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Valerio, fa’ grande la riviera con la piada squacquerone e plancton


26 Febbraio 2017 / Lia Celi

Preparatissimi nell’impiattamento e nella rosolatura, a proprio agio fra coulis e confit, ma decisamente scarsi quanto a cultura musicale: nessuno dei sei finalisti di Masterchef sapeva nulla di Giuseppe Verdi né degli altri compositori classici cui erano dedicate le sei ricette che hanno dovuto riprodurre nell’ultima puntata.

Figuraccia, rampogne sdegnate di Cracco e company, boato dei social che invocavano punizioni sommarie per gli aspiranti chef.

Vabbè, okay non saper distinguere fra aria e cabaletta, ma non avere nemmeno una vaga idea di chi era Verdi è un po’ grossa, anche se hai solo diciotto anni e vieni da Santarcangelo, come Valerio, il nostro beniamino, cui Cannavacciuolo ha malignamente profetizzato «un giorno diventerai come me», non nel senso di chef, ma nel senso di panzone.

Al nostro fanciullone però non è toccata la ricetta verdiana, ma le «palle di Mozart», quelle pralinazze al marzapane che ormai si trovano pure negli autogrill e di cui Valerio ha fornito una versione non esaltante.

Se l’è cavata meglio lavorando l’altro ingrediente tematico della puntata, poco verdiano ma molto verde e, diciamolo, perfetto per la cucina della nostra Riviera: il plancton, che da cibo per balene a quanto pare è diventato costosa leccornia da gourmet sperimentali.

Il termine indica solitamente il paciugo di organismi acquatici galleggianti, vegetali e animali, che vengono trasportati dalle correnti e liofilizzati dal sole. A questo punto la tentazione è correre in spiaggia, raccogliere dal bagnasciuga una grembiulata di mondezza (eliminando se possible cartacce, mozziconi di sigaretta e salvaslip usati), macinarla, condirci il risotto e con quel che avanza farci un business.

Magari. Il plancton da cucina di Masterchef, ultimo trend del «novel food» (cioè «novità alimentari», categoria cui appartengono anche certi tipi di insetti, per dire) è fitoplancton, cioè vegetale, ricavato da un solo tipo di alga unicellulare chiamata Tetrachelmis chuii e coltivato in acquacoltura.

Sì, amici, c’è gente che si fa le budella d’oro coltivando alghe, mentre noi ne abbiamo a quintali e trattiamo come spazzatura. Non saranno tetravattelapesca, ma via, vuoi che ci sia più differenza di sapore che fra la lattuga scarola e la gentilina? E se l’odiata mucillagine, disseccata e macinata, sapesse di uova di storione? A buon intenditor poche parole. Chissenefrega di Verdi, è ben altro il verde che farà ricca Rimini. E la piada squacquerone e plancton diventerà il nostro piatto-manifesto.

Lia Celi