Home___aperturaWilliam Raffaeli: “La manovra del governo è l’ennesimo colpo a quanto abbiamo di più prezioso: il sistema sanitario nazionale”

Infermiere di Famiglia, cronicità, equità, sostegno ai fragili: il medico di Rimini candidato alla Regione per il PD spiega le sue priorità


William Raffaeli: “La manovra del governo è l’ennesimo colpo a quanto abbiamo di più prezioso: il sistema sanitario nazionale”


31 Ottobre 2024 / Stefano Cicchetti

William Raffaeli, medico, anestesista esperto in terapia del dolore, già direttore dell’Unità Operativa di Terapia Antalgica e Cure palliative (Hospice) presso l’Ospedale Infermi di Rimini,  presidente (nonché ideatore e fondatore) della Fondazione ISAL dedicata alla ricerca e cura del dolore cronico, a 73 anni ha deciso di candidarsi alle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna del 17 e 18 novembre. In questa intervista ne spiega i motivi e approfondisce alcuni temi.

William Raffaeli

Lei ha criticato duramente i provvedimenti previsti dalla manovra di governo per a sanità. In cosa è carente?

“Quella presentata dal Governo è una manovra di bilancio che altro non è che l’ennesimo colpo a quanto abbiamo di più prezioso: il sistema sanitario nazionale. Siamo di fronte ad una serie di continui definanziamenti che non fanno altro che indebolire il nostro sistema. Il piano di assunzione di 30.000 nuovi medici e infermieri era stato promesso, ma nella manovra è sparito. Le misure economiche previste sono assolutamente insufficienti ed anzi sembrano quasi solo una presa in giro. Pensare di offrire un’indennità di soli 17 euro ai medici e 7 euro agli infermieri è uno schiaffo alla professionalità del personale medico infermieristico e sanitario che ogni giorno lavora per far funzionare un sistema già in sofferenza.
A questo si aggiunge l’assenza di fondi per pagare chi lavora oltre l’orario per abbattere le liste di attesa, che sono un altro tema caro ai cittadini”.

Ma il ministro della salute Schillaci dice che sono le Regioni a non sapere spendere i soldi: è vero?

“I fondi destinati dallo Stato alla sanità sono assolutamente insufficienti, nonostante i proclami del Ministro. 1,3 miliardi di fondi aggiuntivi previsti non sono altro che una goccia nel mare, inadeguati rispetto alle necessità e anzi, considerando l’inflazione, il finanziamento attuale è il più basso degli ultimi 20 anni.
Questo è il segnale di una dismissione silenziosa, ma devastante, del nostro sistema sanitario. La sanità non può essere considerata un costo, ma un investimento per il Paese, ed è grave che chi si trova al Governo non lo voglia capire”.

Raffaeli inaugura la sede del suo comitato elettorale a Rimini in via Cairoli

Quali sono i temi alla base della sua candidatura?

“Come medico, e come cittadino, credo fermamente che la sanità regionale, verso la quale mi candido a dare un contributo diretto, debba essere orientata verso valori e strategie che tengano alta la qualità dei servizi e la vocazione pubblica e universale della nostra sanità, con un’attenzione alle persone più fragili. La salute della gente è un bene per tutta la società, come ha ripetuto il nostro Presidente Matarella il giorno 28 ottobre in occasione dell’incontro per i “I Giorni della Ricerca”: ‘Universalità delle cure e la parità di diritti sono principi irrinunciabili. Necessario rimuovere condizioni di divario territoriale’. Un divario che è ancora troppo grande nel nostro Paese con molte regioni che da anni vivono una sofferenza grave nell’espletamento dei servizi per la salute mentre il sistema sanitario della Regione Emilia-Romagna è stato certificato come un sistema di riferimento nazionale e internazionale per la qualità dei servivi sia dal Governo che su scala internazionale dalla OMS”.

Lei è un medico molto conosciuto anche per il suo impegno sociale, soprattutto verso le fasce più deboli. Quali sono le prime cose che la Regione dovrebbe fare per aiutare le categorie più fragili?

“La nostra è una Regione in cui la giustizia sociale è un valore storicamente dato, ma che oggi va difeso e sostenuto più che mai. Non possiamo permettere che si mettano a rischio conquiste che sono patrimonio di tutti noi. In questo la salute è un valore e un diritto che non deve dipendere dal reddito. Oggi dobbiamo difendere la sanità e i due terzi del bilancio regionale che sono oggi destinati alla sanità e alle politiche di inclusione. Per sostenere in maniera efficace le popolazioni fragili è indispensabile attuare una organizzazione molto più efficiente nel garantire una continuità di presa in carico assistenziale a livello domiciliare dedicata alle persone affette da malattie croniche disabilitanti che sono una fonte di sofferenza per le persone malate e tutto il nucleo famigliare. Una assistenza in cui il ruolo del personale infermieristico è il perno su cui sviluppare una efficace anticipazione delle cure con prevenzione degli episodi di acuzie per nuovi fattori patologici e/o aggravamento delle patologie in atto. Il carico sociale della cronicità mina profondamente la capacità di resistenza umana ed economica delle famiglie. La nostra comunità merita un futuro in salute e insieme possiamo fare la differenza”.

La sua Fondazione ISAL è nata per combattere il dolore cronico: esiste ancora anche fra i medici una certa mentalità secondo la quale il dolore è invece ineliminabile o addirittura necessario?

“La cura del dolore è gravemente trascurata in quasi tutte le più importanti facoltà di Medicina europee, con gravi costi economici e umani. E’ urgente rimettere il dolore al centro dell’attenzione medica, dell’accuratezza diagnostica ma anche della centralità del rapporto tra il paziente e il medico. E’ nostro compito di medici, infermieri, ostetriche, psicologi , operatori socio-sanitari , fisioterapisti, ascoltare il dolore delle persone e riconoscere la sua sostanziale base biologica.
I settori principali di attività di ISAL sono: ricerca per nuove strategie di cura, sostegno alle persone con dolore mediante lo sportello gratuito medico e psicologico, formazione mediante la sua Scuola nata nel 1993 che ha formato migliaia di medici, comunicazione sociale.
Per svolgere queste azioni, ISAL si è struttura su due livelli: la Fondazione ISAL che si occupa principalmente di ricerca, innovazione e formazione medica sul dolore e l’Associazione Amici della Fondazione ISAL che con la Fondazione lavora al fine di sensibilizzare la Società Civile sul tema dolore e, attraverso il volontariato, sostenere chi è colpito da patologie dolorose persistenti”.

Non tutti sono soddisfatti degli assetti di AUSL Romagna, lamentando che Rimini viene penalizzata rispetto agli altri capoluoghi: hanno ragione?

“Preferisco rispondere con i dati relativi alla nostra Provincia che testimoniano la qualità e l’impegno portato avanti in questi anni. Ausl Romagna ha registrato 16.560 dipendenti fra medici e altri professionisti della sanità al 31 dicembre 2023 sono 1.130 in più dei 15.430 di fine 2019, con una crescita del 7.32%, superiore al 6.62% della media regionale.
In questo periodo l’Azienda ha presentato e in gran parte portato a termine o messo in cantiere un Piano degli Investimenti per 500 milioni di euro, nonostante il calo dei finanziamenti alla sanità su scala nazionale.
Oltre 4 milioni sono stati stanziati su Santarcangelo fra il 2020 e oggi, più di 7 milioni per opere realizzate e in corso nel Distretto di Riccione, per le Case della Comunità a Riccione e Morciano e l’Ospedale di Comunità di Cattolica dove si sta sottoscrivendo l’intesa anche per una Casa della Comunità. Sempre in Valmarecchia, 924.000 euro sono stati investiti per la Casa della Comunità attiva dal luglio 2023 a Novafeltria, dove gli investimenti dell’Azienda sono nell’ordine di 3.488.000 euro e prevedono fra le altre cose lo sviluppo dell’attuale Ospedale di Comunità già ampliato nel 2026, qui dove dal maggio scorso è attiva una delle tre nuove Centrali Operative Territoriali insieme a quelle di Rimini e Riccione. Investimenti e presidi che vogliamo non solo mantenere, ma anche incrementare”.

I CAU e le Case della Salute secondo lei stanno funzionano?

“Ancora oggi purtroppo troppi cittadini non conoscono i CAU e la loro funzione di garantire accoglienza alle persone che necessitano di una risposta urgente a causa di una supposta o reale urgenza sanitaria. Non tutte le persone possono comprendere se ciò che sta loro accadendo sia o non sia una condizione che mette a rischio la loro salute e non tutti sanno a chi rivolgersi in alcune circostanze in cui l’ansia di quanto sta accadendo o l’assenza di risposte efficaci inducono a rivolgersi alle strutture di pronto soccorso pur non essendo la scelta dovuta in relazione alla gravità dei sintomi. Le strutture denominate CAU (Centri di Assistenza e Urgenza) accolgono pazienti con problemi urgenti a bassa complessità e coprono mediamente un bacino territoriale composto da 35.000 a 75.000 abitanti. Sono strutture facilmente raggiungibili perché posizionati in prossimità dei territori dove vive la popolazione e dotate di personale medico, infermieristico e, se necessario, operatori socio-sanitari, in cui è possibile eseguire delle indagini strumentali e di laboratorio, ma anche inviare le indagini a specialisti situati negli ospedali maggiori dell’area romagnola mediante la telemedicina. Sono aperti, tendenzialmente, sulle 24 ore”.

William Raffaeli con il sindaco di Rimini Jamil Sadegholvaad

“I CAU stanno funzionando seppur nella difficoltà di farli conoscere dalla popolazione; sono una sfida in fase di rodaggio indispensabili per facilitare l’accesso ad una struttura sanitaria alle persone con malattie di minor complessità clinica che generano spesso timori e paure nell’utenza o che comunque non hanno trovato risposte nei percorsi abituali, ad esempio il mal di schiena, che è sempre uno dei problemi che con più frequenza porta a cercare una soluzione in Pronto Soccorso, oppure persistenza di vomito o di febbre, cefalea, vertigini o disturbi acuti alla vista. I CAU attivati sono 14 per un Totale di 126.58 6accessi dal 18/ dicembre 2023 al 29 settembre 2024, ‘per una media di 441 al giorno. Sono in grado di risolvere il problema per cui il paziente si è rivolto al CAU nel 79 % dei casi con invio al PS maggiore solo nel 6.5 % dei casi e fanno la visita in un tempo medio di 44 minuti Quindi, rispondono a quel bisogno di non ingolfare i Pronti Soccorsi.

“Le Case della Salute sono strutture sanitarie nate e sviluppate nella nostra Regione per poi divenire un modello ripreso nei Piani Sanitari Nazionali, Oggi definite “Case della Comunità” sono un modello organizzativo per l’assistenza di prossimità, cioè vicino al territorio in cui vive la gente, per garantire il monitoraggio delle cure già in atto e sviluppare un piano di assistenza capace della miglior appropriatezza diagnostica terapeutica in relazione alla specifica complessità di patologia. Obiettivi che per essere raggiunti necessitano di un ambiente caratterizzato dalla interdisciplinarità, cioè dalla possibilità di essere valutati da più specialisti coordinati dal medico di medicina generale con il supporto di diverse professionalità in particolare degli infermieri disponibili ad attuare medicazioni, esami del sangue e somministrare la terapia necessaria. Sono luoghi dove mediante le centrali telematiche si possono inviare indagini alla supervisione di specialisti dislocati negli ospedali per avere un parere immediato, ad esempio una risonanza o una radiografia, cosi da attuare la scelta migliore di assistenza. Un modello in cui l’assistito non si sposta, ma si muovono i servizi attorno a lui in una cornice di disseminazione delle opportunità sociali, socio-sanitarie.
Nella sola azienda sanitaria della Romagna sono attive 42 Case della Comunità che sono un terzo di tutte quelle della Regione Emilia-Romagna, che a sua volta è la Regione con la maggior concentrazione delle stesse (il 25,6% su scala nazionale). Solo questo dato dimostra quanto si sia investito nella nostra Regione e territorio per dare servizi alla persona sempre più efficaci e innovativi. Un sistema di tutela della salute che reputo comunque vada migliorato e adeguato nell’ambito dell’assistenza alle persone affette da malattie croniche, dove si deve con tempestività attivare uno dei modelli più interessanti del futuro sistema socio-sanitario: l’Infermiere di Famiglia. Una figura indispensabile per intercettare e anticipare i bisogni di salute delle persone e sostenere le famiglie nell’ affrontare le numerose difficoltà che una malattia cronica può generare, mettendo talora a rischio il lavoro del nucleo famigliare e la loro unità. Il ruolo infermieristico è indispensabile per la promozione della salute, la prevenzione primaria e la guida delle persone nel loro viatico quotidiano affinchè non diventi un percorso colmo di sofferenza e dolore non giustificabile”.

“L’equità di accesso ai servizi socio -sanitari è uno dei principali temi su cui vorrò rivolgere la mia opera, qualora possa avere la responsabilità di consigliere, perché lo ritengo urgente e sostanziale per poter dichiarare pienamente soddisfatto il mandato del servizio socio-sanitario regionale. E’ un tema su cui l’Azienda USL assieme agli operatori sanitari e alle istituzioni locali hanno avviato una severa riflessione da anni per delineare i migliori percorsi di presa in carico dei bisogni e garantirne il trattamento più appropriato; dovremo in questi anni ottenere un percorso specifico per ogni condizione di malattia capace di soddisfare la prestazione nei tempi utili ed adeguati alla migliore cura nonché sviluppare processi di prevenzione che raggiungano tutte le fascie di età e di popolazione, specialmente coloro che hanno meno autonomia e capacità di intercettare tutte le offerte di servizi che sono resi disponibili dalle istituzioni. E’ tempo di accelerare l’analisi dei problemi, ma in particolar modo identificare le soluzioni più appropriate”.

Cosa propone per fronteggiare gli episodi di violenza contro i sanitari?

“Non ho soluzioni se non sapere che dobbiamo sperimentare una forte comunicazione sociale ma in particolare una sincera e limpida comunicazione tra le persone che sappia far comprendere nel profondo il senso della malattia e delle opportunità di cura e quali esiti sia reale attendersi. La sincerità e la compassione dell’altro che assieme ai suoi famigliare vive una fase complessa della propria vita è una delle migliori prevenzioni alla violenza . La comunicazione in sanità, in specie durante fasi di bisogno urgente e complessità di assistenza, è sempre stata molto complessa perché mette a confronto persone con differenti stati d’animo e culture ma dobbiamo cercare di sviluppare nei cittadini una educazione alla salute e al rispetto delle persone . Si possono inserire dei mediatori culturali per una educazione alla relazione con la malattia per prevenire i conflitti indotti dalle attitudini culturali, ma niente si potrà fare con coloro che usano la violenza come strumento di dialogo o di prevaricazione.
Per fronteggiare la violenza generata dai costumi antropologici e dalle culture sociali nonché dagli stili di vità, indotti spesso dai media, che purtroppo sempre di più stà divenendo una pratica ordinaria nei rapporti tra persone, bisogna reclamare con vigore una seria difesa e azioni di prevenzione da parte di organismi / agenti deputati a questo ruolo che le Aziende e i Comuni devono garantire a tutte le persone che lavorano nei servizi socio-sanitari. Su questo tema non vi alcuna mediazione tollerabile.

Nonostante le tante critiche, è vero che il sistema sanitario dell’Emilia-Romagna continua ad accogliere un grandissimo afflusso di pazienti dai territori limitrofi e dal centro-sud? Se sì, l’autonomia differenziata non rischia di aggravare le disparità e quindi anche questo nomadismo cui sono costretti i malati?

“Il servizio sanitario dell’Emilia-Romagna è un servizio di eccellenza riconosciuto sia dal Governo sia dalle certificazioni internazionali, quindi è un riferimento a cui molti cittadini di altre regioni si rivolgaono per l’assistenza qualora siano colpiti da malattie gravi e con necessità di cure complesse e innovative. Questo ci onora e non siamo così egoisti da reputare costi per persone che non ci riguardano. Una qualità di assistenza che condividiamo anche con altre Regioni quali la Lombardia e Toscana. Contrariamente ad alcune regioni, l’Emilia Romagna non sogna confini entro cui racchiudere la propria attività: la salute della gente è un bene di cui ci sentiamo responsabili senza barriere né di confini interni o esterni.
I principi ispiratori di un Patto per la Salute nella nostra Regione e lo stesso vale per la provincia di Rimini, nascono dalla consapevolezza che sia necessario mantenere viva la capacità di agire sui nostri Servizi Sanitari e salvaguardandone le specificità affinché preservino le loro caratteristiche di universalità delle cure basate sulla centralità della persona e sui bisogni della collettività, considerando la salute umana come interdipendente e legata alla salute degli ecosistemi di cui è partecipe.
Essere in Salute è un rapporto inscindibile e impriscindibile tra individuo e ambiente condizionato dal proprio stato sociale e salvaguardato dalla qualità dei Servizi alla Persona e Comunità”.

“In questa fase sociale ancora afflitta dagli esiti di ciò che è stata la tragedia della epidemia, abbiamo il dovere civico e politico di affermare con forza che ogni azione che il Governo o le Regioni vogliano sviluppare si deve compiere senza alcuna concessione alla natura imprescindibile universalistica ed egualitaria del Servizio Sanitario. L’autonomia differenziata è un rischio che mina e contrasta profondamente con questo principio universalistico ed egualitario; ne mina alle radici l’assioma di gratuità delle cure per ogni persona indipendentemente dal censo sociale su cui si basa il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Già in virtù del Titolo V nelle Regioni si sono create troppe differenze di opportunità di cura e di gratuità; troppo spesso le stesse cure sono rese disponibili in alcune regioni e non in altre nonostante un indirizzo del Ministero della Sanità. La sanità sta già transitando in alcune Regioni verso un sistema duale in cui grandi gruppi intervengono per acquisire grandi presidi sanitari generando un principio che potrebbe a breve realizzare un doppio sistema di assistenza che dividerà la popolazione tra chi ha una propria assicurazione privata che permette un accesso alle cure e chi dovrà fruire del Servizio pubblico sempre più impoverito di risorse. A questa tendenza la Regione Emilia-Romagna si oppone con tutto il vigore che la difesa alla salute merita”.

Stefano Cicchetti