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Boiate che non si possono leggere né sentire, ma Feltri se ne infischia, le proclama senza vergogna e campa meglio di me e di voi


Un po’ di cattiveria migliora e allunga la vita


29 Settembre 2024 / Lia Celi

L’esperienza mi ha dimostrato che un po’ di cattiveria migliora e allunga la vita. E dico “un po’” solo per decoro, perché in realtà mi sembra che più si è cattivi, acidi e sfacciatamente egoisti, meglio e più a lungo si campa. Il dubbio mi è sorto vedendo che nel mio parentado i primi ad andarsene sono stati quelli che più si erano sacrificati e prodigati per i familiari, i più gentili e sottomessi, i quali, se la vita funzionasse come le favole, avrebbero meritato tutto il bene possibile, a cominciare da una vecchiaia lunga e serena.

Privilegio che invece il fato sembra accordare ai più insopportabili, che godono di una salute di ferro e campano alla grande fino a tarda età, rompendo l’anima a figli, nipoti e un’imprecisata quantità di badanti. Quando ho notato che il fenomeno si riscontra non solo in parecchie altre famiglie, ma anche nel grande mondo in generale, ho dovuto rivedere la mia ingenua morale da Cenerentola e riconoscere che la cattiveria paga, nel breve e nel lungo periodo.

Non è nichilismo né cinismo, ma una semplice riflessione antropologica e psicologica: il «cattivo» è quello che antepone senza pudore se stesso e propri bisogni e capricci a quelli degli altri, e non li nega né li combatte, e questo è molto più sano e naturale rispetto alla tendenza a sacrificarsi, a cancellarsi e a reprimersi per il bene altrui, anche perché questa auto-negazione, indotta dal conformismo e dall’educazione, comporta sofferenza e rosicamenti e dài e dài logora la salute.

In genere il «cattivo» è abbastanza fortunato da avere intorno un certo numero di «buoni» e «buone» che subiscono e incassano, e non lo abbandonano a se stesso nemmeno quando è vecchio e ulteriormente incattivito. A volte è così fortunato che la sua acidità senile, anziché venire liquidata come penoso rincoglionimento, viene ripresa e commentata seriamente dai giornali e dai social.

È il caso dell’81enne Vittorio Feltri, ieri apprezzato giornalista e polemista, oggi oracolo dei sovranisti, con totale licenza di sbarellare. Per i cultori dell’epica omerica: ricordate Nestore, il più anziano e il più saggio degli Achei, che spesso li riportava alla ragione con la sua eloquenza dolce come il miele? Ecco, età veneranda a parte, Feltri è l’esatto contrario, snocciola affermazioni da denuncia che eccitano i peggiori istinti retrogradi, xenofobi e sessisti e deliziano la fetta più trumpiana della nostra opinione pubblica, oltre a fornire ogni settimana materiale fantastico a Maurizio Crozza.

L’ultimo esempio è la sparata sui ciclisti, “mi piacciono solo quando vengono investiti”, roba che ormai non si sente nemmeno più nei bar, ma che sicuramente avrà suscitato ole artritiche da parte di tutti i vegliardi danarosi col macchinone che vedono le ciclabili come un’intollerabile lesa maestà delle quattro ruote. Oppure, chissà, detestano le bici perché sono cose da donne e da giovani, categorie che essi disprezzano e/o odiano.

Feltri ce l’ha con i ciclisti soprattutto per motivi politici: «Sono gli idoli della sinistra, che li vede come salvatori del mondo», ha scritto sul Giornale, «non gente rozza come quelli che solo perché votano a destra vengono chiamati “fascisti”.» Boiate che non si possono leggere né sentire, ma Feltri se ne infischia, le proclama senza vergogna e campa meglio di me e di voi. Questa è l’unica lezione utile che possiamo trarne per garantirci una sana vecchiaia: insieme all’esercizio fisico inseriamo nella nostra routine quotidiana almeno una micro-dose di stronzaggine, di egocentrismo, di cattiveria. È l’integratore che potrebbe fare la differenza.

Lia Celi