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Lo sapevate che a Rimini nei primi anni '60 dello scorso millennio era nata una piccola associazione di "razzomodellisti" denominata AMR Associazione Missilistica Riminese? Ebbene sì, questa associazione AMR si era costituita il 5 febbraio 1961 durante una riunione a casa mia; io non so come abbiamo potuto ritrovarci, quale fu il "tam tam" che ci accomunò. Comunque eravamo una decina di baldi giovanotti dai 17 ai 19 anni ognuno dei quali aveva sperimentato lanci di piccoli missili; per questo eravamo accomunati dal fervore di fare dei lanci con la convinzione che in più persone si poteva fare meglio. Bisogna dire che, dopo il lancio del primo satellite Sputnik nel 1957 da parte dell'Unione Sovietica, era tutto un fiorire di riviste e libri in materia tanto che ci iscrivemmo subito al centro diffusione scienze astronautiche e tecnologie spaziali di Trieste presso il quale si tenevano corsi per apprendere le varie discipline sulle leggi fisiche, sulla propulsione, sulla cinetica dei gas ed altro ancora. Inoltre il Centro forniva vari stampati con codici di sicurezza dei lanci e l’osservanza da tenere in tutte le fasi della costruzione dei razzi. E poi ci abbonammo alla rivista MISSILI e RAZZI che dava notizie sulle diverse associazioni, come

 

Il museo della marineria di Viserbella E’ Scaion invita tutti gli amanti del mare e della cultura popolare organizzando un pranzo alle 13 del 13 Maggio presso il giardino di via Aurelio Minguzzi 7 a Viserbella, per la presentazione del progetto “E’ Scaion per la VANINA” .

Prendete i disordini e le proteste per l’approvazione del Rosatellum, applicateli al dogma della Trinità ed elevateli alla decima potenza e avrete una vaga idea del casino che regnava in Italia e a Rimini ai tempi del vescovado di Gaudenzo, intorno al 350, nel pieno della lotta fra cattolici e ariani. Sembra impossibile che allora la gente si scannasse, e non metaforicamente, per sottigliezze dottrinali all’interno del medesimo culto. Al centro della disputa non era una questione ereditaria, come quella che divise sunniti e sciiti su chi doveva essere il successore di Maometto, se suo suocero Abu Bakr o suo cugino Alì: i litigi per l’eredità li conosciamo, ci si accapiglia per un vecchio divano o per un servizio di piatti, saranno pure ragioni meschine ma palpabili e comprensibili. Alla fin fine anche cattolici e protestanti nel Cinquecento si combattevano per motivi più politici che dottrinali. Ma ariani e cattolici, all’epoca di Gaudenzo, se le davano peggio di ultrà da stadio su finezze teologiche di insondabile profondità come la vera natura di Gesù, oggi appannaggio di esclusivi circoli di dotti porporati e docenti universitari le cui diatribe farebbero addormentare anche Papa Francesco. I seguaci del prete Ario sostenevano che Gesù non poteva essere della

Porta Galliana torna alla luce. Gli scavi hanno quasi raggiunto l'antico piano stradale e l'arco gotico è ormai del tutto libero dalla terra che lo soffocava. E man mano che prosegue il sondaggio archeologico, aumenta la curiosità per quello che ancora potrebbe emergere. Gli scavi sono condotti da adArte di Rimini, diretti scientificamente dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini; per quanto attiene gli aspetti architettonici dall’architetto Vincenzo Napoli. «Siamo arrivati ad una profondità di quasi tre metri - riferisce Marcello Cartoceti di adArte - e finora gli scavi hanno interessato strati relativamente recenti, accumulatisi fra la fine dell'800 e il secondo dopo guerra. Dopo tutte le verifiche e le autorizzazioni, Athea ha rimosso anche alcuni alberi che impedivano i lavori. Si trattava di piante cresciute in modo spontaneo nel dopoguerra; in particolare, c'erano pini marittimi che rappresentavano anche un pericolo oggettivo, in quanto molto inclinati. Infatti le radici, già per loro natura superficiali, qui non avevano potuto penetrare per nulla nel terreno, perché impedite dallo stesso ostacolo che abbiamo incontrato noi». Quale ostacolo? «Come si vede, la porta è attraversata da un grosso condotto: si tratta di uno scarico fognario costruito nel 1908. Inoltre sono presenti allacci di vario tipo,

Hanno preso avvio nei giorni scorsi a Rimini i sondaggi archeologici propedeutici utili al dissotterramento di Porta Galliana e alla valorizzazione dell’area, parte dell’intervento più generale del quarto comparto del Progetto Tiberio denominato Porto Antico. Un progetto d’ampio respiro che accanto a diversi interventi – alcuni dei quali già in corso - prevede l’esaltazione dell’accesso alla città da mare attraverso il varco di Porta Galliana, per favorire il passaggio e l’entrata nella città per proseguire lungo le mura portuali e i camminamenti fino al ponte di Tiberio. Iniziati il 31 luglio con la posa della recinzione e messa in sicurezza dell'area, il primo agosto sono stati eseguiti due sondaggi archeologici, attualmente ancora in corso, per meglio comprendere il funzionamento del complesso monumentale in vista di un suo restauro e valorizzazione. Gli scavi, diretti scientificamente dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini nella persona dell'ispettore archeologo dottoressa Anna Bondini, e per quanto attiene gli aspetti architettonici dall'architetto Vincenzo Napoli, sono coordinati dal Comune di Rimini ed eseguiti dalla ditta specializzata adArte di Rimini. Dai sondaggi eseguiti e tuttora in corso sono riemersi in primo luogo i resti della Porta medievale che dava accesso alla zona del Porto

L'acceso confronto sul Progetto Tiberio ha portato l'attenzione su uno dei patrimoni storici di Rimini di cui si parla meno: le mura malatestiane. Ma si parla, naturalmente, solo di quel tratto di mura interessate dal Progetto. Eppure la città, anche se a prima vista non sembra, è ancora per tre quarti racchiusa fra le sue mura antiche. Qua è la quasi integre, anche se piuttosto ridotte in altezza (a fine '800 in alcuni punti raggiungevano ancora i 9 metri). Non ovunque in ottime condizioni. Ma intanto, com'erano le mura di Rimini? E senza voler rifarne la storia che risale ai Romani, quando hanno iniziato a diventare quello che sono adesso? L'idea più completa di Rimini nelle sue mura che la fornisce la bella carta conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana, risalente a circa il 1660: Le cose stavano così già da almeno due secoli e per altri due non sarebbero mutate gran che. La maggior parte di queste mura risalivano all'epoca malatestiana, soprattutto a quella di Carlo Malatesta, ai primi del '400. I cambiamenti più pesanti arriveranno solo a inizio '900. In questa carta del 1882 si vede per l'ultima volta Rimini ancora con la sua cerchia di mura praticamente intatta. Sono spariti i bastioni del Borgo Marina, quelli

"Se vuoi farti dei nemici prova a cambiare qualcosa". I riminesi sono gente bellissima. Io, che lo sono, li adoro. Siamo fatti così, un nugolo di contraddizioni, geniali e antichi, moderni, attaccati alle radici ma quasi tutti - in parte o del tutto - immigrati di prima seconda o terza generazione. Qualcuno venuto giù con le piene del Marecchia: io con quelli del Montefeltro, figlio di una cremonese e di un carabiniere di Monte Cerignone. Per questo probabilmente ci sentiamo attaccati ad ogni sasso della nostra città. Città praticamente morta e risorta dopo la guerra, distrutta e ricostruita. Quello che ci rimane, l'abbiamo demolito con le nostre mani: nascondendo, cancellandolo come il Kursaal, dimenticandocelo nei lavori della ricostruzione: dove c'è Palazzo Fabbri e dove è nato il Palazzetto dello Sport abbiamo probabilmente distrutto le radici della nostra città non più tardi entro gli anni '70. Anche noi però siamo vittime del peccato originale italiano: la sacralizzazione del territorio. Forse un complesso di inferiorità, forse una cattiva comprensione della realtà delle cose. Talvolta viviamo tra i relitti di una civiltà magnifica come quella romana quasi come estranei. Il Ponte di Tiberio, l'Arcod'Augusto, manufatti di una civiltà aliena e incomprensibile, strumenti magnifici (e lo sono) e quindi intoccabili:

La leggenda nera che circonda Sigismondo, due volte uxoricida, stupratore, eretico, traditore? «Il mito di Sigismondo Pandolfo Malatesta non è mai arrivato all’infamia di dire che bisogna uccidere gli innocenti e rovinare le opere d’arte per mettere in ginocchio una popolazione e quindi vincere una guerra. Queste erano cose non del Quattrocento, ma di Winston Churchill, per il quale non c’è mai stata nessuna Norimberga». Sigismondo e la sua epoca sono ormai del tutto estranei a noi o abbiamo ancora delle cose in comune? «Le epoche sono tutte estranee l’una all’altra e d’altra parte ci sono sempre dei rapporti e delle corrispondenze. Sigismondo Pandolfo Malatesta vuol dire tante cose». È questo il fascino unico, impagabile, di conversare con Franco Cardini. Storico delle Crociate e negatore dei conflitti di civiltà; Reggente dei Fiorentini nel mondo, ma sempre inflessibile verso la sua città; iscritto in gioventù all’MSI e poi candidato della Sinistra per Firenze. Un pensiero libero e sempre spiazzante. Dove i paradossi sono solo apparenti e la coerenza intellettuale viene prima di qualsiasi militanza. Del resto lui si definisce così: «Cattolico, tradizionalista, uomo d'ordine e di forte senso dello Stato, potrei forse ancora dirmi “di destra”. Da anni non mi considero né mi autoqualifico più

Non nascondo che l’esito del referendum tenutosi il 4 dicembre 2016 mi ha profondamente amareggiato. Con un colpo di spugna è stato cancellato l’esito di un percorso costituzionale che – pur tra comprensibili difficoltà, inevitabili mediazioni, indubbie imperfezioni – avrebbe tuttavia permesso alcuni risultati significativi: un sistema elettorale capace di proclamare un vincitore certo, dotato di una maggioranza parlamentare sufficiente per governare senza inciuci e ricatti; semplificazione e snellimento degli organismi decisionali e dell’iter legislativo per adeguarlo alle mutate esigenze odierne; eliminazione di quei conflitti fra istituzioni nazionali e regionali che oggi bloccano o rallentano all’inverosimile anche le realizzazioni più impellenti. L’insieme di queste acquisizioni avrebbe senz’altro dato al Paese maggiore efficienza e tempestività nel rispondere alle esigenze dei cittadini, consentendo in pari tempo consistenti risparmi di spesa. Ma i cittadini hanno detto no; questo processo è stato bloccato e probabilmente non sarà possibile riprenderlo in tempi brevi. In questa scelta hanno giocato motivazioni molteplici e diverse. Innanzitutto la politicizzazione dello scontro, per cui molti elettori hanno votato non pensando al merito del quesito referendario, bensì alle contrapposizioni fra i partiti e i movimenti schierati sulla scena italiana. In secondo luogo credo che abbia pesato non poco la crisi in cui versa il Paese,

Questo è il racconto di una “caccia al tesoro” durata alcuni mesi, e purtroppo finita senza successo. In occasione del 25 aprile 2016 presentammo alla Città il libro di Daniele Susini “Sotto l'ombra di un bel fior

Sant’Antonio fa il dottore, fa il dottore al suo animale, chi lo prega non fa male… Antonio ha il suo posto d’onore, nel calendario, il 17 gennaio. Al suo nome sono intitolati paesi, chiese, piazze. In Italia è molto venerato, soprattutto nelle campagne. E pensare che si tratta di un extracomunitario, essendo nato in Egitto. Sant’Antonio Abate era con la sua immaginetta in ogni stalla o ricovero per animali, essendo, appunto, venerato come e’ dutor d’al bes-ci (il dottore delle bestie). L’iconografia medievale tendeva a raffigurare il Santo vestito da frate, con il campanello, il maiale (gli altri animali compariranno dopo) e il “fuoco di Sant’Antonio”, il simbolo del fastidioso herpes zoster degli uomini che i frati antoniani curavano proprio con il grasso dei suini conventuali, liberi di vagare anche per le strade urbane alla ricerca di cibo, spesso al suono di una campanella in mano a un religioso questuante. Questo (di poter allevare i porci nelle città) era un privilegio antico, secondo alcuni statuti risalente al 1095, confermato con bolla papale nel 1523. Anche negli Statuti Comunali riminesi si parla di questa eccezione: tutta la popolazione si preoccupava, indistintamente, di dar da mangiare a questi animali cittadini. Dal libro quarto, cap. 10, rubrica CXXI. De porci tenendis et quomodo (Tenuta dei

Chi ha l’età per ricordarsi di quando Castel Sismondo era “le prigioni“ (l’imprison), si rallegra più di ogni altro ad ogni progetto per un suo recupero. I detenuti fino al 1967 furono rinchiusi in quello che era ormai solo un rudere fatiscente. E tale restò per ancora diversi anni prima che si avviassero i lavori condotti dall'architetto Carla Tomasini Pietramellara, sostenuti, nell'ultima fase, dalla Fondazione Carim. Di buono, anzi, di ottimo, al castello c’erano solo i capperi, che prosperavano fra le crepe delle mura. [caption id="attachment_22046" align="alignnone" width="1000"] Castel Sismondo quando era ancora un carcere, con le "bocche di lupo" a ostruire le finestre delle celle[/caption] Con i progetti in via di realizzazione, la Rocca malatestiana farà un bel passo avanti verso una sistemazione dignitosa, che se non altro inverte il corso di un degrado che perdura da secoli. È vero che i riminesi non hanno mai amato troppo il loro castello, su cui aleggia una fama sinistra fin dai tempi del tremendo Pandolfaccio. Forse è solo leggenda nera, quella che dipinge l'ultimo dei Malatesta intento a precipitare i suoi suoi ospiti in trabocchetti irti di lame e pavimentati con calce viva. È certo però che nel 1498 il signore di Rimini impiccò ai merli di Castel Sismondo i colpevoli di una congiura che per poco