Com’era prevedibile, quest’anno il rosso dei conti correnti e il verde delle tasche vuote hanno prevalso sul nero del Black Friday, trasformandolo in un deprimente marron, molto più intonato alla situazione in cui molti di noi si sentono immersi fino al collo, economicamente e non solo. Le file epiche davanti ai negozi e i bancomat che chiedono pietà sono solo un ricordo di tempi più prosperi, e molti negozianti hanno chiuso la giornata col muso lungo.
A quanto pare, la parola «Black Friday» non è più la magica formula che scatena in noi consumatori la compulsione pavloviano di comprare a più non posso, nell’illusione di risparmiare. Se lo sconto è inferiore al quaranta per cento non è vero amore, quindi meglio aspettare saldi e superpromozioni, spesso più vantaggiose dei ribassi del «venerdì nero» e attive suppergiù quasi tutti i venerdì dell’anno.
Nessuno di noi è più abituato a comprare il prodotto a prezzo intero. Lo trattiamo come un frutto acerbo che va lasciato maturare sullo scaffale, finché il cartellino, corretto e rietichettato, ci dice che è il momento giusto per la raccolta. Un po’ come certe uve che i francesi lasciano ammuffire sui tralci (pourriture noble, la chiamano, cioè putrefazione nobile) prima di raccoglierle e trasformarle nel pregiatissimo vino Sauternes. E bisogna dire che l’ebbrezza gratificante di comprare a metà prezzo rivaleggia con quella che dànno certi vini, anzi, proprio per questo non bisogna esagerare, perché, come l’alcool, anche gli sconti possono dare alla testa, e dopo la sbronza ti ritrovi con un sacco di elettrodomestici nuovi che non puoi accendere perché non hai di che pagare la bolletta.
Già, sono state le bollette, insieme alle mazzate fiscali di fine anno, a remare contro il Black Friday. Tutti i settori ne hanno risentito, tranne due: il solito tecnologico, al quale appartengono tutti i veri status symbol della nostra epoca (lo smartphone più figo, il portatile più evoluto, l’home theater che è meglio del cinema), e la profumeria, l’eterna, inossidabile consolatrice di noi donne.
Dicono le statistiche che anche nei periodi di crisi economica più acuta le vendite di cosmetici non sono mai diminuite, anzi. E il salvagente estetico e psicologico preferito dalle donne durante i momenti difficili è il rossetto. Proprio quando bisogna stringere i denti è necessario che le labbra siano impeccabili. E il rossetto, per una cifra tutto sommato modesta, anche quando è firmato da un marchio famoso, ti dà la grinta, l’ottimismo e la fiducia in te stessa che ci vogliono per tenere duro. Per dire, rosso fuoco, e targato Elizabeth Arden, era il rossetto che veniva fornito negli anni Quaranta al personale femminile dell’esercito americano, che vi abbinava anche alcuni dettagli dell’uniforme. Investire nel rossetto significa oltretutto risparmiare sul resto del make-up: come insegnano le beauty-addict, con un rossetto rosso il resto del trucco deve limitarsi a una passata di mascara e a un velo di cipria.
Caso vuole che quest’anno il Black Friday, il 25 novembre, sia coinciso con la Giornata contro la violenza alle donne, il cui colore emblematico è il rosso. Rosse sono le scarpe che le donne esibiscono nelle manifestazioni contro i femminicidi, rosse le panchine che ricordano le vittime degli abusi. E così, per molte donne, questo è stato un Red Friday, commemorato anche con un piccolo auto-regalo che, nella sua apparente frivolezza di cosmetico, diventa un manifesto grazie al suo colore: quello del fuoco, del sangue, del pericolo ma anche della passione e della resistenza. Il colore di un urlo che è sulla bocca di tutte.
Lia Celi