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Splendori e miserie del panettone artigianale


26 Dicembre 2022 / Lia Celi

Vi è piaciuto il panettone che ha chiuso il pranzo di ieri? Considerato che «mangiare il panettone» nel linguaggio popolare significa arrivare tutti interi a Natale, non bisognerebbe essere tanto schizzinosi sulla qualità del panettone stesso, l’importante è riuscire a mangiarlo. Anche perché quando si parla di qualità dei panettoni e dei dolci natalizi in genere si entra in un banco di nebbia – burrosa e dolcissima – in cui è veramente difficile raccapezzarsi.

Sulla mia tavola natalizia è stato scartocciato un blasonatissimo panettone extralarge, sfornato da una prestigiosa pasticceria (non riminese) e arrivato con tanto di pedigree pergamenato che attestava la qualità delle uova, la provenienza del burro e l’origine di ogni singolo candito, per non parlare del nobilissimo lievito madre, il Gotha dei lattobacilli e dei saccaromiceti.

I commensali hanno addentato la propria fetta a occhi socchiusi, in religioso silenzio, preparandosi a essere trasportati in un’altra dimensione gustativa che gli avrebbe fatto dimenticare le vili pagnotte che fino a quel momento avevano usurpato il glorioso nome di panettone. Dopodiché il vero sforzo è stato mascherare con mugolii entusiastici la delusione di scoprire che non c’era tutta quella differenza col panettonazzo da cinque euro del supermercato. Ci voleva il bambino dei Vestiti nuovi dell’imperatore per gridare «il panettone è nudo», ma i bambini presenti stavano giocando con i regali di Natale e comunque preferiscono il pandoro.

Io ho smesso di credere da tempo alla inarrivabile bontà del panettone artigianale, per motivi puramente economici: quando è buono, è due volte più buono di quello industriale, ma il costo è sempre cinque-sei volte superiore. Insomma, la maggiorazione del prezzo non è proporzionale alla maggiorazione delle qualità organolettiche. Considerato che comunque dopo una fetta di panettone ne ho già abbastanza, non vale la pena di spendere tanto. (Confesso di essere una pandorista, anzi, una pandoromane, e lì la differenza fra dolce industriale e artigianale è ancora più impercettibile, e spesso è a favore di quello del supermercato.)

Quest’anno poi la tentazione di investire in panettoni sciccosi era ancora più debole, non solo perché bollette e tasse di fine anno incombono, ma anche perché pochi giorni prima di Natale un’indagine dei NAS scattata in varie città d’Italia ha confermato i sospetti che tutti abbiamo sempre covato: spesso la confezione vintage e la pergamenina con gli ingredienti scritti in corsivo nascondono il caro vecchio panettonazzo da cinque euro. Diversi pasticceri, da Alessandria a Catanzaro, sono stati denunciati per tentata frode in commercio per aver etichettato come «produzione propria» dolci acquistati da terzi.

I panettoni sfornati da fornai e pasticceri riminesi sono inattaccabilmente artigianali, e dalla velocità con cui spariscono dagli scaffali devono essere pure molto buoni: il riminese quando si tratta di cibo è più tignoso dei NAS e non butta via soldi solo per un nome altisonante o una bella scatola. Ma anche se il nostro panettone o pandoro dovesse venire dal discount, non dobbiamo scoraggiarci: l’importante è che sia freschissimo il mascarpone che metteremo sopra la fetta, dopo averla leggerissimamente tostata. Buon Santo Stefano!

Lia Celi