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Due mesi di pesantissimi disagi per i passeggeri, ma il futuro non promette meglio: le ferrovie sono fragili e le linee sono poche


Viaggiare in treno: l’estate del nostro scontento


29 Agosto 2024 / Roberto Renzi

L’estate del nostro scontento, così si potrebbe definire la Summer Experience di Trenitalia (guai a chiamarlo “orario estivo”). Soprattutto nei mesi di luglio e agosto, le cronache hanno riferito di disagi pesantissimi a scapito dei viaggiatori.

Naturalmente sono stati colpiti anche i “concorrenti” di Nuovo Trasporto Viaggiatori (Italo). Il tutto è dovuto a un mix tra una serie di disgrazie e guasti e l’esecuzione di lavori “urgenti” all’infrastruttura, senza dimenticare gli immancabili scioperi.

Il deragliamento di due treni merci, in Calabria e a Parma, ha causato per settimane rallentamenti e cancellazioni. Sulla rete dell’Alta Velocità, tra guasti agli impianti, incendi lungo la linea e altre sventure, i treni hanno cumulato ritardi su ritardi per poi rallentare (in modo “programmato”) per la contemporanea chiusura di diverse tratte soggette a lavori: a complicare la situazione sono infatti venuti i cantieri per l’aggiornamento tecnologico, dettati dai tempi stretti del PNRR (lo stesso che vorrebbe il Metromare per la Fiera di Rimini completato nel 2026), oppure da improrogabili necessità di messa in sicurezza delle linee.

Nella settimana di Ferragosto per la presenza di cantieri sulle linee Alta Velocità il tempo di viaggio da Milano a Bologna è passato da un’ora e cinque a due ore e venti minuti e un analogo rallentamento si è avuto tra Firenze e Roma. Secondo un comunicato ufficiale in questo periodo nove treni su dieci sono arrivati a destinazione in orario: credibile, dati i tempi di percorrenza esageratamente lunghi!

In Romagna, dopo la semi-chiusura della durata di tre mesi della Castelbolognese–Ravenna per finire di riparare i danni dell’alluvione, a fine agosto il binomio cantieri-disagi ha colpito per tre giorni anche la linea tra Imola e Forlì.

La rete ostaggio dei cantieri finisce per fare un bel favore al trasporto su strada: le imprese ferroviarie che gestiscono i treni merci denunciano infatti un fortissimo calo del fatturato a causa delle tante linee chiuse al traffico.

Un Frecciarossa (ETR 500) diretto a Milano

Le cause dei disservizi – Se una persona viene investita dal treno, tutto il traffico si ferma per tre o quattro ore “per consentire gli accertamenti dell’Autorità giudiziaria”. Ne abbiamo avuta la prova domenica 25 agosto, quando a Riccione una persona è stata investita e dalle 13.50 al tardo pomeriggio la linea è rimasta interrotta. Ma le cause di stop o rallentamento alla circolazione sono molteplici: investimenti di animali, incendi lungo la linea, presenza di persone sui binari (anche quando non finisce tragicamente come è successo a Miramare proprio la notte prima dell’investimento di Riccione), guasti ai passaggi a livello e naturalmente ai treni o agli impianti.

Le numerosissime norme, non di rado sconosciute alle ferrovie d’oltralpe, poste a tutela della sicurezza della circolazione, mentre causano diversi inghippi alla circolazione stessa, non sono state in grado di evitare gravi incidenti come la strage di Brandizzo, un anno fa: la protezione del cantiere era affidata al telefono.

E potremmo continuare: una volta il treno era il mezzo più affidabile in caso di neve; oggi – con le linee non più presenziate – bastano quattro fiocchi a bloccare la circolazione e su diverse linee il “piano neve” consiste nello spostare i passeggeri sugli autobus alla prima nevicata.

Le ferrovie sono fragili e le linee sono poche: ogni volta che si verifica uno di questi casi, i treni devono fermarsi per la mancanza di binari e di linee alternative. È quasi impossibile sorpassare un treno fermo in linea, per la scarsità di impianti utilizzabili in caso di degrado della circolazione: mentre in Svizzera c’è una bretella tra i due binari ogni quattro chilometri, in Italia l’intervallo è spesso di decine di chilometri, questo anche perché mentre si “rinnovavano” gli impianti, binari e scambi venivano tagliati per motivi di economia. Clamorosa la soppressione di ben tre punti d’incrocio tra Ravenna e Rimini (Classe, Bellaria e Viserba), che determina ritardi a catena per la difficoltà di spostare gli incroci fra treni da una stazione all’altra in caso di necessità. La chiamano “operazione rete snella” ma, l’informatica lo insegna, un hardware (= la rete) meno performante finisce per rendere meno efficente il software (= l’orario dei treni).

La rete fondamentale è sovraccarica – Nonostante l’etichetta “Alta Velocità/Alta Capacità” (AV/AC) affibbiata alle nuove linee veloci, il fatto che tra “Frecce” e “Italo” l’asse Milano–Roma vede susseguirsi treni ogni cinque o sei minuti per gran parte della giornata, provoca un vero e proprio ingorgo.

Soltanto Bologna (dove confluiscono le linee da Verona e da Venezia) ha una stazione dedicata a questo tipo di traffico, per averla anche a Firenze dovremo aspettare il 2028.

Non c’è dubbio che i treni sono troppi, anche perché nella lunga percorrenza si è rinunciato a introdurre convogli a due piani, come invece hanno fatto i francesi, che vent’anni fa erano già alle prese con problemi analoghi sulla Parigi–Lione. Tuttavia gli elettrotreni Frecciarossa 1000 possono circolare anche in doppia composizione: insomma bisognerebbe fare un po’ meno treni ma più capienti.

Un Amarcord anche per i treni: passeggeri-vacanzieri di cinquanta anni fa alla stazione di Rimini (foto Fondazione FS Italiane)

Per quanto riguarda la nostra linea Adriatica, dove circola un Frecciarossa ogni ora sui binari convenzionali (velocità massima 180 km/h), la tratta critica è quella da Bologna a Castelbolognese, sulla quale ai treni a lungo o medio percorso si sommano quelli da e per Ravenna, tra cui molti treni merci, e i “metropolitani” Bologna–Imola. Per questa tratta è in programma il quadruplicamento dei binari, che in teoria potrebbe essere il tratto iniziale di una futura linea ad alta velocità: il gestore dell’infrastruttura (RFI) ha proposto due nuovi binari “fuori sede”, con lunghi viadotti in mezzo alla campagna, suscitando reazioni negative sia tra la popolazione che tra gli amministratori. I “no TAV” nostrani denunciano il grande consumo di suolo che ne deriverebbe e francamente non sembrano avere torto: quattro binari sono necessari, ma per tutto il traffico (passeggeri e merci) e devono essere interconnessi tra loro. I treni che oggi chiamiamo Freccia o Italo, in futuro potrebbero diventare al massimo due o tre all’ora: Rimini, Ancona e Pescara non attraggono né generano il traffico di Firenze, Roma e Napoli. Quanto a Bari, con il completamento della linea AV/AC in costruzione tra Foggia e Caserta il capoluogo pugliese potrà avere treni veloci per Bologna e Milano instradati via Roma-Firenze. Salvini e i suoi amici straparlano abbastanza quando dicono di voler portare l’alta velocità lungo l’Adriatico con una linea dedicata: costerebbe molto di più del ponte sullo Stretto! Inoltre tantissimi centri di medie dimensioni o a valenza turistica verrebbero inesorabilmente tagliati fuori da una siffatta infrastruttura.

Per la cronaca, nell’ipotesi che la linea da 300 km/h fosse prolungata da Bologna a Rimini, il miglior collegamento tra Milano e la nostra città impiegherebbe un’ora e quaranta minuti, in luogo delle due ore e cinque di adesso. Oggi però alcune Frecce che transitano da Rimini (segnatamente diversi treni ex “Frecciabianca”) percorrono la linea veloce solo da Milano a Fidenza, fermando a Parma, Reggio e Modena. Il tempo di percorrenza da Milano a Rimini o viceversa sale a due ore e quaranta minuti – in tre casi addirittura a tre ore – ed è più facile essere soggetti a ritardi, ma il biglietto ha lo stesso costo che sulle Frecce più veloci!

Quanto a Italo, dopo una fugace apparizione tra il 2013 e il 2014, dalle nostre parti non si è (quasi) più visto…

Roberto Renzi

(1. continua)