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Violenza di genere, verso il 25 novembre: le storie di Marco, Giusy e Leila


13 Novembre 2024 / Redazione

 

Il 25 novembre si celebra la giornata per il contrasto alla violenza contro le donne, in particolare la violenza tra le mura domestiche e i femminicidi. Con l’espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza, da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking, molestie e stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso o per altre ragioni.

 

La normativa contro la violenza di genere, aggiornata con la legge n.69/2019 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, rientra interamente nel quadro delineato dalla Convenzione di Istanbul (2011), primo strumento internazionale giuridicamente vincolante ‘sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica’.

 

Ancora oggi, esistono purtroppo fenomeni di violenze che talvolta restano silenziosi, ma pur nell’ombra di una sorta di omertà e paura si radicano ed è difficile estirparli o combatterli: uno di questi è il fenomeno della violenza e delle molestie nei luoghi di lavoro, una grossa criticità del nostro tempo, peraltro supportata da dati nient’affatto incoraggianti.

 

I numeri infatti indicano e riportano una sempre maggiore incidenza di casi, in prevalenza di donne, impiegati e contratti a tempo indeterminato, che si ritrovano spesso a subire una forma di violenza psicologica o talvolta fisica, con conseguenze che in una grande fetta dei colpiti sfociano addirittura nella depressione, in una forma di disagio, dolore e vergogna che può toccare chiunque si senta umiliato o sotto pressione in una situazione lavorativa, spesso vissuto in solitudine, altre in una rete familiare che sostiene la vittima. Diverse possono essere le reazioni di queste vittime, ma in tutte restano segni indelebili nelle loro vite.

 

Oggi voglio dare voce a loro e la pubblicazione di queste testimonianze è stata possibile grazie all’impegno dei tre testimoni che si sono rivolti al mio Ufficio e che volentieri hanno collaborato a tradurre nelle lettere scritte il turbinio di sentimenti vissuti per episodi di violenza; per questo li ringrazio, essi hanno costituito una “Redazione” di questa seppur breve raccolta.

 

Ovviamente ci siamo preoccupati di rendere difficile l’identificazione delle persone e dei luoghi di cui si è raccontata la storia, non solo per motivi di privacy, ma in quanto potenzialmente pregiudizievole nei loro confronti. Abbiamo voluto focalizzare l’attenzione sulla vittimizzazione che caratterizza ogni episodio di violenza o molestia sessuale, fisica o psicologica e le conseguenze che possono generare questi episodi.

In occasione della giornata del 25 novembre abbiamo voluto accendere un faro anche su queste forme di sempre più diffusa violenza nei luoghi di lavoro.

 

Di seguito alcuni estratti dalle lettere di tre persone coinvolte in episodi di bullismo e di molestie. A riportarli, la consigliera per le pari opportunità in Provincia Adriana Venturi

 

 

GIÙ LE MANI: storia di Giusy, vittima di molestie sessuali

 

Non riesco a respirare, mi gira la testa, non mi reggono le gambe, il mio cuore batte forte, mi manca il respiro… mi sento morire.

Sembrava un giorno come un altro, invece le mani addosso all’improvviso… un’angoscia improvvisa che si porta via tutto, anche la mia anima brucia in silenzio, urlando da sola, nessuno la sente…. e sarà così pure nei giorni seguenti.

Senza tempo per pensare, per cercare di capire, per tornare a respirare, tempo per assecondare quella voglia di fuggire, di dimenticare, di allontanarmi da tutto quel dolore.

E ora cosa faccio, che succede… Il cuore dilaniato da mille dubbi, l’urgenza di gridare, di gridarlo, di farlo sapere, la volontà di giustizia per me e anche per chi verrà dopo di me.

La rabbia impatta con la mia realtà, con la mia necessità di far fronte alle esigenze di famiglia, non posso licenziarmi dal mio posto di lavoro, cerco soluzioni, mi informo, conosco persone alle quali è difficile spiegare il mio tormento: la necessità dello stipendio, dei figli da crescere….

Quella necessità che ti fa stare lì nonostante tutto, nonostante vorresti correre verso la libertà, il sollievo dell’anima ferita; ma qual è la mia libertà di persona, di donna, di madre potendomi ritrovare senza un lavoro?  Sono stanca, tanto stanca di non poter decidere come vorrei, di non avere il diritto di lavorare con tranquillità, stanca di trovarmi in una situazione che non ho né cercato, né voluto, ma che ho subito.

Sono in preda a stati d’ansia, la contingenza pesa come un grosso macigno che mi schiaccia, e io ci faccio i conti ogni momento, ma non posso fare altro che andare avanti, spinta da fili invisibili, che negano la mia essenza di essere umano legato da ruvide corde, senza possibilità di salvezza, riscatto e una via d’uscita.

Scrivo come protagonista di questa brutta storia, sognando un mondo diverso, scrivo per chi avrà la possibilità di ribellarsi a questo e per chi, come me, si è trovato impossibilitato a poter far valere la giustizia.

Io devo per forza tornare al lavoro…

 

 

ESIGO RISPETTO: storia di Marco, vittima del” bullismo” dei colleghi

 

Mi chiamo Marco, ovviamente questo è un nome di “fantasia” che ho scelto per raccontare la mia storia.

Sono gay, ho dovuto abbandonare il luogo nativo per sfuggire ai commenti dei paesani e alla mai piena approvazione dei miei familiari e parenti che “mal hanno digerito” il mio orientamento sessuale.

Ho tolto il disturbo trasferendomi altrove per trovare un po’ di serenità e un nuovo equilibrio, senza fare i conti con gli stereotipi e i pregiudizi che ti “seguono ovunque”.

La violenza contro le persone LGBT è spesso fatta di azioni volte a ledere la loro integrità psicofisica, a causa dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale. Queste condotte possono essere compiute anche in alcuni contesti lavorativi.

La violenza può estrinsecarsi in modi variegati: attraverso condotte fisiche e violente o vessatorie, oppure attraverso l’espressione di giudizi di valore, intesi a ledere la morale della persona che è oggetto della violenza.

Questa violenza può manifestarsi anche su un piano di condotta socialmente tipica, laddove si tende a sanzionare o stigmatizzare i comportamenti e i costumi che non si confanno alle “norme sociali tipicamente accettate” in una data comunità, senza eccezione per i luoghi di lavoro.

Sono ancora in terapia dallo psicologo, ma credo di aver superato in gran parte la sofferenza che mi causava la derisione e i doppi sensi dei colleghi di lavoro…oggi reagisco con una “intelligente ironia”, solo il mio cuscino conosce e accoglie le mie lacrime quando avverto la difficoltà del mio vivere quotidiano dentro e fuori il mio luogo di lavoro.

 

 

NON DEVI TOCCARMI: storia di Leila, vittima di molestie sessuali

 

È bastata un’azione, un gesto, e ti ritrovi all’improvviso a dire “e mo’ che succede?”

Poi succede che vai sempre più giù, soffri, ti disperi, ti arrabbi, vorresti urlare e… urli al mondo.

Giro lo sguardo e la mia famiglia è qui con me: soffre con me! Mi abbraccia, mi coccola, mi aiuta a respirare, perché in certi momenti il respiro mi manca.

Ti trovi con una mountain bike nuova, in mezzo a un bosco con salite e discese e tuo marito davanti che ti apre il sentiero e ti incita a fare un altro piccolo sforzo, a faticare ancora un po’. L’anima, lo spirito, tutto si calma… un velo dai tuoi occhi si alza, sapevi di essere amata ma ora sai quanto.

Una pedalata alla volta mi ha portato qui oggi e sono grata di tutto l’amore che la mia famiglia mi ha dato. Guardando indietro i percorsi, la psicoterapia, gli ex colleghi ignavi e che ancora oggi abbassano lo sguardo… tutto è un lontano ricordo!