L’epopea di guerra e di pace del comandante partigiano “Uragano”
12 Settembre 2023 / Redazione
E’ una storia modenese perché è il diario di Fermo Melotti (1912-1964), il mitico comandante partigiano “Uragano”. Che ha un’appendice riminese perché la figlia Ilva si innamorò e sposò il riccionese Tiziano Solfrini.
La storia che le pagine di “Uragano” ci consegnano è quella di una guerra feroce, combattuta senza pietà da una parte e dall’altra, durata sino a Liberazione avvenuta il 25 aprile 1945. E Modena fu liberata dalle forze partigiane, tre giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate, il 22 aprile. Il 25 aprile 1945 “Uragano” aprì il corteo della vittoria alla testa di 15.000 partigiani che sfilarono armati lungo le vie di Modena, “alla testa della sua brigata, a testimonianza del ruolo e del prestigio acquisito sul campo di battaglia”, tra una folla di cittadini che li acclamavano.
Operaio della FIAT, militante comunista sin dal 1935, fu tra gli organizzatori dei primi nuclei partigiani nella Provincia di Modena. Catturato nell’aprile 1944 e torturato dai fascisti in maniera indescrivibile (tanto da suscitare lo stupore dei propri aguzzini) ma, pur di non tradire i propri compagni, rimase zitto e tentò di suicidarsi due volte. Quando finalmente gli amici partigiani organizzarono la fuga, Fermo Melotti riuscì a scardinare la porta della sua cella con le sue sole braccia e, durante la fuga, fu anche colpito da una pallottola.
Non potendo più operare in città, perché troppo pericoloso per lui e per la sua famiglia, riprende la lotta partigiana portandosi in montagna sull’Appennino tosco-emiliano a combattere contro le forze armate tedesche e fasciste. Per un lungo periodo combatterà sulle montagne per distruggere l’esercito nazista.
Dopo la fine della guerra e il rientro a casa fu costretto a lasciare la sua amata Cognento, perché la casa era andata distrutta dai bombardamenti. La famiglia Melotti traslocò in un appartamento a Modena. Ed è qui che si consuma la nuova tragedia familiare. Nel marzo del ’46 i due figli più piccoli (Ilva e Gianni) rimasero gravemente feriti per lo scoppio di una bomba, residuato bellico. “Uragano” a causa delle ferite riportate alla mano destra durante uno scontro con i tedeschi nel marzo 1944, con la perdita di due dita, non potè più ritornare in fabbrica alla Fiat. Venne quindi chiamato dal primo Sindaco della Liberazione Alfeo Corassori, come guardia del corpo (era da poco finita la guerra, ma gli animi erano ancora molto accesi in questa che in quegli anni fu una delle zone più travagliate d’Italia) e segretario personale, lavorando per anni vicino a lui per contribuire alla rinascita della città e a riportare la serenità fra i civili duramente colpiti.
Nel 1947 la Presidenza del Consiglio dei Ministri prese atto e riconobbe il valore delle sue azioni per la cacciata del nemico nazifascista e il 14 giugno 1947 alla presenza delle massime autorità Militari e Civili venne decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, riconoscendogli ufficialmente il grado militare di Capitano che gli era già stato assegnato dal Corpo Volontari della Libertà durante il periodo bellico.
Per anni svolse per l’ANPI nazionale la funzione di portatore del medagliere delle medaglie d’oro partigiane a tutte le cerimonie, modenesi e nazionali.
“Uragano” morì improvvisamente, a soli 51 anni, per un attacco cardiaco il 12 giugno 1964. Il suo funerale il 15 giugno vide la partecipazione di migliaia di persone, fra cui tantissimi suoi partigiani, che fecero ala al suo feretro lungo le vie di Modena. Le orazioni funebri furono tenute da Giovanni Bottonelli, Sindaco di Marzabotto, ed in rappresentanza dell’ANPI nazionale, e da Rubes Triva, Sindaco di Modena.
Figura complessa e semplice allo stesso tempo, umanamente ricca, profondamente legata alla propria famiglia, fiero della propria storia di partigiano combattente, ma nello stesso tempo, nel dopoguerra, animatore dei centri giovanili modenesi e delle attività parascolastiche nelle scuole. Raccontare la sua storia vuol dire parlare di guerra ma anche di pace, di morte e di vita. Questo diario di “Uragano” (edito da La Piazza, 2023) sarà presentato alla Chiesa della Pace di Trarivi (Comune di Montescudo-Monte Colombo) giovedì 14 settembre 2023, alle ore 18.30, nella serie di incontri dedicati alla resilienza promossi dalla Biblioteca Comunale don Giovanni Del Monte in occasione del 79° anniversario della Liberazione del Comune avvenuta a metà settembre 1944. Il libro sarà presentato da Paolo Zaghini.
Riportiamo la Presentazione al libro di Tiziano Solfrini: “Un affettuoso ricordo”.
“Ho conosciuto il mio futuro suocero “Uragano” il 6 gennaio 1960. Sua figlia Ilva, che avevo conosciuto al corso della FGCI “La via italiana al socialismo” alla scuola di partito Anselmo Marabini di Bologna, mi aveva invitato a cena a casa sua a Modena.
Non avevo ancora 22 anni, e per me, e per quelli della mia generazione, i partigiani erano degli eroi. E poi non parliamo di quelli che erano già un mito, come “Uragano”.
Dire che ero emozionato di incontrarlo era dire poco. Mi ero innamorato di Ilva, che diventerà poi mia moglie, ma la figura di suo padre per me era quella di un gigante che aveva contribuito ad abbattere il fascismo e sconfiggere i nazisti.
Quando arrivai in stazione a Modena, Ilva mi aspettava e mi disse semplicemente che suo padre ci attendeva per la cena.
Mi trovai davanti, aperta la porta di casa, ad un gigante, con un fisico possente, che ci accolse con un sorriso ed un caldo benvenuto.
In maniera spavalda la buttai subito in politica, dove pensavo di avere parecchie cose da dire. Da qualche settimana ero diventato un funzionario della CGIL di Riccione, ma venivo anche da una decina d’anni di militanza nella FGCI, quella degli anni della segreteria di Enrico Berlinguer.
“Uragano” mi chiese di come era stato il corso alla scuola di partito ed io risposi: impegnativo, abbiamo dovuto faticare molto, ma di grande interesse.
Subito dopo però aggiunse che ero lì per cenare, che avremmo poi trovato il tempo di parlare di politica e di tanto altro. E così nacque il nostro rapporto, di affetto ma anche di condivisioni politiche.
Io lo pungolavo di continuo perché mi raccontasse degli anni della guerra, delle azioni che aveva compiuto con la sua brigata di partigiani, dell’attività del partito in quei difficili anni di guerra e di quello che successe dopo la Liberazione. Ma nei primi tempi fu sempre molto riservato, sembrava restio a raccontarmi quello che aveva fatto e subito nel corso dei due anni di guerra.
Poi, piano piano, iniziò a raccontarmi la sua storia. L’iscrizione al PCI clandestino nel 1935, il lavoro politico dentro la fabbrica in cui lavorava (la FIAT Grandi Motori), l’organizzazione delle prime squadre partigiane nel 1943, gli attentati ai treni, gli scontri in città con i fascisti, la ricerca delle armi per i GAP, le SAP e quelle da mandare alle formazioni in montagna.
Ma io avevo una fissa: lo tempestavo di domande sulle armi, dove le avevano prese, come le avevano usate, dove le nascondevano, ma era vero che dopo il 25 aprile le avevano riconsegnate tutte agli Alleati? E lui glissava, non rispondeva.
Io, e i miei amici riminesi, eravamo convinti che i partigiani modenesi avessero nascosto, oltre a tante armi, anche dei carri armati, pronti alla bisogna. Ah, la fantasia dei giovani rivoluzionari!
Un giorno, improvvisamente e in modo inaspettato, mentre eravamo a pranzo mi annunciò che mi avrebbe portato a vedere la “Santa barbara” dei partigiani modenesi. Incredulo, ed emozionato, gli risposi: “Non vedo l’ora”.
Dopo il pranzo uscimmo di casa e, in auto, ci dirigemmo verso il centro di Modena. Perplesso lo guardai, non capivo. Io pensavo che saremmo andati in campagna, verso gli Appennini. Invece ci fermammo davanti all’Accademia Militare. Era in corso il cambio della guardia e lui mi disse: “In caso di necessità loro sono armati. Se dovessero servire le armi, le andiamo a prendere da loro”. E per tutta la vita, purtroppo per neanche quattro anni vista la sua improvvisa morte il 13 giugno 1964 a soli 51 anni, nonostante l’affetto e la stima per me sulle armi dei partigiani modenesi nulla di altro mi disse.
Dei tanti episodi raccontati nel suo “Diario” ho avuto la fortuna di ascoltarli dal vivo. Quello che è certo è che la Resistenza nel modenese (e in tante altre parti del Nord Italia) è stata una guerra vera, dura, sanguinosa. Modena e le maggiori città della sua provincia vennero liberate, alcuni giorni prima nell’aprile 1945 dell’arrivo delle truppe alleate, dai reparti partigiani in armi, dopo aver sconfitto e fatto fuggire fascisti e tedeschi. La grande sfilata dei partigiani a Modena (oltre 15.000) il 25 aprile 1945 fu aperta da “Uragano” alla testa della sua brigata, a testimonianza del ruolo e del prestigio acquisito sul campo di battaglia.
Per sua figlia Ilva, mia moglie, il ricordo del padre rimase sempre indelebile. Avrebbe voluto vedere questo “Diario” di “Uragano” stampato, non tanto per il suo valore storico, quanto invece per la testimonianza del coraggio e dell’ardimento del padre. Purtroppo Ilva è deceduta il 30 settembre 2022. Ho voluto onorare questo suo desiderio provvedendo io, assieme alle mie figlie, Valentina e Silvia, ai miei nipoti, Erica e Ruben, al mio genero Massimo, a pubblicare questo “Diario” di Fermo Melotti, per tutti “Uragano”, comandante partigiano. Ringrazio Paolo Zaghini per l’aiuto datomi per la sua pubblicazione”.