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Sigismondo Malatesta, mostro o eroe?


14 Novembre 2016 / Paolo Zaghini

Oreste Delucca: “Sigismondo Pandolfo Malatesta controverso eroe” – Bookstones

Mancano ormai pochi mesi al sesto centenario della nascita di Sigismondo Pandolfo Malatesta (19 giugno 1417 – 9 ottobre 1468). Tante iniziative per l’anno prossimo sono in cantiere.

Ma intanto Oreste Delucca, come si dice, si è voluto portare avanti col lavoro mandando in stampa questo agile volume: “Non ho inteso proporre una vera e propria biografia di Sigismondo (ne esistono già molte e valide), ma più semplicemente cogliere alcuni momenti significativi della sua vita, dove il pubblico e il privato si sovrappongono inesorabilmente, per fare emergere il personaggio nella sua fascinosa complessità, cercando soprattutto di scavare sotto la crosta delle evidenze per scrutarne – possibilmente – l’animo e coglierne i sentimenti”.

Nelle pagine di questo volume, Delucca ha voluto evidenziare le grandi doti e i gravi difetti di Sigismondo, le felici intuizioni e i tanti errori, le opere sublimi e gli obiettivi mancati.

Delucca scrive che “nel mestiere delle armi, Sigismondo è un ottimo stratega, molto apprezzato e richiesto quale capitano, trascinatore dei suoi uomini”, però “se è valente come uomo d’arme, Sigismondo non lo è altrettanto come politico. Segue più spesso l’impulso dei sentimenti che quello della ragione. E’ passionale e irriflessivo, tanto quanto Federico da Montefeltro è freddo e calcolatore”.

Riprendendo una frase dal libro di Pietro Gattari “Il Duca. Il romanzo di Federico da Montefeltro” (Castelvecchi, 2013) Delucca condivide questo suo giudizio: “Si aggiudica molte battaglie per conto di altri che se lo contendono a peso d’oro quale capitano. Ma perde tutte le sue guerre, non riuscendo mai a comprendere i propri errori, perché il diavolo distruttore che lo signoreggia gli ottenebra la ragione”.

Del resto l’Italia del Quattrocento è un vulcano in continua eruzione: “leggendo le cronache del tempo, si resta impressionati dal giro vorticoso di scontri, scaramucce, assalti, assedi, prese di castelli e città, saccheggi, incendi, distruzioni, uccisioni”.

La vicenda centrale della sua biografia è il lungo conflitto che lo oppose a Papa Pio II, che il giorno di Natale del 1460 lo scomunica pubblicamente e il 16 gennaio 1461, davanti a tutto il Concistoro, Pio II fa leggere un anatema contro il Malatesta. E’ impressionante l’elenco delle accuse papali: figlio di un buffone bergamasco e di una concubina, responsabile di efferati delitti, latrocini, reati contro l’umanità, ripetuti tradimenti, rapina, incendio, strage, ratto e assassinio, violenza, adulterio, incesto, uxoricidio, torture, sacrilegio, fellonia, eresia, costruzione di un tempio pagano, chiamata del turco in Italia.

Lo storico Giovanni Soranzo nel 1911 esamina in un saggio la veridicità di queste accuse contro il Malatesta: “Sigismondo certo ebbe dei demeriti, ma non fu un volgare assassino; fu libidinoso, scostumato, avido di dominio e di gloria e, come pretto umanista, fors’anche miscredente; ma non così sfacciato e crudele signore come lo descrissero gli accusatori. Sigismondo fu troppo temuto e troppo invidiato”.

Del resto lo stesso Pio II, pur odiandolo ed accusandolo di ogni cosa turpe, di lui lascia scritto: “ebbe grande l’animo e possente la corporatura; fu capitano eloquente ed esperto; conosceva la storia e nella filosofia fu qualcosa di più che un dilettante; a qualunque cosa si dedicasse, sembrava nato per quella; quando conduceva una battaglia, quando costruiva il Tempio, quando alzava Castel Sismondo … ma si lasciò dominare dai vizi, si abbandonò ad una così sfrenata cupidigia di denaro che fu predone, non solo, ma anche ladro. Fu dissoluto al punto di violentare figlie e generi, niente meno. Nessun rispetto ebbe per la santità del matrimonio, violò vergini consacrate a Dio, disonorò donne, uccise fanciulle e fanciulli che si ribellarono a lui”.

Delucca, percorrendo la ricca e travagliata biografia di Sigismondo, riesce a disegnarci l’uomo, attraverso le sue azioni e le sue realizzazioni, ma anche attraverso le parole dei nemici. E questo uomo riesce a fare di Rimini, “una città di non grande rilievo”, una culla del nascente Rinascimento italiano. Alla sua corte siedono Roberto Valturio, Matteo de’ Pasti, Piero della Francesca, Leon Battista Alberti, Basinio Parmense, Agostino di Duccio.

Delucca chiude il suo libro con la seguente affermazione : “Per l’eredità che ci ha lasciato, comunque lo si giudichi, Rimini gli dovrà riconoscenza perenne”. Per quel poco che conta, sono assolutamente d’accordo con lui.

Paolo Zaghini