Zabughin, il genio italo-russo che smentì “l’eresia” del Tempio malatestiano
26 Dicembre 2021 / Paolo Zaghini
Alessandro Giovanardi: “Pensare il confine. Vladimiro Zabughin tra Oriente e Occidente”– Edizioni di Storia e Letteratura.
La prendo da lontano. Venticinque anni fa, a metà degli anni ’90, nell’ambito di un personale progetto di studio sulle testimonianze di italiani in Russia durante la rivoluzione del 1917, mi imbattei nel libro di Zabughin “Il gigante folle. Istantanee della rivoluzione russa” (Bemporad, 1918, ristampato nel 2019 da Miraggi Edizioni) che comprai in antiquaria. Ero interessato alle sue osservazioni fatte sulla situazione russa e romena del 1917 e trasmesse al Ministro italiano della propaganda Vittorio Scialoja che lì lo aveva inviato. Non valutai in alcun modo tutto il resto della sua enorme produzione intellettuale.
A distanza di tanti anni è stato il libro di Giovanardi, storico e critico d’arte, ad illuminarmi sulla grandezza di questo russo. Un libro (nato dalla tesi per il Dottorato di ricerca in Scienze filosofiche all’Università di Siena nel 2012) che fornisce ai lettori una guida completa della sua opera, perchè come scrive Daniela Rizzi nella Prefazione “le recenti ripubblicazioni di alcune opere di Zabugin, pur importanti, sono tuttavia ancora assai lontane dal rappresentare la complessità e la vastità della sua opera”.
Nato a San Pietroburgo nel 1880 e morto sulle Alpi, in provincia di Bolzano, nel corso di una scalata in solitaria in montagna nel 1923, a soli 43 anni. Zabughin fu uomo dal poliedrico talento: filologo, musicologo, storico dell’arte e della cultura, pensatore religioso, esperto conoscitore delle liturgie orientali, studioso d’iconografia e iconologia, lettore acuto di filosofi russi e curioso osservatore delle vicende politiche ed ecclesiali del suo tempo. “Difficile ricondurlo nello spazio di una sola disciplina scientifica, ma forse la parola ‘umanesimo’ e, più precisamente, ‘umanesimo cristiano’ potrebbe racchiudere lo sconfinato orizzonte della sua ricerca”.
Dopo la laurea nel 1903 a San Pietroburgo in Storia e Filologia, giunge a Roma con una borsa di studio dell’Accademia imperiale delle Scienze “per approfondire i contatti fra l’umanesimo europeo e la tradizione culturale slava”. Poliglotta, usò l’italiano per tutti i suoi numerosissimi lavori (sia per gli articoli sulle riviste – oltre 150 – che per i libri), facendo di Roma la sua seconda patria fin dal 1905 e ottenendo la cattedra di letteratura umanistica all’Università La Sapienza dove insegnò dal 1911 al 1923. Nel 1907 si converte al cattolicesimo di rito bizantino. Nel 1921 chiederà la cittadinanza italiana.
“Tra il maggio e il novembre del 1917, mentre infuria la Grande Guerra e si prepara la Rivoluzione, Zabughin, che non ha mai cessato di mantenere rapporti con la propria patria e dove è fugacemente tornato prima degli eventi bellici, viene inviato in Russia dal Governo italiano quale testimone e cronista della crisi militare e politica dell’impero zarista”. Dirà Augusto Campana, erudito, filologo, paleografo nato a Santarcangelo di Romagna (1906-1995), nel corso di una conferenza dedicata a Zabughini nel 1980 all’Accademia dell’Arcadia, riportata da Giovanardi nel suo volume, parlando del volume “Il gigante folle”: “ne nacque l’ampio resoconto, nello stile di un reportage giornalistico (…). Il libro si fregia di un’ampia prefazione di Scialoja, che ne mette in rilievo l’importanza di testimonianza storica, ma è di una lettura altrettanto suggestiva per la conoscenza delle sue idee politiche e sociali. Si può capire quali fossero queste ultime, ispirate, lo dice esplicitamente, dalla Rerum Novarum. Altrettanto esplicitamente risulta dal libro stesso che non nutriva nessuna nostalgia per il regime zarista, di cui ricordava le feroci repressioni contro gli studenti negli anni universitari. Sarebbe stato favorevole per la sua Russia a un socialismo democratico quali gli appariva ancora possibile nelle prime fasi della rivoluzione”. Da qui il suo sostegno a Kerenskij, membro della Duma nelle file del Partito Socialista Rivoluzionario, capo del governo russo fra marzo e novembre 1917, che fu anche suo compagno di studi.
Brillante conoscitore del Rinascimento e dell’umanesimo italiano ha scritto alcune opere di notevole rilievo, ma la sua tragica scomparsa in giovane età lo ha portato ad essere dimenticato per molti decenni dal mondo intellettuale italiano e russo. “La misconoscenza tra gli studiosi europei del suo valore come storico e critico della cultura ne ha causato il parziale oblio in ambito filosofico, mentre i suoi lavori eruditi su Leto e Virgilio hanno continuato a nutrire generazioni di filologi, e le sue riflessioni sul rapporto tra cristianesimi d’Oriente e d’Occidente si sono rivelate, a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento, con gli studi di Angelo Tamborra [1913-2004], profetiche di un nuovo mondo d’intendere le relazioni tra cattolicesimo e ortodossia”.
Ma i suoi studi su Dostoevskij, Solov’ev, Florenskij, Sergej Bulgakov, Rozanov, Merezkovskij, Karsavin aprirono in Italia la conoscenza su un mondo intellettuale, quello russo, straordinario e fino a quel momento per noi in gran parte sconosciuto.
Così come le sue annotazioni, nella sua opera più importante (“Storia del Rinascimento Cristiano in Italia” edito da Treves nel 1924, un anno dopo la sua morte, e ristampata dall’editrice napoletana La Scuola di Pitagora nel 2011), sul Tempio Malatestiano, di cui difende l’autenticità cristiana, sono originali: “il suo sguardo rimane lucido e non offuscato dalle accuse d’eresia”.
“Per Zabughin è scorretto immaginare l’architettura del Tempio come una ripetizione tout court dell’antichità romana: nonostante il suo ideatore, Leon Battista Alberti, riveli il più chiaro tentativo di vivificare la classicità latina, non può essere in alcun modo considerato un mero restauratore dell’antico, privo di radici nella tradizione medievale”.
Il volume di Giovanardi si conclude con queste considerazioni. “Zabughin diviene comprensibile, e perciò fecondo per ogni tempo, se si rileva come elemento prezioso e irrinunciabile, e non come limite interpretativo, il carattere russo della sua sensibilità, il suo essere, per questa natura, un pensatore dei confini e delle antinomie della cultura, dei delicatissimi passaggi di distinzione e comunione delle civiltà, lì dove si annodano inestricabilmente l’Oriente e l’Occidente, la cultura latina e quella greca, il classicismo e il cristianesimo, il Medioevo e il Rinascimento, il cattolicesimo e l’ortodossia”.
Infine va detto che la mole delle note bibliografiche e dei rinvii compiuta da Giovanardi è straordinaria: ci si perde, ma per noi bibliofili (e bibliotecari) è una guida preziosa ed estremamente utile per ogni approfondimento sulle varie tematiche sollevate nel suo libro e per la conoscenza dell’opera di Zabughin e del mondo culturale russo dei primi decenni del Novecento.
Paolo Zaghini