazio e le zone interne della Sardegna: lembi d’Italia in cui, per motivi ora al vaglio degli studiosi, il Covid-19 non è ancora riuscito a fare breccia, e si spera che non la faccia mai. Per ora è difficile stabilire se dietro questa immunità ci siano fattori genetici, geografici o puro e semplice fattore C. Gli abitanti di alcune zone montane avranno finalmente trovato qualche lato positivo nell’isolamento che per secoli ha regalato loro solo gozzo e tare dovute all’endogamia. E si sospetta che a proteggere i rovigotti e i ferraresi dagli attacchi del coronavirus sia proprio la millenaria convivenza con talassemia e malaria, che avrebbero rafforzato il sistema immunitario degli indigeni fino a conferire loro una specie di invulnerabilità. Il caso di Ferrera Erbognone è un vero e proprio enigma, visto che non si tratta di un borgo isolato e molti degli abitanti lavorano in una vicina raffineria dove erano possibili contatti con persone provenienti da zone più colpite, e per ora la sua incolumità sembra più frutto di un colpo di fortuna che di cause scientificamente accertabili. Ma c’è un altro paesino,

«Maschere nude» erano quelle del teatro di Pirandello. «Mascherine nude» sono quelle che coprendo i nostri visi svelano cosa ciò che proviamo: paura del contagio, sì, ma anche rispetto per noi stessi e per il prossimo, solidarietà con l’angoscia di una città, di un Paese. Ormai se ne vedono di ogni genere, dagli scafandri inespugnabili da cantiere edile, ai gusci di cartone che usavano le casalinghe allergiche alla polvere, da quelle con la valvola e doppio filtro ai rettangolini pieghettati azzurri che ormai costano come una borsetta di Prada. E poi ci sono le mascherine autoprodotte, come quelle che porto io, che dall’inizio dell’emergenza non ho trovato una farmacia senza il cartello «mascherine esaurite». Per ora uso la carta forno o il pannetto antipolvere, ma ho visto un tutorial di un medico francese che insegna a realizzarle anche con i normali tovaglioli di carta e assicura che fanno il loro mestiere – cioè impedire di spandere goccioline pericolose. Due elastici, due graffette e voilà, ecco pronta una mascherina in parte riciclabile (si butta la carta e si tengono gli elastici) e personalizzabile a piacere. Ho visto chi ci disegna una bocca sexy, o un sorriso, completato dal fumetto “andrà tutto