Storie, amori e drammi dei vasai della Valconca
30 Aprile 2018 / Paolo Zaghini
Gino Valeriani, Giancarlo Frisoni: “Gente di Santa Maria del Piano. Racconto”. Digitalprint.
“Nella società della ‘dimenticanza’ raccogliere memorie di un passato remoto (non troppo) e valorizzarlo può e deve diventare una storia, un racconto di sociologia storica. Con questo scopo dall’inizio degli anni ’60 un gruppo d’insegnanti, con la collaborazione della popolazione del Comune di Montescudo- Monte Colombo, dell’Unione dei Comuni della Valconca, della Provincia di Rimini, della Banca Popolare Valconca e della Regione, ha dato vita a una struttura museale della cultura contadina (Valliano) e pubblicato fino ad oggi 34 libri”. Così Gino Valeriani e Giancarlo Frisoni presentano questa loro ultima fatica letteraria quali esponenti del Gruppo di Ricerca Storica della Memoria Orale G. Iacobucci.
Le pubblicazioni curate dal Gruppo hanno toccato, nel corso di quasi 50 anni di attività, temi e località della Valconca. Tante microstorie. Anche quest’ultima fatica ci parla di un luogo, piccolo, ma importante: l’ultima frazione del Comune di Montescudo (e della Provincia di Rimini) prima di entrare nel territorio marchigiano, l’ultimo borgo riminese sulla strada che da Rimini porta in Carpegna: Santa Maria del Piano. 503 abitanti, di cui 253 maschi e 250 femmine. Nota in tutto il riminese e nelle zone marchigiane limitrofe per le sue botteghe delle terrecotte. In passato queste “davano lavoro a più di cento persone”.
“Le prime notizie riguardanti lavori in ceramica e terracotta nella valle del Conca risalgono alla preistoria. Le prime datazioni complete di terrecotte a S. Maria del Piano risalgono al 1400” secondo lo storico riminese Oreste Delucca. Valeriani e Frisoni hanno trovato e pubblicato nel volume alcune decine di splendide foto dei proprietari dei negozi di terrecotte al lavoro a metà del secolo scorso: sono i vasai Giovanni Cerilli, Aldo Ardenti, Domenico Guidi, Felice Casadei, Pietro Tombini, Ubaldo Cerilli, Geo Casadei, Luciano Ghirlandi, Vincenzo Cerilli.
Ma come sempre i libri di Valeriani sono un felice mix in cui far convergere anche pezzi delle ricerche precedenti: ed ecco allora la scuola, l’emigrazione, la prima e la seconda guerra mondiale, gli ex-voto, le fatiche delle donne. “Lei era un’azdora! Una donna che sapeva un po’ di tutto, di agricoltura, di affari, di ‘guardare al futuro’. Il babbo era più alla buona, non sapeva amministrare una casa, o vendere con profitto i prodotti al mercato”.
Filo narrativo del libro le vicende di Marco e Silvia, liberamente collocate nel ventennio fascista. Quest’ultima figlia di un proprietario di una piccola ditta di terrecotte. Lui invece figlio del Podestà, ricco proprietario terriero, che muore nel corso dell’epidemia della spagnola. Marco, derubato dal fratello maggiore della parte dell’eredità del padre, va a Milano e diventa uno squadrista fascista. Torna per ‘prendere’ con sé Silvia. Questa vede la violenza che circonda il suo compagno, ma non ha la forza di reagire e di respingerlo.
Quando si allontana per diverso tempo da lei per recarsi a Milano gli scrive: “Amore torna presto, perché qui [nella valle] le azioni violente non si fermano, l’uso del manganello e dell’olio di ricino è ormai quotidiano. Dei contadini, che si lamentavano in piazza del potere dei padroni e degli scandali dei gerarchi, sono stati manganellati. Quando le camicie nere marciano per le strade ripetono continuamente una canzone per la conquista dell’impero in terra d’Africa e la voglia di un’altra guerra”.
Marco irrequieto decide di lasciare Silvia e parte per la guerra d’Africa e qui muore nel corso di uno scontro. Silvia torna a casa e qui, forse, avrà inizio una nuova storia d’amore con un giovane vasaio della bottega del padre.
E poi Valeriani prosegue con le terribili storie del settembre 1944 quando le truppe alleate combattono nei borghi della vallata per sfondare la Linea Gotica tedesca. Distruzioni e morte. Ma poi la vita riprende.
“Nelle botteghe di terrecotte arrivano le prime ordinazioni, si riprende a lavorare ma sono aumentate le spese. I forni a nafta fanno fare meno fatica, i costiperò sono alti e se i prezzi non sono competitivi la gente compra la plastica che non si rompe e dura di più”.
Paolo Zaghini