Se ne va un pezzo della storia di Rimini e non solo. Con la tragica scomparsa di Carlo Soci la città perde il fotografo appassionato che l'ha ritratta per decenni. E il pioniere della televisione che nel 1971 per primo in Italia, assieme agli amici di Babelis tv, realizzò una telecronaca di un'emittente privata. [caption id="attachment_182117" align="aligncenter" width="799"] Carlo Soci[/caption] “Foto Soci” in via Cairoli è tutt'ora il punto di riferimento per la fotografia a Rimini, fino ai più alti livelli professionali. Soci aveva fondato anche il laboratorio di sviluppo e rivendita all'ingrosso "Pentagono" con sede al Gros. Ma il nome di Carlo Soci è legato anche alla storia della televisione italiana. Nel 1971 fondò Babelis Tv assieme a Natale Montebelli (3MP Informatica), Luciano Liuzzi (ex presidente CBR), il giornalista Romani Bedetti, l'annunciatrice Silvana Pivi. Era la terza tv via cavo italiana dopo Tele Biella e Tele Lecco. Ma fu la prima in assoluto a trasmettere una telecronaca di un evento sportivo, un'intera partita di calcio: Rimini-Spal, il 5 dicembre 1971. Un evento che fece scalpore. [caption id="attachment_182098" align="alignleft" width="815"] I fondatori di Babelis Tv in una foto di "Avvenire" del 1973: da sinistra, Luciano Liuzzi, Romano Bedetti, Carlo Soci, Pino Bagnolini; al centro
La crisi delle edicole colpisce in pieno centro di Rimini. Questa mattina è iniziata la demolizione della storica rivendita di giornali in piazza Cavour, ai piedi di palazzo Garampi e sotto il balcone "del sindaco", proprio all'angolo con Corso d'Augusto. La storica edicola era stata chiusa il 31 luglio scorso. Il proprietario Graziano Balani aveva annunciato che dopo 30 anni di attività se ne sarebbe andato in pensione. Ma anche che nessuno si era fatto avanti per rilevare quell'attività, nonostante la centralissima posizione dell'esercizio. Il crollo delle vendite di carta stampata non era stato compensato da quelle di gadget, ricordini e giochi. Oggi Balani era lì era lì ad assistere alla distruzione del luogo dove ha trascorso buona parte della sua vita. [caption id="attachment_177735" align="aligncenter" width="792"] Piazza Cavour in una cartolina nel 1959; dietro le auto parcheggiate si scorge l'edicola all'angolo di Corso d'Augusto[/caption] E' andata così negli ultimi 5 anni per circa la metà dei chioschi di giornalai a Rimini, ma non solo. Nel resto d'Italia l'ecatombe è iniziata da almeno dieci anni. Se nel 2001 le edicole erano più di 36 mila, nel 2018 erano ridotte ad appena 15.126. Passando così da una ogni 1.550 abitanti a una ogni 4 mila. [caption
In quella via c'è qualcosa che non va. E non tanto perché la Via Clodia fu per secoli la più malfamata di Rimini, ospitando le case di tolleranza fino alla loro abolizione nel 1959 con la legge Merlin. No, ad attirare l'attenzione di Oreste Delucca è un semplice cartello stradale: "Via Clodia, famiglia della Rimini romana". La medesima dicitura è ufficializzata nello Stradario del Comune di Rimini. Per Delucca, il nome di una via semplice lui non è mai, dato che fa parte della commissione toponomastica del Comune di Rimini. Ed è una sua passione capire perché i luoghi e le strade si chiamino proprio così e quali denominazioni abbiano avuto in passato. Sta anche per pubblicare l'ennesimo frutto delle sue ricerche proprio sui nomi delle vie di Rimini: uscirà per Natale per l'editore Giovanni Luisè, che fa parte anch'egli della commissione toponomastica comunale; sono stati loro a insistere affinché almeno in alcune tabelle viarie del centro storico sia indicato anche il nome più antico. Nel volume compariranno anche diversi articoli che Delucca aveva firmato per Chiamamicitta.it. [caption id="attachment_171039" align="aligncenter" width="772"] Via Clodia[/caption] Ma cosa c'è di strano in qual cartello? "Rimango perplesso - spiega lo studioso premiato con il Sigismondo d'Oro -
Ci è stato recapitato un foglio rinvenuto casualmente. Scritto con una grafia elegante ed incerta, contiene una “zirudela”, un componimento in rima tipico delle campagne romagnole. Ne emerge lo spaccato di un mondo che non esiste più, che ha però accompagnato la rinascita della città di Rimini dopo la seconda guerra mondiale. Un mondo che accudiva mobili destinati a durare nel tempo, a tramandare stili e legni pregiati, animato da artigiani apprezzati come Guerra e Olivieri. Un mondo infine sconfitto dai mobili Ikea. Canzio Carli nel 1951 scridelve una “zirudela” dedicata ai suoi colleghi “lustrotti”, dediti alla lucidatura dei mobili, i “membri del tampone” come li chiama. La motivazione di questo componimento in rima ce la dà lo stesso autore in un’introduzione di cui riportiamo alcuni brani seguiti da parti della “zirudela”: Nel lontano dopoguerra quando la nostra città di Rimini si riprendeva lentamente dal tremendo conflitto, nascevano le prime fatiscenti botteghe artigianali…Risorsero così poco a poco dalle ceneri altre imprese e dal lungo torpore di un sonno infausto di belligeranza, si riprese, sia pure con lentezza anche quella mobiliera… operatori nell’arte del lucido all’alcool. [caption id="attachment_169879" align="aligncenter" width="762"] 1949. Nel laboratorio da falegname presso il Canevone nella “Castlaza”. Da sin. Alfredo Arcangeli,
E' solo un pesante marchingegno di ghisa, un congegno in disuso che la Marina militare ha rottamato. Ma no, è un simbolo, un pezzo di anima della città. Delle città, quelle che stanno sul mare. E sono state in tre a non voler rinunciare al nautofono, la sirena, o "fis-ciòn", che orientava i naviganti verso la bocca del porto quando cala, o calava, la nebbia: San Benedetto del Tronto, Fano e Rimini. Le altre quattro che ci avevano provato si sono arrese davanti ai più incredibili scogli che la burocrazia ha eretto per non perdere un oggetto dal valore economico irrisorio, 5.300 euro. Ma con un'importanza che può capire solo chi è cresciuto con quel suono cupo, malinconico e carezzevole nelle giornate d'inverno. Oggi Rimini ha vinto la sua battaglia che durava dal 2013. Il nautofono è stato ufficialmente riconsegnato al sindaco Gnassi dalla Consulta del Porto, nella persona del presidente Gianfranco Santolini durante un incontro al Club Nautico, che lo ha acquistato per donarlo al Comune. Presente anche il comandante Daniele Verdi di MariFari. In realtà l'apparecchiatura non si è mai mossa da Rimini, custodita dal guardiano del faro Vincenzo Colaci. Ma rimetterlo in funzione è stata tutta un'altra storia, "Tutti
"Paga Palloni!". Ogni riminese sa che il modo di dire tutto riminese si riferisce al ricchissimo podestà Pietro Palloni che nel 1932 anticipò di tasca sua le spese per la costruzione del lungomare. Lo si usa per significare quello che in Veneto (e non solo) è "paga Pantalone", cioè un fantomatico benefattore in grado di saldare ogni debito. Ma almeno fino ai primi anni '90 del 900 a Rimini, Santarcangelo e loro frazioni, non era infrequente sentire anche un altro detto dall'analogo significato: “Paga Zucchi!”. Nessuno però sapeva ormai cosa volesse dire. Qualcuno si immaginava un qualche episodio, avvenuto in qualche mercato o fiera della zona, che aveva visto una persona benestante pagare per tutti, volente o nolente. Non è così. L'espressione verbale “Paga Zucchi” si riferisce al generale Carlo Zucchi (1777-1863) di Reggio Emilia. Zucchi aveva fatto carriera sotto l'impero napoleonico fino a diventare generale di brigata. Quando nel 1831 il duca di Modena fece arrestare Ciro Menotti, la città si sollevava e a Reggio Emilia si organizzò un corpo militare al comando del generale Carlo Zucchi. Contro ogni aspettativa, gli 800 e più volontari delle Province Unite Italiane al comando di Zucchi seppero tener testa a 5 mila Austriaci in vari scontri. Il più importante
Carlo Brighi (1853 - 1915) era nato nella frazione Fiumicino di Savignano sul Rubicone. Andò a scuola di violino da diversi maestri, a Savignano sul R. ed a Cesena. Brighi suonò tra i violini dell'orchestra del teatro comunale di Cesena, quindi suonò musica classica nelle opere. Dopo il 1890 si dedicò invece alla musica popolare delle sale da ballo. Fondò una sua orchestra con la quale si mise a girare la Romagna. Suonavano polke, mazurche e valzer nei circoli cittadini, nei caffè-concerto, nelle sale grandi dei palazzi signorili. Gli strumenti erano tre violini, il clarinetto ed il contrabbasso. AI primi del 900 Brighi inserì la chitarra al posto del terzo violino. Il saxsofono, la fisarmonica e la chitarra basso in sostituzione del contrabbasso erano ancora là da venire. Non si conoscono i nomi dei componenti delle prime formazioni di Carlo Brighi. È probabile che l'orchestra all'inizio non avesse una formazione stabile, ma che si mettesse assieme a seconda del locale, includendo musicisti del posto in cui di volta in volta Brighi si esibiva. [caption id="attachment_112293" align="aligncenter" width="1149"] Carlo Brighi[/caption] Brighi, dopo aver organizzato un capannone itinerante, chiamato all'origine "E Festival" ("Il Festival") poi successivamente "Capannone Brighi", nel 1910 decide di fermarsi a Bellaria, paese natale della moglie. Qui
Anni '60. A Rimini, a 200 metri dalla riva tra piazza Tripoli e piazza Pascoli, c’era il trampolino di ferro, alla pedana altro tre metri. I ragazzini ci arrivavano a nuoto o su dei mosconi zeppi di gente, al limite del galleggiamento. Si saliva la scaletta, si raggiungeva la pedana del trampolino dove c'era già molta gente, soprattutto ragazzini ma anche qualche diciottenne. Allora giù tuffi. Ne ho fatti tanti anch'io. I diciottenni, più coordinati nei movimenti si tuffavano “di testa”, i ragazzini quasi sempre “di piedi”, con il gusto delle “scaranate”. Nella calca generale, ogni tanto tuffandosi si rimediava anche qualche scorticatura. A Rimini i trampolini, espressione di un'epoca balneare ruspante e passata, sono stati smantellati tutti nei primi anni '70. Gaetano Dini
E’ trascorso un anno dalla scomparsa di Vinicio Vergoni (1926-2017). Un amico. Gli amici dell’Associazione “Hostaria del Terzo” di Miramare, assieme al figlio, lo hanno voluto ricordare editando questo volume di brevi racconti biografici inediti che Vinicio aveva scritto nel corso degli anni e lasciati nel cassetto. Vergoni è stato uno straordinario punto di riferimento per il PCI sul territorio, prima a Viserba (sino al 1967) e poi a Miramare. Ma è anche stato un grande organizzatore culturale: vogliamo qui ricordare solo le nove edizioni del “Premio Nuova Poesia Miramare – Città di Rimini” svoltesi fra il 1998 e il 2012, nonché le numerose attività promosse con l’”Hostaria del Terzo”. Giovedì pomeriggio, 6 settembre, alle ore 21.00, presso la Sala del Liceo Lettimi verrà presentato dagli amici Vittorio D’Augusta, Oreste Delucca, Guido Zangheri e dal figlio Valerio Vergoni il volume “Origine e morte di una sirena. Racconti e poesie” (Raffaelli e Hostaria del Terzo). Sul libro tornerò prossimamente per recensirlo, ma qui voglio estrapolare dal racconto che dà il nome al libro la storia della nascita della Casa del Popolo di Viserba e del dancing Sirenetta. Colgo l’occasione per mostrare alcune foto del dancing Sirenetta fra gli anni ’50 e ’60 che fanno
E’ trascorso un anno dalla scomparsa di Vinicio Vergoni (1926-2017). Un amico. Gli amici dell’Associazione “Hostaria del Terzo” di Miramare, assieme al figlio, lo hanno voluto ricordare editando questo volume di brevi racconti biografici inediti che Vinicio aveva scritto nel corso degli anni e lasciati nel cassetto. Vergoni è stato uno straordinario punto di riferimento per il PCI sul territorio, prima a Viserba (sino al 1967) e poi a Miramare. Ma è anche stato un grande organizzatore culturale: vogliamo qui ricordare solo le nove edizioni del “Premio Nuova Poesia Miramare – Città di Rimini” svoltesi fra il 1998 e il 2012, nonché le numerose attività promosse con l’”Hostaria del Terzo”. Giovedì pomeriggio, 6 settembre, alle ore 21.00, presso la Sala del Liceo Lettimi verrà presentato dagli amici Vittorio D’Augusta, Oreste Delucca, Guido Zangheri e dal figlio Valerio Vergoni il volume “Origine e morte di una sirena. Racconti e poesie” (Raffaelli e Hostaria del Terzo). Sul libro tornerò prossimamente per recensirlo, ma qui voglio estrapolare dal racconto che dà il nome al libro la storia della nascita della Casa del Popolo di Viserba e del dancing Sirenetta. Colgo l’occasione per mostrare alcune foto del dancing Sirenetta fra gli anni ’50 e ’60 che fanno
A Miramare va avanti la raccolta firme per evitare lo sfratto del Camping Maximum."Siamo i lavoratori, i campeggiatori e i negozianti di Miramare
Nel rione di Rimini che dava sul porto, Borgo Marina, che era di gran lunga il più popoloso dei quattro, i marinai parlavano da sempre un dialetto chiamato “Purtlòt” (Portolotto), che era un linguaggio veneto, quasi incomprensibile per la gente romagnola di terra. Era invece capito benissimo in tutti i porti dell'Adriatico e su entrambe le sponde, perché si trattava della "lingua franca" della marineria in quello che venne detto per secoli il "Golfo di Venezia". Nel Portolotto, come nelle altre lingue franche dei marinai, la parlata dominante (in questo caso il veneziano, con il suoi affini come il giuliano, l'istriano, il dalmata) pescava parole in ogni approdo, creando un proprio gergo: qua e là vi affioravano termini greci, arabi, turchi, slavi, albanesi, ma anche spagnoli ed ebraici. [caption id="attachment_102358" align="aligncenter" width="844"] *Il Golfo di Venezia" in una carta francese del 1730[/caption] A loro volta, i dialetti locali se ne servirono e se ne servono abbondantemente quando si tratta di cose di mare. Per esempio, tutti i nomi dei pesci e i termini marinareschi del dialetti romagnoli, riminese compreso, vengono direttamente dal Portolotto: per questo in Adriatico, per esempio, non si dice cozze ma "pidocchi" (bdocc, peòci in veneziano) non vongole ma "poveracce" (purazi,