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Il libro di Gino Valeriani, Giancarlo Frisoni, Daniele Cesaretti, Attilio Giusti: "Storia, arte e cultura in Valconca"


Sulle rive del Conca, confine che unisce


16 Ottobre 2023 / Redazione

Gino Valeriani, Giancarlo Frisoni, Daniele Cesaretti, Attilio Giusti:
“Storia, arte e cultura in Valconca”
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Venerdì 20 ottobre 2023, alle ore 17,00, presenterò, assieme all’amico Oreste Delucca, nella sala riunioni della Biblioteca Comunale “Del Monte” nella sede di Taverna il volume curato da Gino Valeriani sulla Valconca. All’incontro interverranno il Sindaco di Montescudo-Monte Colombo Gian Marco Casadei, il Presidente dell’Unione Valconca Giorgio Ciotti, il Presidente del Consiglio Regionale Emma Petitti.

Gino Valeriani, assieme ad Attilio Giusti, entrambi ottantaseienni, hanno voluto assemblare questo volume dedicato alla Valconca, dopo tante altre pubblicazioni fatte nel corso dei decenni su questo territorio.
Pubblico la mia Introduzione al volume.

Innumerevoli sono ormai i volumi dedicati alle singole realtà comunali della Vallata del Conca, edite nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Ad iniziare da quello che ritengo il primo vero volume di storia di questo territorio: Carlo G. Vanni “L’estremo lembo della terra di Romagna. San Giovanni in Marignano e la bassa valle del Conca. Storia, economia, folklore ed appendici” (Giunti-Barbera, 1970). Ma molto poche sono le opere di sintesi disponibili per la conoscenza di questa area: il primo tentativo fu quello organizzato da Marcello Di Bella, allora Direttore della Biblioteca Comunale di Cattolica, con un ciclo di conferenze, le cui relazioni furono poi trasferite in volume: “Natura e cultura nella valle del Conca” a cura di Piero Meldini, Pier Giorgio Pasini, Stefano Pivato (Biblioteca Comunale Cattolica, Cassa di risparmio di Rimini, 1982). A cui seguirono in anni più recenti diversi volumi della collana editoriale della Banca Popolare Valconca di Morciano di Romagna.

Ma nessuno di questi libri ha mai provato a definire, almeno a livello amministrativo, i confini di ciò che noi chiamiamo Valconca. Ed è un peccato, perché è una storia affascinante di potere politico-amministrativo, fatto di modifiche istituzionali, di accorpamenti, di divisioni che nel corso degli ultimi due secoli almeno hanno ridisegnato più volte i confini delle singole realtà comunali.

Gino Valeriani, che ha curato questa pubblicazione, profondo conoscitore delle vicende della vallata, nei suoi più vari aspetti, coadiuvato in questa sua fatica dalla passione dell’amico Attilio Giusti, ha sposato la tesi della massima estensione territoriale della Valconca, comprendendo nel volume anche la Repubblica di San Marino, i comuni dell’alta vallata del Conca nel Montefeltro e Coriano.

Io vorrei soffermarmi invece sul territorio di quella che oggi è l’Unione Valconca (otto comuni: Gemmano, Montefiore Conca, Saludecio, Mondaino, Montegridolfo, Montescudo-Monte Colombo, San Clemente, Morciano di Romagna) a cui aggiungerei San Giovanni Marignano, escludendo i comuni a mare (Cattolica, Misano Adriatico, Riccione), i comuni dell’alta vallata del Montefeltro (Montecopiolo, Montecerignone, Montegrimano, Mercatino, Sassofeltrio, Tavoleto) e Coriano. Anche se, a dimostrazione di quanto sopra affermato, l’1 gennaio 2016 nasceva il nuovo comune di Montescudo-Monte Colombo, attraverso la fusione dei due comuni contigui sancito dalla Legge della Regione Emilia-Romagna n. 21 del 23 novembre 2015 e i comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio nel mese di novembre 2021 sono entrati a far parte della Provincia di Rimini e della Regione Emilia-Romagna uscendo dunque dalla Provincia di Pesaro-Urbino e della Regione Marche. Seguendo in questo passaggio la scelta già operata da altri sette comuni il 14 agosto 2009 da parte dei Comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello. E queste variazioni riguardano solo gli ultimi dieci anni.

L’Unione Valconca è composta oggi da tutti gli otto comuni della vallata (Gemmano, Montefiore Conca, Morciano di Romagna, Mondaino,  Montegridolfo, Montescudo–Monte Colombo, Saludecio e  San Clemente), avendo recuperato al proprio interno tutti gli enti che, per un motivo o per l’altro, nel corso degli anni ne erano usciti.

L’Unione Valconca, sorta l’1 gennaio 1996 anticipando quello che poi sarà il decreto legislativo nazionale del 18 agosto 2000, n. 267, in particolare l’art. 32. La legge prevedeva che entro dieci anni i comuni aderenti all’Unione si dovessero fondere, ma poi nel 2009 questa clausola venne abrogata. La legge n. 267 prevede l’esercizio congiunto di una serie di funzioni e di servizi, fra i quali la polizia municipale, la manutenzione ambientale, i servizi idrici ed acquedottistici in genere (compresa la depurazione e la rete fognaria), la formazione professionale dei dipendenti comunali e la promozione dell’innovazione organizzativa, tecnologica e professionale dei servizi trasferiti all’Unione Valconca. L’Unione, inoltre, si occupa dello studio e della realizzazione dei progetti d’interesse intercomunale in campo sociale, ambientale e sanitario; ne cura l’esecuzione e gestisce le infrastrutture eseguite. All’ente sono infine stati assegnati importanti compiti per quanto riguarda il commercio, il turismo e le attività produttive.

Le diverse colorazioni politiche delle otto amministrazioni comunali, alternatesi nel corso delle varie elezioni, non hanno mai semplificato l’azione dell’Unione nel corso dei venticinque anni della sua esistenza, pur potendo essere questo potenzialmente uno strumento di governo importantissimo per un territorio ampio (oltre 160 kmq.) ed una popolazione di oltre 28.000 abitanti. A questi numeri dovremmo aggiungere quelli di San Giovanni in Marignano: 21 kmq di superficie e 9.500 abitanti. Se fosse un’unica realtà, governata unitariamente, risulterebbe essere il terzo comune della Provincia di Rimini, dopo il capoluogo e Riccione. Ma questo difficilmente potrà essere, visto il peso dei “campanili” in realtà comunali con storie secolari e la volontà di associazioni, forze politiche e diversi uomini di cultura nei vari comuni di preservare ad ogni costo identità e tradizioni che temono possano scomparire se un nuovo soggetto unitario venisse costituito. Si veda, ad esempio, quando queste forze prevalgono quello che è successo al referendum per l’unificazione dei comuni di Montegridolfo, Mondaino e Saludecio del 16 ottobre 2016, dove i cittadini di Saludecio con il 58,23% di NO alla fusione la bloccarono. I cittadini di Mondaino si erano invece espressi per il 69,48% per il SÌ e i cittadini di Montegridolfo, sempre per il SÌ, addirittura il 92,89%.

La storia dello spezzettamento in unità amministrative autonome nella Valconca è molto antica: in epoche recenti, dal Cinquecento in poi, la Valconca e Coriano erano divisi in tanti piccoli Castelli e Comunità. Come ci racconta Maurizio Casadei nel suo volume “Monte Colombo tra ‘700 e ‘800” (Il Ponte Vecchio, 2010) a partire dall’arrivo dei francesi e dalla costituzione della giacobina Repubblica Cisalpina, nel 1797, l’intera area della Valconca venne ristrutturata in tre Distretti e così si ebbero: 1) il Distretto di Montescudolo con sottoposti anche Monte Colombo e le sue attuali frazioni, Coriano e frazioni, San Clemente, Misano (nella parte più alta), la frazione di Sassofeltrio e Gesso; 2) il Distretto di Montefiore con sottoposti Morciano, Gemmano, Tavoleto; 3) il Distretto di Saludecchio, con Mondaino, Montegridolfo e relative frazioni. San Giovanni era comune comprendente anche il borgo di Cattolica. A loro volta i Dipartimenti erano suddivisi in Distretti e in Cantoni.

La struttura venne in parte modificata nel 1802, quando con l’emanazione della costituzione napoleonica che fondava la Repubblica Italiana, vennero ripristinati i comuni, divisi in tre classi sulla base della loro popolazione. Il territorio riminese venne diviso in 4 cantoni (che mutarono poi il nome in Distretti); il terzo, quello di Montescudolo alla sinistra del fiume Conca con in più Gemmano e gli attuali Monte Colombo, San Clemente, Coriano, Mulazzano; il quarto con a capoluogo Saludecio e comprendente la parte destra della Valconca (Montefiore, Morciano, San Giovanni in Marignano con Cattolica, una parte di Misano, Mondaino). I due distretti avevano rispettivamente 9.744 e 11.992 abitanti.

Questo tipo di organizzazione amministrativa durò, con poche variazioni, fino alla definitiva caduta di Napoleone nel 1815.
Scrive Casadei: “Il Dipartimento era altro rispetto alla Legazione [Pontificia] nella sua sostanza e nel suo ruolo: era guidato da un prefetto, un funzionario che dipendeva direttamente da un governo ben più attivo ed intenzionato a dirigere e plasmare il proprio territorio di quanto non lo fosse stato quello della Chiesa; aveva competenze molto ampie ed una struttura burocratica che doveva essere molto efficiente, svincolata dagli antichi legami con i potenti locali che avevano sempre frenato l’azione dei legati; riuscì a mettere sotto un controllo centralizzatore le comunità”.

Con il ritorno allo Stato Pontificio si tornò al passato: ritornarono le divisioni in comunità di residenza di un Governatore (Comune) ed in comunità appodiate. L’appodiato, negli Stati pontifici, era una frazione del territorio comunale (facente capo a un villaggio) retta da un priore locale, o da un sindaco, che godeva di alcune piccole autonomie. Inizialmente le prime erano: Coriano, Gemmano, Monte Colombo, Mulazzano, Saludecio, San Clemente, San Giovanni, Mondaino, Montefiore, Montescudolo; tra le seconde vi era Montegridolfo poi resosi autonomo da Saludecio e Misano staccatosi presto da San Giovanni, in breve anche Mulazzano venne relegato al rango di appodiato di Coriano.

Coriano, penalizzata nel periodo napoleonico, recuperò la sua funzione di capoluogo mandamentale per l’area sinistra del Conca ma non allargò i confini del suo territorio comunale (cosa che invece avvenne nel 1817 con l’annessione di Monte Tauro e Passano, a cui seguì poi l’area a sinistra del fiume Marano); Montescudo invece veniva per così dire punita a causa del suo recente passato filo francese e perdeva il suo ruolo di ente capofila per l’alta Valconca.

La laicizzazione dell’amministrazione pubblica realizzata nel ventennio francese rientrò con il ritorno dello Stato della Chiesa che restituì gli incarichi ai religiosi.

Nel 1828 Morciano, appodiato di Montefiore, passò sotto il governo di San Clemente. Morciano conquisterà la sua piena autonomia comunale solo nel 1857, per decreto di Pio IX.

La legge del 20 marzo 1865 introdusse in tutto il territorio nazionale, dopo i primi anni di transizione vissuti con l’unificazione dell’Italia nel 1861 fatta dalla casa regnante piemontese dei Savoia, le nuove disposizioni per gli enti locali: ogni comune doveva avere un Consiglio eletto composto numericamente in base alla popolazione, una Giunta eletta dal Consiglio, ed un Sindaco nominato dal Re. Una democratizzazione del tutto parziale perché la limitazione censuale della base elettorale non permetteva una larga rappresentatività.

Nel corso dei decenni post-unitari si definirono i confini dei singoli comuni, procedendo alla soppressione degli appodiati residui (operazione conclusasi entro la fine del secolo), centralizzando a livello comunale tutte le funzioni amministrative del territorio.
Il 5 dicembre 1895 Cattolica, appodiato di San Giovanni, ottenne la propria autonomia comunale.

Una piccola annotazione sul numero degli abitanti in Valconca perché la ritengo utile per comprendere l’evoluzione dell’occupazione umana di questo territorio.

Al primo censimento del nuovo Stato italiano la popolazione nei nove comuni della Vallata ammontava complessivamente a 20.081 unità. Il comune con il maggior numero di abitanti era Saludecio con 3.890 cittadini, seguito da Montescudo con 2.728, San Clemente 2.603, Montefiore 2.571, Gemmano 2.147, Monte Colombo 1.931, Mondaino 1.546, Morciano 1.503, Montegridolfo 933. San Giovanni in Marignano contava 2.795 abitanti.

Gli abitanti al 31 dicembre 2020 sono invece negli otto Comuni 28.297, così suddivisi: Morciano 7.123, Montescudo-Monte Colombo 6.869, San Clemente 5.624, Saludecio 3.018, Montefiore Conca 2.222, Mondaino 1.340, Gemmano 1.113, Montegridolfo 988. San Giovanni in Marignano conta 9.463 abitanti. Come è possibile vedere la gerarchia abitativa in 150 anni è notevolmente mutata.

I dati del censimento 1951 dicono che il 78% della popolazione della Valconca era impiegata in agricoltura, contro il 54% di San Giovanni in Marignano. Questi dati nel censimento del 1971 si riducono al 38% per la Valconca e al 23% per San Giovanni. E nei decenni successivi questi numeri si ridussero ancora di molto.

Questo per dire che i flussi migratori nel dopoguerra da queste realtà dell’alta e media Valconca verso la costa furono alti: dai 26.047 abitanti nel 1951 si scese ai 17.908 del 1971, ai 18.203 del 1991, per cominciare poi a risalire nel 2001 con 20.578 abitanti ed arrivare agli attuali oltre 28.000. Così come si è profondamente trasformata la qualità dell’occupazione, con la fuoriuscita massiccia degli occupati dai settori agricoli.

Morciano di Romagna è ormai da molti decenni la “capitale” economica e politica della Valconca.
Ma per secoli, sin dal Medioevo, è stato solo luogo del mercato principale della Vallata, area di incontri e di scambi, ma non di residenza. Un paese-mercato. Nel 1816, un decennio prima che Morciano diventasse nel 1827 un Comune “appodiato” di San Clemente (gli appodiati erano comuni di ordine inferiore che si appoggiavano ad un altro maggiore, ma che avevano propri rappresentanti e potevano disporre di proprie entrate) contava solo 1.000 abitanti, per salire a 1.503 nel 1861. Aveva ottenuto la propria autonomia comunale solo quattro anni prima. Il salto nel numero degli abitanti, e della espansione urbanistica della Città, avverrà solo negli anni ’50 e ’60 del Novecento: 4.806 abitanti nel 1951, 5.509 nel 1971.

Scrive Nando Piccari nella Presentazione al secondo volume di “Morciano in posa. 1946-1975. Antologia d’immagini tratte dalla fototeca di Mario Polverelli” (Comune di Morciano di Romagna, 2006): “L’arco temporale preso in considerazione da questo secondo volume corrisponde a quello che probabilmente rappresenta il periodo di maggior fermento fra quanti hanno caratterizzato il percorso lungo il quale Morciano ha costruito il suo moderno protagonismo, che l’ha portata ad assumere, fin dall’immediato dopoguerra, la indiscutibile funzione di ‘capitale economica della Vallata. Per la verità, alla grande capacità attrattiva esercitata da Morciano sul piano economico e delle relazioni sociali, di livello intercomunale, dovuta soprattutto ad una imprenditoria capitanata dai Ghigi e dai Gaspari, nonché alla capacità del suo commercio di ‘stare al passo’, non corrisponderà in quel trentennio l’analogo spessore di un suo ruolo politico-istituzionale che fosse in grado di proiettarne il protagonismo oltre l’angustia dei propri confini municipali. E’ un obiettivo, quello di diventare anche la ‘capitale politica’ della Valconca, che Morciano comincerà a porsi ed a perseguire in epoca molto più recente e con alterne fortune”.

Come abbiamo scritto poc’anzi, la Valconca pagò un pesante tributo alla emigrazione verso la costa negli anni del dopoguerra. Ma così non fu per Morciano. Sempre Piccari: “Morciano rappresenta uno di quei pochissimi casi italiani in cui un paese, pur collocato in un entroterra falcidiato dall’abbandono postbellico, sia riuscito non solo a ‘trattenere’ gran parte della sua popolazione, ma ad accrescerla sensibilmente. Ciò fu reso possibile dalla natura di ‘piccola potenza industriale’ che la Morciano uscita dalla guerra seppe mantenere e accrescere”.

Morciano sarà sempre più la chiave di volta per progettare e costruire la Valconca del futuro. La sua classe politica ed economica ne sarà capace?

La Valconca è terra di confine, è un filtro tra Romagna e Marche e riassume – in un certo senso – la funzione di cerniera fra il nord e il centro-Italia che è tipica della Romagna. Così è considerata tanto dai geografi e dai naturalisti che dagli storici.
E’ una zona di confine che ha sempre dovuto sostenere un ruolo difficile, che è sempre stata sottoposta ad alterne vicende, a distruzioni, a conflitti, come ci narra la sua storia (il Conca, allora detto Crustumium con tanto di epiteto “rapax” per la sua irruenza, divideva l’VIII Regione Augustea Aemilia dalla VI Umbria et ager Gallicus; dalle lotte fra Bizantini, Goti e Longobardi e poi fra gli Imperatori e il Papa, fra i Comuni di Rimini e di Pesaro e di Urbino ed ancora fra i Montefeltro e i Malatesti) e le vicende dell’ultima guerra. Nei primi quindici giorni del settembre 1944 i comuni della Vallata furono distrutti dalla furia della guerra. Gli Alleati si lanciarono contro la Linea Gotica tedesca e distrussero tutto quello che si trovarono di fronte: le truppe tedesche, ma anche i paesi dove questi si erano asserragliati. Bombardamenti continui dal cielo, dal mare, da terra ridussero i centri abitati della Vallata ad un cumulo di macerie: Gemmano, Montescudo, Coriano subirono la distruzione pressoché completa dei propri territori. Così come Rimini. Gli anni della ricostruzione furono segnati da immani sacrifici della nostra gente, ma furono anche momenti pieni di speranza, di voglia di ricostruire un futuro, di impegno per ridisegnare (in tutti i sensi: economico, sociale, culturale) la Vallata. Sicuramente essa non fu più quell’unico, piccolo, mondo agricolo che l’aveva caratterizzata per secoli. L’arrivo della ‘modernità’ trasformò le comunità profondamente. E Gino Valeriani, con i suoi numerosi volumi editi, lo ha raccontato più volte.

Ora la Vallata è un semplice confine amministrativo, ma un tempo è stato un importante confine politico, a lungo conteso. Ma la zona di confine, oltre che luogo di scontro, è anche luogo d’incontro, è tramite di scambi, è confluenza di diverse culture.
Il fiume Conca è il protagonista del nostro territorio con il suo corso che ha generato la valle e condizionato nel bene e nel male, la vita e la cultura delle popolazioni che l’hanno abitata e la abitano. Scrive Emilio Rosetti in “La Romagna, geografia e storia” (Hoepli,1894, più volte riedito): “Nasce nel monte Carpegna, in provincia di Pesaro-Urbino, ed entra in provincia di Forlì con direzione a levante, fino a Morciano di Romagna, di dove si volge a greco per isfociare in mare due chilometri al nord della Cattolica. Il suo corso è di 47 chilometri circa”. In passato Tavollo e Ventena erano suoi affluenti, moltiplicandone la forza, Per secoli le sue inondazioni disastrose spaventarono le genti abitanti lungo le sponde, ma oggi il corso del Conca non è più “rapax” ma pigro, meno ricco e meno minaccioso; forse, più che invecchiato, il fiume è esausto, per essere stato sfruttato senza tanti riguardi ovunque, dalla sorgente alla foce.

Vogliono essere questi miei appunti solo piccole annotazioni di possibili progetti di ricerca per un approfondimento delle nostre conoscenze della Vallata. Pier Giorgio Pasini ci ha dato i due preziosi volumi sull’”Arte in Valconca” (Banca Popolare Valconca, 1996 e 1997), dal Medioevo al Novecento, che sono un punto di riferimento fondamentale su come si faccia ricerca storica su un tema e su un territorio. Valeriani, con l’aiuto di Giusti, in questo volume dedicato alla Valconca ci invita a partire dalle conoscenze fin qui acquisite per andare oltre. E questo è quello che ci dice quando, nella Prefazione, scrive che “i documenti di questo libro sono “strumenti di lavoro” per la scuola”.

Paolo Zaghini