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Il Sigismondo “moderno” che sarebbe utile celebrare


16 Dicembre 2016 / Giuseppe Chicchi

Il centenario della nascita di Sigismondo Malatesta nel 2017 può essere l’occasione per fare luce su una delle figure più controverse del nostro Rinascimento. Si dovrà andare oltre la “leggenda nera” della strumentale scomunica del Papa Pio II ed oltre gli stereotipi del principe che Ezra Pound definì “il miglior perdente della Storia”. Ci sono alcuni passaggi della vita di Sigismondo che possono servirci a fare del centenario non solo un evento mediatico o di intrattenimento, ma un contributo del passato per capire meglio il presente. Ecco alcuni spunti.

Una data importante è il 1439: Concilio di Ferrara e Firenze. Si discute della riunificazione delle chiese d’Oriente e d’Occidente. Sullo sfondo c’è il timore dell’espansionismo islamico. Con la delegazione d’Oriente (Religiosa e Istituzionale), c’è una presenza filosofica: Giorgio Gemisto Pletone, portatore della cultura neoplatonica che influenzerà Cosimo il Vecchio de ‘Medici e contribuirà alla nascita dell’Accademia Fiorentina.

Al Concilio il cardinale Bessarione sostiene l’unificazione delle due Chiese con un approccio ispirato a Pletone: ritrovare i valori “primari” delle religioni mediterranee. La riunificazione si farà sulla carta, non verrà mai attuata. Il mondo greco pagano però si affaccia all’occidente e Sigismondo conosce la lingua greca come dimostrano le lapidi dedicatorie (“alla città e al Dio Immortale”) nel Tempio di Rimini. Sigismondo è di casa a Firenze e ascolta Pletone.

Pochi anni dopo, Benozzo Gozzoli trarrà di Sigismondo una delicata immagine giovanile nel Corteo dei Magi in Palazzo Medici a Firenze, come si vede nell’immagine di copertina.
L’apertura culturale conosciuta a Firenze, Sigismondo la metterà in pratica nella ideazione dei simboli e delle iconografie del Tempio nel quale cultura classica e cristianesimo convivono per la gloria del Principe e della sua stirpe. E’ legittimo perciò chiedersi, guidati dai grandi (l’Alberti e Piero, primi fra tutti) accorsi alla sua corte, quale contributo Sigismondo abbia dato allo sviluppo del Rinascimento italiano.

Altra galassia da ulteriormente esplorare è quella di Sigismondo uomo di governo. Lo stereotipo ci parla di un soldato violento con qualche “debolezza” culturale. La connessione fra il mestiere del soldato e l’intellettuale, va cercata nell’esercizio del potere sul piccolo feudo papale a lui affidato.
Tre cose mi colpiscono di questa dimensione del nostro:

  • il ruolo delle opere pubbliche come traino dell’economia locale;
  • la forte proiezione politica e commerciale verso la Dalmazia e la Repubblica di Ragusa in particolare;
  • la gestione dinamica dei dazi e del fisco, stimolo sulle corporazioni dei mestieri. In una parola: la politica economica.

C’è poi una vicenda poco studiata o meglio studiata assai bene da un importante medievalista, G. Soranzo, ma ormai cento anni fa.

Si potrebbe partire da una domanda quantomeno curiosa: cosa ci fanno le spoglie di Giorgio Gemisto Pletone nella terza arca del Tempio Malatestiano?

Per rispondere bisogna tornare al 1453, alla caduta dell’inespugnabile Costantinopoli ad opera di Maometto II. L’Islam avanza, in pochi anni conquista la Grecia e i Balcani. L’Europa assiste attonita e impotente.

L’unica reazione si avrà con l’avvento al Soglio di Pio II nel ’58: lancia l’idea della “quarta Crociata” contro l’Islam, comincia a sondare le potenze europee senza risultati. Qualche ascolto ottiene da Venezia preoccupata dei caposaldi commerciali lungo le rotte di Egeo e Adriatico. Pochi soldi significa pochi soldati. L’unico capitano che è costretto ad accettare l’incarico è Sigismondo, perché il Papa lo ha scomunicato, l’ha bruciato in effigie a Roma, gli ha tolto quasi tutto il feudo, non ha più soldi per completare S.Francesco.

Così parte una crociata senza prospettive.
Mentre Sigismondo fa azioni di guerriglia in Grecia, il Papa muore ad Ancona nel ‘64 aspettando invano i rinforzi aragonesi. Viene presa Mistra, l’antica Sparta da cui però ci si deve ritirare velocemente. Non prima però di avere dissepolto il corpo di Pletone e di averlo inviato a Rimini.

Perché? Un atto di devozione verso il vecchio maestro di platonismo? Una dedicatoria alla cultura greco pagana? Uno sberleffo alla Curia romana? Probabilmente un po’ di tutto questo, perché questo era Sigismondo.

Come si può intuire da queste veloci riflessioni, il centenario può essere un’occasione per rileggere Sigismondo dentro una trama di vicende per molti aspetti ancora attuali e irrisolte.

Il rapporto con l’Islam collocato nel vivo di una ricerca sul “filo rosso” che lega fra loro le religioni del Mediterraneo. Una ricerca che sia insieme storica e teologica.

Il mare Adriatico, come luogo di scambio culturale e commerciale, quasi dimenticato da noi in questa dimensione, nonostante il ruolo centrale di Venezia per molti secoli.

Chiediamoci infine come il rapporto fra le arti e il potere politico nel Rinascimento abbia prodotto la bellezza di cui ancora viviamo e come questo rapporto virtuoso possa riprodursi nei regimi democratici.

Il centenario sarà giustamente pieno di eventi spettacolari e mondani. Ma per farne anche qualcosa di “utile” nel nostro tempo, dovremmo far emergere i profili di modernità della figura di Sigismondo.

Giuseppe Chicchi