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Sotto questo sole è bello sragionare


2 Agosto 2019 / Nando Piccari

Le “meteo-preghiere” contro il Pride.

Confagricoltura, Coldiretti e CIA hanno finalmente trovato il modo di sconfiggere la sempre più frequente siccità estiva. Basterebbe che ingaggiassero la tenebrosa congrega che la mattina di sabato 27 s’è esibita in una mini-passeggiata in centro «per riparare l’offesa» che di lì a poco avrebbero arrecato alle alte sfere celesti gli «sventurati che parteciperanno alla malaugurata iniziativa» del “Rimini Summer Pride”, la quale «non può non contribuire al degrado morale della città», e giù un contorno di altisonanti espressioni di fede, nonché di speranza nella redenzione di quanti quel pomeriggio si sarebbero macchiati di «atti contro natura».

Avevano invitato «tutti gli uomini di buona volontà» (le donne a casa, a fare la calzetta) al loro macho-raduno, pubblicizzato come una processione per il lavaggio del «peccaminoso scandalo», capeggiata da pretoni coi sottanoni lefebvriani, che quando sentono nominare Papa Francesco si fanno il segno della croce non per devozione, ma con l’aggiunta di un “vade retro” fra i denti.

L’occulta intenzione di quell’assembramento, in apparenza pio, era però un’altra, più “carognesca”: una sorta di primitiva “danza della pioggia” affinché, più che la forza della fede, fosse quella di un gigantesco temporale a mandare a monte il “Summer Pride”. Pare che per questo alcuni di loro, con la scusa di pregare sottovoce, stessero in realtà biascicando l’incipit di una canzone di Raf intitolata proprio “La danza della piogggia”: «Pioggia scendi su di noi / lava l’anima dal male, finché ogni traccia sparirà / pioggia sopra la città».

Il sortilegio ha prodotto l’esito auspicato, e di questo possono essere loro grati gli agricoltori. E un po’ anche i tremila peccaminosi i quali, proprio perché accorsi nonostante la certezza di inzupparsi d’acqua, hanno testimoniato che quando ci si batte per nobili motivi, non c’è danza della pioggia che tenga.

Sembra che alla vigilia fosse trapelata l’indiscrezione che anche il ministro Tontinelli, data la sua venuta in monopattino quel giorno a Cattolica, stesse valutando la possibilità di intervenire al Summer Pride. A farlo desistere, sempre secondo queste voci non confermate, sarebbe però stata una riflessione grosso modo così riassumibile: “È vero che la ministra della sanità Grillo mi assicura che l’omossesualità è una malattia non contagiosa; ma è sempre meglio stare dalla parte del sicuro”.

Prosit! Cin cin!

Domenica scorsa, quando ho letto prima di cena la lenzuolata di raffazzonati sproloqui che un certo Manaò ha dedicato al Rimini Summer Pride, lì per lì ho pensato ad una goliardata, tipo l’esilarante “supercazzola” di Tognazzi in Amici Miei. Dopo cena ho però voluto provare a rileggerla. Non so se sia dipeso dal fatto di essermi bevuto a tavola una non modica quantità di ottimo prosecco, più un paio di grappe alla fine, ma devo dire a quel punto mi sono sentito un po’ più in sintonia con quanto stavo leggendo.

Quando l’inchiesta sa anche un po’ di inquisizione

In attesa che la colluttazione in atto fra il ministro Bonafede (nel suo caso “nomen non est omen”) e Salvini completi il percorso di adeguamento della giustizia italiana al “lodo Davigo”, secondo cui «Non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non sono stati ancora scoperti», godiamoci una delle ultime sentenze “buoniste” ancora possibili.

Mi riferisco a quella che ha mandato assolti tre “sospetti malandrini”, rei di attentato alla sicurezza e all’onore della città di Rimini, per non aver divelto la famigerata ruota panoramica, gettandone poi la ferraglia nel porto canale, all’indomani della scadenza del tempo di vita concessole dal “combinato disposto” della legge sugli spettacoli viaggianti, della legge urbanistica, della legge sulle attività portuali, per non parlare della legge di gravità e della temibile “legge del menga” che in casi simili non manca mai.

Come ci ricordava la stampa locale commentando la sentenza, a far prendere sul serio l’accusa nei confronti dei tre imputati era stata un’inoppugnabile “prova madre”: «la permanenza della ruota sul suolo pubblico per più di 6 mesi». Speriamo nessuno si accorga mai che l’Arco d’Augusto e il Ponte di Tiberio sul suolo pubblico ci stanno da duemila anni.

Almeno loro sono al sicuro

“Orangotango” deriva da orang utan, che in lingua malese significa “uomo della foresta”. Ma oramai la foresta non è più un “habitat protettivo”, a causa dei sempre più frequenti incendi e disboscamenti che mettono a repentaglio la sopravvivenza anche di questi mastodontici animali.

È un pericolo che però due di loro per fortuna non corrono: quello che da qualche anno s’è rifugiato alla Casa Bianca e l’altro, che a Londra è andato da pochi giorni a sedersi al numero 10 di Downing Street.

So’ ragazzi, che ce voi fa?

Da babbo di lungo corso e apprendista nonno non mi capacito di tutto questo can can contro Salvini, per aver mandato il figliolo a fare un po’ il pataca su una moto d’acqua della Polizia di Stato. Neanche l’avesse fatto salire sulla Sea Watch di Carola Rackete, la «comandante criminale e ricca fuorilegge» al soldo di una Ong tedesca. Siccome suo figlio è troppo cresciuto per affidarlo alla baby-sitter, lui ha disposto che a badarlo fosse…un “bobby-sitter”. E se questi, anziché sulla solita volante, quel giorno prestava servizio su di una moto d’acqua, dove sarà mai il problema?

Ma poi si sa come vanno le cose quando “ci si porta dietro” un figlio in spiaggia. Il ragazzo gli avrà sicuramente dato il tormento:
Uffa papà, cosa mi hai portato a fare a Milano Marittima? Mi annoio e basta!”
“Va là però, papà! Tu stai sempre a farti i selfie con la tua ultima morosa e non giochi mai con me!”
“Poi mi devo anche sorbire tutti quei turisti russi che ti vengono a riverire: Do svidanija, tovarish Matteo!”

Preso da paterno senso di colpa, Salvini non ha così potuto rispondere di no alla fatidica domanda: “Senti papà, visto che sei il padrone della polizia, perché non mi mandi a fare un giro su quella bella moto d’acqua?”
Bisogna esserci passati per capire certe cose, altrimenti si fa presto a criticare. Come quella tipa che all’indomani mattina teneva una colorita conferenza al bar:
“Va là che se ero io facevo presto! Gli dicevo: Di sô burdel, vogliamo far basta con tutta questa gnorgna? Prendi ‘sti cinque rubli e va a comprarti un gelato!”

Nando Piccari