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Secessione di Santa Giustina, svelato il discorso del candidato a sindaco


2 Luglio 2019 / Nando Piccari

È proprio vero: d’estate Rimini non si fa mancare niente.

Quasi in concomitanza con la celebre rassegna gastronomica “Al mèni”, s’è svolta a giugno anche “Ac testi!” (traduzione per gli immigrati legaioli che siedono in Consiglio Comunale: “Che teste!”). Una manifestazione in due fasi, pensata per far conoscere il “risotto alla patacagine”, gli “involtini di sciapità” e lo “sformato di superstizione”, i piatti forti della rinomata “Osteria del cocalone”.

Perché non creare anche il Comune di San Martino in Riparotta?

Teatro della prima fase un bar di Santa Giustina, dove si son dati convegno venti raffinati pensatori, che fra un caffè, due bestemmie, un sorso di Campari e – dice qualcuno – una pletora di lodi al tronfio figuro che tracima di spregevole arroganza al Viminale, hanno preso l’impegno di organizzare indovinate cosa? Una briscola e tressette? Una gita in montagna? Una seratina osè, di nascosto dalle mogli?

Quando mai! Loro hanno gettato le basi per creare il Comune autonomo di Santa Giustina, mediante la secessione da Rimini, che sarà incruenta solo se Gnassi farà presto ad arrendersi, uscendo dal municipio a mani alzate.

Li capeggia un fioraio del luogo, mentre non è chiaro se sia dei loro anche il grande e amato leader Pino Fabbri, che dopo aver indossato per anni l’eskimo pure a letto, visto come oggi conciona, pare averlo sostituito con una buzzurra felpa salviniana.

Grazie ai nostri mezzi-servizi segreti, ecco la sintesi del discorso tenutovi dal fioraio candidato Sindaco di Santa Giustina:

“Camerati e/o compagni, Italiani di Santa Giustina,
un saluto ai nostri i fratelli torrepedesi…, torrepedaresi…, torrepedrenti… Vabbè, facciamo che saluto i fratelli della nostra sorella Torre Pedrera, che sono qui stasera a dire che anche loro ci stanno al nostro progetto, naturalmente apolitico. Così il nuovo comune di Santa Giustina arriverà a prendere pure quella ridente frazione, sorvolando però Viserba a volo d’uccello – ma non si dica padulo – perché non vorremmo poi doverci ciucciare Lugaresi sindaco.
Camerati e/o compagni, Italiani di Santa Giustina, se son rose fioriranno, e ve lo dice uno che se ne intende. Ma dice anche un proverbio che non c’è rosa senza spine, e con questo mi rifaccio alla pungente offesa che ci ha fatto Santarcangelo, che era la nostra prima scelta per andare a fonderci, anziché di fare la secessione per fare il comune da per noi”.

“Ma tutto questo Alice non lo sa, o se lo sa fa finta di niente perchè è facile per lei stare dalla mattina alla sera nel paese delle meraviglie; e magari si aspettava che per farmi ricevere io gli cantavo “Rose rosse per te, ho comprato stasera”.

“Ma ormai, come diceva quello là di Piazza Tre Martiri, il dado è tratto e così a Gnassi ci diamo lo sfratto. Perché come mi hanno detto che diceva un certo Walt Whitman: “cogli la rosa quando è il momento, che il tempo vola e domani appassirà”.
Camerati e/o compagni, ricordatevi sempre: prima gli Italiani di Santa Giustina! E un po’ anche quelli di Torre Pedrera.

Quando la superstizione si colora di arancione idiozia

La seconda fase di “Ac testi” ha messo alla prova le mie coronarie, avendo sabato pomeriggio stazionato per una ventina di minuti in Piazza Cavour, mentre vi si svolgeva il festival della ciarlateneria No-vax.

Stando alle previsioni sbandierate, il gregge arancione avrebbe dovuto contare quattromila adepti, vale a dire l’80% in più di quanti vi hanno in effetti portato il loro cervello al pascolo. Ma si fossero radunati anche solo in cento, sarebbero stati cento di troppo, in un Paese civile. Essendolo però il nostro solo a metà, li rende forti del fatto che l’abominevole ribalderia di cui sono portatori non costituisca un reato da galera, come invece sarebbe doveroso.

Fra le ameno-stronzate giunte dal palco, una faceva accapponare la pelle, paragonando i bambini israeliani, che per legge debbono essere vaccinati, ai bambini ebrei rinchiusi nei campi di concentramento. Il massimo dell’impudenza, da gente fra cui non manca chi ammira il degno erede del criminale nazista Mengele, quel cialtrone antisemita di Hamer, predicatore della truffaldina Nuova Medicina Germanica che gli è valsa la radiazione dall’Ordine dei Medici.

Una sola cosa ho condiviso, fra quelle ascoltare: quando un oratore, nell’inveire contro il decreto Lorenzin, ha affermato che dovendo studiare come contrastarlo, per la fatica “siamo diventati come dei somari”.

Nella mia breve permanenza di sabato in Piazza Cavour, in due occasioni mi sono rifatto alla raccomandazione dal grande Roberto Burioni, il quale aveva invitato, pur nella critica, ad essere gentili con quei no-vax. Anche perché, aggiungo io, vista la loro prevalente appartenenza politica, non era improbabile che avessero interpretato il “vaffanculo” come un cordiale saluto fra grillini.

La prima occasione, nel rivolgermi così ad alcuni “ragazzini arancioni” che giocavano a pallone sul ciotolato della piazza, sotto gli occhi di un genitore: “Attenti a non cadere, bambini; perché se poi vi sbucciate un ginocchio e viene il tetano, per l’idiozia dei vostri genitori rischierete di morire”.

La seconda, ripetendo a uno di loro che mi porgeva un volantino, quanto già detto ad un leghista in campagna elettorale: “La ringrazio, ma ho già la carta igienica”.

Post Scriptum – Un esame dovrebbero farlo pure a Bussetti

Un perfetto esempio di “demenza ministeriale”? Le tre fitte pagine di burocratese tamugno per prescrivere, fin nei dettagli più insulsi, come gli studenti debbano esibire all’esame di maturità la relazione conclusiva del percorso Alternanza Scuola-Lavoro-PCTO (acronimo di Poveri Cristi Tartassati Orribilmente?)

Da quattro anni i poveretti si erano abituati a sentir dire che, finalmente, il loro “grado di maturità” sarebbe stato certificato più dal rendimento scolastico dei cinque anni che dalla prova finale. Quand’ecco che a scombinare tutto arrivano in extremis le cervellotiche elucubrazioni di un ministro legaiolo che s’inventa paranoiche modalità d’esame, la più grottesca delle quali è quella delle “tre buste”. Una variabile del truffadino gioco delle tre carte: “Busta vince-busta perde-busta perde-busta vince: che busta scegli?”.

Nando Piccari