Voglio condividere con voi impressioni e sensazioni di una tipica disavventura del nostro tempo: il furto/smarrimento del cellulare. Non che le mie impressioni e sensazioni valgano più di quelle di chiunque altro; oltretutto, più che tipica del nostro tempo, smarrire il cellulare è una disavventura tipica della sottoscritta, come ben sanno i suoi familiari e amici, che da molto prima che l’età le ottundesse le facoltà mentali devono inseguirla col dispositivo in mano o telefonare al suo numero per aiutarla a rintracciarlo.
Stavolta il soccorso dei congiunti sarebbe inutile o impossibile, visto che ho dimenticato il cellulare nel taxi che mi ha portato in aeroporto – a Dublino, e per quanto il tassista sembrasse un gentile e integerrimo vecchietto, dubito che mi insegua in Italia col prossimo volo per consegnarmi il telefonino con una di quelle battute estemporanee spiritose e non volgari per cui gli irlandesi sono famosi (non scherzo, sono davvero così, anche da sobri). E siccome è il giorno della mia rubrica e non riesco a pensare ad altro che alle prossime mosse per ritornare in possesso di un telefonino funzionante (denuncia, ricerca di apparecchio a prezzi ragionevoli, reperimento di Sim-card appropriata, trasferimento dei dati ecc.), ho deciso di fare di questo contrattempo l’argomento di oggi. Almeno per 24 ore resterò senza cellulare, che oggi è come dire «in apnea», con la differenza che nel mio caso ricomincerò a respirare solo dopo aver girato per qualche ufficio e sborsato qualche centinaio di euro.
Il primo impulso, anche per una meschina rivincita contro chi mi sta leggendo con un sorrisetto di superiorità, magari sul suo smartphone, è dire che disconnettersi è una figata, che da un pezzo non mi sentivo così libera, intera, umana. Che bello essere fuori controllo, inafferrabile, un puntino sparito all’improvviso dal mega-monitor in cui i Poteri Forti spiano le vite di tutti, squadernate nei loro più intimi particolari grazie alle app dei rispettivi cellulari! In mezzo ai i miei simili, tutti con lo sguardo abbassato su uno schermo, io cammino a testa alta e fiera, guardando in avanti, rivendicando la regalità dell’essere umano e ridendo delle pecore che si offrono ignare ai predoni di dati.
Nessuna notifica o telefonata può disturbarmi mentre contemplo un quadro o un paesaggio o leggo un libro, naturalmente di carta – bentornato, fruscio della carta, contatto antico e più rassicurante dello schermo dell’e-book! Le gif, le chat, i video di cani e gatti e gli onnipresenti meme fino a domani li lascio agli altri. Per me ci saranno solo cose vere, chiacchierate vere, cani e gatti veri, e amici veri, quelli di cui ricordo a memoria il numero di telefono. La vita com’era una volta: autentica, sincera, diretta.
Questo, dicevo, il primo impulso: affermare a gran voce che stare senza cellulare è bello e sano. Senonché anche andare a piedi scalzi è bello e sano, il piede respira, si recupera il contatto con la terra, ecc. ecc. Però se vai in giro scalzo sembri un matto, e in certi posti non ti lasciano entrare, benché le piante dei piedi non possano essere tanto più sporche delle suole degli anfibi. È vero che per centinaia di migliaia di anni abbiamo fatto a meno sia delle scarpe che dei cellulari, e siamo sopravvissuti. Ma le une e gli altri sono la prova tangibile che accetti il mondo civilizzato, e non ce li hai diventi persona non grata. Non sei visto come un povero, ma come un povero matto, che è peggio.
Insomna, spero che grazie alla fortuna, all’efficienza dell’Ufficio denunce e agli orari elastici dei negozi le mie 24 ore di apnea si riducano a venti. Poteri Forti, un po’ di pazienza, torno subito.
Lia Celi
(immagine: Flickr)