Santiago “Cico” Alvarez, el campeón cileno che si innamorò di Rimini
4 Agosto 2023 / Enzo Pirroni
Scrivo di Santiago Alvarez, coraggioso e forte ex pugile, con infinita tristezza. Santiago vive a Rimini da tempo immemore. Ha lavorato lungo in palestra dispensando a piene mani la sua immensa cultura boxistica.
Inutile dire che gli ho voluto bene e l’ho ammirato. Ma Rimini l’ha mal ripagato. Rimini, per lui si è trasformata in un fondaco d’affanni, una lunga via crucis d’angosce, il suo magazzino di dolori. Rimini ha contribuito a sciupargli l’esistenza. Nauseato della malevola impostura della “gente perbene”, Santiago, si è eclissato rinchiudendosi ai limiti di una cloacosa pozza di sofferenze mantenendo, tuttavia, una dignità che molti, tra i di lui, dileggiatori, si sognano di possedere. Della folta schiera dei miei amici boxeurs, all’appello ne mancano tantissimi. Mi volgo indietro e mi accorgo di essere ogni giorno più solo.
Aveva circa due anni, Santiago Alvarez, quando il padre Juan Enrique, nel 1952 si trasferì, con l’intera famiglia, da Santiago del Cile a Guatamozin, un piccolo paese sperduto nella pampa argentina.
Il vecchio Juan, di professione fornaio, cercò di vincere la miseria tentando la fortuna nelle equivoche bische e nelle fumose agenzie ippiche della sterminata provincia di Cordoba. La “mala suerte”, che è sempre compagna dei poveri, si divertì a illuderlo mostrandogli poi, inevitabilmente, l’aspetto più avvilente della sconfitta. Il piccolo Santiago crebbe forte, orgoglioso e sognatore nella antica terra dei “gauchos” e per lui fu inevitabile entrare in una palestra, salire su un ring e battersi da “hombre” senza la minima codardia. Il suo primo maestro fu Angel Franciosi un italo – americano il quale aveva della “noble art” una visione mistica ed assoluta. Nel 1968, a diciotto anni, Alvarez andò a Buenos Aires. Combattè ancora per un po’ nella categoria dei dilettanti per un totale di quaranta incontri.
Il passaggio al professionismo avvenne nel mitico Luna Park, la vasta arena che Josè “Pepe” Lectoure e Ismael Pace fecero costruire nel 1932, nel centro della capitale. “Avevo vent’anni e quel posto magico che Tito Lectoure, figlio di Don Jose`, aveva ricostruito e rimodernato, mi pareva il luogo più bello del mondo. Nei primi anni 70 nel gymn del Luna Park, si allenavano oltre sessanta pugili professionisti. Lì era possibile vedere all’opera: Oscar “Ringo” Bonavena, Victor “The Animal” Galindez, Hugo Pastor Corro, Josè Smecas, Acavallo, e Carlos Monzon, il campione mondiale dei pesi medi. Titolo che aveva conquistato a Roma il 7 novembre 1970 mettendo K.O Nino Benvenuti. A proposito di Monzon – continua Alvarez – voglio raccontare un episodio: nutrivo grande ammirazione per il fuoriclasse di Santa Fé. Mi sorprendeva e mi entusiasmava, soprattutto per l’impegno con cui si allenava. Un giorno del 1968, mentre il gigantesco manager e maestro, Amilcar Brusa, gli stava facendo il bendaggio alle mani, mi fermai ad osservarlo. Monzon, cupo e scorbutico, com’era nel suo carattere, mi apostrofò in malo modo cacciandomi. Io allora ero soltanto un piccolo boxeur che cercava di farsi largo in un ambiente duro e spietato, lui in Argentina era già famoso. Alcuni anni dopo, mentre era sul più alto gradino del boxing mondiale, in una torrida giornata, lo vidi entrare in palestra. Lo vidi venirmi incontro a braccia aperte gridando: Hola! Chile. Carlos! E ci abbracciammo. Qué va. Così era l’hombre. Minaccioso e selvaggio, alcune volte, tenero e affettuoso altre”.
Intanto la carriera di Santiago Alvarez, continuava ed il peso piuma cileno incrociò i guantoni con Juan Domingo Malvarez, il quale aveva tirato per il titolo mondiale, risultando sconfitto, in due occasioni, con Eusebio Pedrosa. Si impose ai punti, al Luna Park, con Carlos Martinetti, vinse con quella che era la speranza nazionale Joaquin Herrera. In Sud America, il nostro uomo, disputò 87 match. “Nel 1981 mi trasferii in Europa. Il 21 novembre dello stesso anno incontrai in Inghilterra a Wembley Bozza Edwards e feci incontro pari. Entrai a far parte della colonia di Umberto Branchini. Nel periodo che va dal 1982 al 1983 mi misurai in Italia con Angeli, Melluzzo, Boero e con tutti i migliori pari peso. Quindi ci fu l’incontro che più di ogni altro modificò il mio destino: capitai a Rimini per allenarmi con il maestro Elio Ghelfi. Mi innamorai della città. Rimini, da allora, diventò il punto di riferimento costante, l’unico porto sicuro nel quale, la mia natura zingaresca poteva riuscire a trovare pace. Qué va, compadre questa è la vita”.
Santiago Alvarez, con grande dignità mi parla delle vittorie e delle sconfitte nelle quali è incappato. Ma le sconfitte che hanno prodotto più danni ed hanno fatto più male non sono state quelle subite sui ring di tutto il mondo. Fiero e coraggioso, il cileno scuote semplicemente il capo e contrae la faccia, dalla quale trapela la chiara discendenza india, in una smorfia di disprezzo. Sapere di storia non é sempre bello, perché la storia aiuta a far crollare tutti i ciarpami idealistici. E` la solita favola: il povero ragazzo cresciuto in orrendi quartieri che nella boxe cerca una rivincita. Difficile riuscirvi. I poveri che sono i più su questa terra, e che non sono mai responsabili dei loro natali raramente si sottraggono al loro destino.
Nel 1984, a Forlì, Alvarez disputò il suo ultimo combattimento. Da professionista aveva sostenuto 116 incontri dei quali 29 in Europa ed 11 in Italia. Fu uno dei pochi pugili a ritirarsi vincendo. A questo proposito vorrei ricordare che negli ultimi sette match disputati riportò altrettanti successi. In seguito, tutta l’esperienza acquisita, Alvarez la mise a disposizione dei giovani. Divenne insegnante. Cominciò a Milano con Branchini. Allenò e seguì dall’angolo Valerio Nati, Efisio Galici, Lucio Cusma “Il più bel pugile che ho avuto in Italia. Lo portai al titolo europeo contro Gibilisco, Alessandro e Massimiliano Duran”.
Dopo il soggiorno ferrarese, ed una esperienza australiana a Brisbane, Santiago Alvarez, tornò a Rimini, dove tutt’ora risiede, fedele alla sua grande “aficion” per il pugilato, circondato dall’affetto di pochi ma buoni amici. I cileni sono orgogliosi come e più di tutti i sudamericani perché tengono maggior “hermanidad” e se in più ci aggiungiamo la povertà endemica, il pane avaro e sofferto, si scopre che il transfert più agevole, per questi uomini avvezzi a “torear la muerte” non può essere che il calcio o il pugilato.
Io, credo di intendermi più di poveri che di boxe. So cosa passa nel capo bozzuto, indice di fame atavica e di intelligenza, del nostro uomo. So cosa vuol dire il rimpianto. Avverrà che in molte occasioni, Santiago “el campeon”, tornerà a rivedere le luci del Luna Park, desidererà ripercorrere le larghe e diritte strade di Buenos Aires, sognerà di perdersi in uno struggente tango di Carlito Gardel, le cui note giungono, frammischiate al sapore salmastro, dalla calle Pavon nel vecchio quartiere della Boca, riudirà l’urlo del vento che furioso flagella la Sierra Ventana. Ti auguro, di cuore tanta buona fortuna, mio amico Santiago Alvarez. Che tu possa trovare, anche ora, in tarda età, quello che per tutta la vita hai cercato.
Enzo Pirroni